Neutralità climatica al 2050: l’Italia è in ritardo su trasporti, edilizia ed energia

Nonostante una riduzione complessiva delle emissioni del 26% dal 1990, l’Italia rimane distante dagli obiettivi climatici al 2050 e, secondo le stime più aggiornate, saranno necessari oltre mille miliardi di euro per completare la transizione ecologica, con settori chiave – trasporti, edilizia e produzione energetica – ancora responsabili di emissioni elevate
La transizione ecologica italiana si muove, ma lo fa con passo incerto. A oggi, il nostro Paese ha ridotto del 26% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, passando da 522 a 385 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.
Un risultato rilevante, sostenuto dalla diffusione delle energie rinnovabili, da un miglioramento dell’efficienza energetica e da un progressivo disaccoppiamento tra consumi energetici e crescita economica. Tuttavia, il trend non è sufficiente per rispettare gli impegni assunti con l’Unione europea.
Entro il 2030, l’Italia deve ridurre del 43,7% le emissioni nei settori non-Ets (trasporti, edilizia, agricoltura e rifiuti), come previsto dal Regolamento europeo sull’Effort Sharing. L’obiettivo finale resta la neutralità climatica al 2050.
Ma il percorso si presenta accidentato: secondo uno scenario elaborato da ClimateSeed – startup attiva nei servizi di decarbonizzazione per le imprese – serviranno oltre 1.010 miliardi di euro in investimenti, di cui almeno 150-180 miliardi entro il 2030. Una soglia che le attuali risorse del Pnrr e dei fondi Ue non consentono di raggiungere da sole.
Trasporti, edilizia e produzione energetica: i nodi strutturali della transizione
Le emissioni nazionali continuano a essere condizionate da tre ambiti chiave: trasporti, settore residenziale e produzione energetica.
In particolare, il comparto dei trasporti è responsabile del 28% delle emissioni totali, con una quota preponderante (oltre il 90%) generata dal trasporto su gomma. A fronte di un parco veicolare ancora fortemente ancorato a tecnologie fossili e di un’infrastruttura ferroviaria e di mobilità collettiva insufficiente, il settore non mostra miglioramenti sostanziali nel medio termine.
Segue il settore energetico con il 21% delle emissioni nazionali, a causa della persistente dipendenza dal gas naturale. Nonostante la crescita delle rinnovabili, il mix energetico resta sbilanciato e la mancata chiusura del ciclo del capacity market favorisce la permanenza di impianti termoelettrici.
Anche il comparto residenziale, responsabile del 18% delle emissioni, mostra lentezze strutturali. Il processo di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente – vetusto e energivoro – procede a ritmi troppo lenti per incidere sui target al 2030 e al 2050.
Il ruolo del sistema produttivo: misurazione, riduzione, compensazione
In questo quadro, le imprese italiane sono chiamate a un protagonismo concreto e misurabile. Come chiarisce il rapporto di ClimateSeed, è necessario superare l’approccio reattivo per adottare una strategia integrata, basata su tre pilastri: misurazione dell’impronta carbonica, definizione di piani di riduzione scientificamente validati e supporto a iniziative certificate di rimozione o evitamento delle emissioni.
Il primo passo è rappresentato dalla rendicontazione delle emissioni dirette e indirette, secondo gli standard riconosciuti (Ghg Protocol, Iso 14064, SbTi). Una mappatura accurata delle fonti emissive consente di individuare le priorità d’intervento lungo tutta la catena del valore, estendendo la responsabilità anche ai fornitori e agli stakeholder della filiera.
A seguire, è fondamentale implementare piani di decarbonizzazione con obiettivi Sbt (Science-Based Targets), coerenti con i livelli di riduzione richiesti per limitare il riscaldamento globale a +1,5°C.
La mitigazione dell’impatto ambientale passa, inoltre, per la valorizzazione dei progetti di carbon offset certificati, capaci di generare benefici ambientali e sociali concreti, come la riforestazione, la gestione sostenibile del suolo, o l’elettrificazione di comunità rurali.
Un sistema di governance climatica ancora incompleto
Il ritardo dell’Italia nella transizione non si spiega solo con le criticità tecniche, ma anche con la frammentazione delle responsabilità e la debolezza della governance.
L’assenza di una legge quadro sul clima – analoga a quelle adottate da Francia, Germania e Regno Unito – impedisce una visione integrata e vincolante della decarbonizzazione. La pianificazione resta subordinata a strumenti pluriennali di tipo programmatico, spesso privi di forza cogente e con cicli di monitoraggio deboli.
Inoltre, manca ancora una integrazione sistematica tra politiche industriali, energetiche e ambientali. La fiscalità verde è frammentata e poco incisiva, mentre l’accesso alle risorse – anche per le imprese virtuose – è spesso ostacolato da procedure lente e poco trasparenti.
In questo contesto, la leva degli investimenti privati si conferma decisiva, ma richiede segnali chiari e stabili da parte delle istituzioni, sul piano normativo, regolatorio e fiscale.
Il 2050, nella realtà dei fatti, non è lontano: manca una generazione imprenditoriale e una generazione politica. Secondo ClimateSeed “la sfida non si vince con slanci episodici o strumenti parziali“.
È necessario un patto intergenerazionale e intersettoriale, capace di coniugare innovazione e responsabilità, strumenti tecnici e visione strategica. Le imprese che sapranno cogliere questo passaggio come un’opportunità e non come un vincolo, avranno un ruolo decisivo nel costruire un’economia decarbonizzata, resiliente e competitiva.
Crediti immagine: Depositphotos
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