La crescita della spesa militare globale (e europea) minaccia gli obiettivi climatici

Bruxelles – L’aumento della spesa militare globale rischia di compromettere seriamente il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 13 delle Nazioni Unite, dedicato all’azione contro il cambiamento climatico. Questo è l’avvertimento lanciato dal nuovo studio pubblicato dal Conflict and environment observatory (Ceobs), che evidenzia come la crescita degli investimenti nel settore della difesa si stia traducendo in un aumento delle emissioni di gas serra, in una sottrazione di risorse pubbliche alle politiche ambientali e in un ostacolo alla cooperazione internazionale sul clima.
Nel 2023, la spesa militare mondiale ha toccato i 2,4 triliardi di dollari, il livello più alto mai registrato. L’Europa, in particolare, ha conosciuto un’accelerazione degli stanziamenti per la difesa, in risposta a un contesto geopolitico caratterizzato da instabilità e conflitti armati. Secondo il report, questo trend globale sta creando un contesto in cui le priorità militari tendono a prevalere su quelle climatiche, con effetti a catena su bilanci statali, processi decisionali e indirizzi strategici a lungo termine.
L’espansione dei bilanci militari ha un impatto diretto sul clima attraverso l’aumento delle emissioni: le attività delle forze armate, dal trasporto aereo ai mezzi terrestri, fino alla gestione delle infrastrutture, sono fortemente dipendenti dai combustibili fossili. Tuttavia, la rilevazione di queste emissioni resta ancora parziale, spesso esclusa dai sistemi di monitoraggio ambientale previsti dagli accordi internazionali sul clima. Il report sottolinea come questa mancanza di trasparenza rappresenti un problema strutturale che ostacola la piena integrazione del settore della difesa negli sforzi di decarbonizzazione.
Oltre all’impatto diretto, l’incremento della spesa militare produce anche conseguenze indirette. L’aumento dei fondi destinati alla difesa riduce lo spazio fiscale disponibile per finanziare le politiche di mitigazione e adattamento climatico. In un momento in cui gli scienziati richiedono investimenti massicci e immediati nella transizione energetica, questa competizione tra priorità rischia di rallentare o compromettere gli obiettivi già fissati a livello nazionale e internazionale. Il documento del CEOBS segnala che, anche nei casi in cui gli Stati dichiarano obiettivi climatici ambiziosi, la crescente militarizzazione finisce per deviare l’attenzione e le risorse necessarie per raggiungerli. Il raggiungimento dell’Obiettivo 13 richiede non solo politiche climatiche efficaci, ma anche un contesto internazionale favorevole alla cooperazione. Il report osserva come la crescente logica del confronto armato, alimentata dall’aumento della spesa militare, tenda a compromettere quella fiducia reciproca che è alla base degli accordi multilaterali sul clima. In questo senso, la militarizzazione non è soltanto un problema di emissioni, ma rappresenta anche un ostacolo diplomatico e politico che rende più fragile l’intero processo di governance climatica globale.
L’Europa si trova in una posizione particolarmente delicata. Da un lato, è protagonista di una nuova fase di rafforzamento della propria capacità difensiva, anche in ambito Nato. Dall’altro, ha assunto un ruolo di leadership nella lotta al cambiamento climatico, impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il rischio, sottolinea il report, è che l’equilibrio tra queste due priorità venga meno. Secondo l’International institute for economics and peace, tra il 2021 e il 2024 la spesa per armamenti degli Stati membri dell’Ue è aumentata di oltre il 30 per cento. Il programma RearmEu, annunciato a marzo 2025, prevede uno stanziamento aggiuntivo di 800 miliardi di euro. In questo scenario, la competizione tra sicurezza e sostenibilità rischia di diventare strutturale: le risorse destinate all’ambiente potrebbero ridursi ulteriormente, mentre le emissioni collegate alle attività militari aumenterebbero.
Un riarmo rapido e svincolato dagli obiettivi della transizione ecologica potrebbe dunque costare all’Europa molto più che un danno di immagine: in assenza di una svolta in questa direzione, avvertono gli esperti, il rischio è che gli sforzi globali per contenere il riscaldamento climatico al di sotto dei 1,5 °C diventino irrealizzabili.
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