Curtis Yarvin, l’Illuminismo nero e la crisi europea della democrazia

C’è un’idea che circola sempre più spesso nei luoghi dove si forma il potere reale: la democrazia non funziona più. Non è in difficoltà: è finita. Curtis Yarvin è l’uomo che questa idea l’ha resa dicibile, strutturata, presentabile: blogger e teorico neo-reazionario, profeta dell’Illuminismo nero. Yarvin sostiene che l’esperimento democratico degli ultimi due secoli sia stato un fallimento storico. Elezioni, parlamenti, separazione dei poteri? Inutili zavorre. La soluzione è semplice: archiviare la democrazia e restaurare una forma di monarchia tecnocratica, guidata da pochi competenti e liberata dall’ossessione dell’uguaglianza.
Lo Stato, nella sua visione, deve funzionare come una startup. I cittadini come utenti. Chi non produce valore? Da isolare, neutralizzare, rendere irrilevante. Sembra una provocazione. Non lo è. Yarvin è letto, discusso, ascoltato. Le sue idee circolano negli ambienti dell’ultradestra tecnologica americana e hanno trovato attenzione anche nella cerchia ristretta di Donald Trump. Ma sarebbe un errore pensare che il problema riguardi solo gli Stati Uniti.
Yarvin parte da una diagnosi che molti, anche in Europa, riconoscono: istituzioni lente, decisioni paralizzate, classi dirigenti autoreferenziali, distanza crescente tra cittadini e potere. La democrazia appare inefficace, svuotata, incapace di incidere sulla vita reale. In Europa questa percezione è amplificata da un dato strutturale: la politica decide sempre meno, mentre la governance tecnica decide sempre di più. Commissioni, autorità indipendenti, vincoli finanziari, procedure sovranazionali. Tutto necessario, forse. Ma tutto lontano.
Il salto di Yarvin è brutale: se la democrazia non funziona, va eliminata. Non riformata, non rigenerata: eliminata. Al suo posto: comando, efficienza, gerarchia. L’uguaglianza come errore morale. Il conflitto come rumore di fondo. È la vecchia tentazione autoritaria, aggiornata al linguaggio dei geek.
Il punto inquietante è che molte democrazie europee si stanno già muovendo in quella direzione – senza dichiararlo. Stati d’emergenza permanenti, compressione del dibattito parlamentare, governi che legiferano per decreti, controllo dell’informazione, criminalizzazione del dissenso. Tutto, sempre, per necessità. In Ungheria e Polonia il modello è esplicito. In Francia l’uso sistematico dell’articolo 49.3 ha normalizzato l’aggiramento del Parlamento. In Germania cresce il consenso per forze che mettono apertamente in discussione l’architettura liberale. In Italia il processo è più sottile, ma non meno evidente. In Italia la democrazia non viene abolita: viene svuotata. Il Parlamento è marginalizzato. I partiti sono macchine elettorali senza vita interna. La partecipazione è ridotta a voto intermittente. Il linguaggio politico è sostituito da quello dell’amministrazione e della sicurezza.
Non serve un filosofo neo-reazionario per dirlo apertamente: si governa meglio senza mediazioni, si decide meglio senza conflitto, si comunica meglio senza stampa critica. È il sottotesto di molte riforme, di molte narrazioni, di molte invocazioni all’uomo forte o al governo che decide. Yarvin non propone nulla che non sia già culturalmente preparato. Qui sta l’inganno. Yarvin confonde il potere con la potenza. Crede che concentrare il comando renda una società più forte. È falso. È sempre stato falso. Spinoza lo aveva spiegato con chiarezza: il potere produce obbedienza, non forza. Produce paura, non libertà. Produce sudditi, non cittadini capaci di agire.
Una società è potente quando aumenta la capacità di vivere dei suoi membri, quando moltiplica possibilità, non quando le riduce. I regimi che promettono ordine assoluto funzionano solo coltivando passioni tristi: risentimento, frustrazione, senso di impotenza. Non a caso prosperano dove la democrazia ha già smesso di produrre speranza.
L’Illuminismo nero non è anti-sistema: è ultra-sistemico. Sostituisce l’élite politica con quella tecnologica. Elimina il controllo democratico e lo chiama competenza. Abolisce il conflitto e lo chiama razionalità. È una visione perfettamente compatibile con un’Europa che accetta disuguaglianze strutturali come dati tecnici e non come problemi politici. Perfettamente compatibile con un’Italia in cui la parola democrazia sopravvive, ma la sua sostanza si consuma.
Curtis Yarvin va preso sul serio non perché abbia ragione, ma perché intercetta una deriva già in atto. Le sue idee attecchiscono perché parlano a società stanche, disilluse, impoverite simbolicamente. A cittadini che non si sentono più tali. A democrazie ridotte a procedure senza anima.
Quando la politica non aumenta la potenza di vivere, qualcuno propone il comando come soluzione. E il comando, quando arriva, non chiede consenso: lo sostituisce. Spinoza lo aveva detto senza ambiguità: l’uomo diventa schiavo quando rinuncia alla propria potenza per inseguire il potere, esercitandolo o subendolo. L’Impero non arriva con i carri armati. Arriva quando la libertà viene percepita come un problema e non come una risorsa.Oggi quel momento è più vicino di quanto sembri. E non riguarda solo l’America.
Curtis Yarvin va preso sul serio, non perché abbia ragione, ma perché intercetta una crisi autentica e la indirizza verso una soluzione regressiva. La sua risposta è autoritaria; la domanda che pone è politica.
La lezione di Spinoza, rilanciata oggi da pensatori come Gilles Deleuze e Massimo Recalcati, resta radicalmente attuale: una società è libera non quando concentra il potere, ma quando aumenta la potenza di vivere dei suoi membri. Se questa potenza viene meno, l’Impero non arriva con i carri armati, ma con un linguaggio seducente, razionale, persino moderno.E a quel punto prepararsi all’Impero significa una cosa sola: aver già rinunciato alla democrazia.
L'articolo Curtis Yarvin, l’Illuminismo nero e la crisi europea della democrazia proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




