No al reato di femminicidio, la richiesta di 80 docenti di diritto penale: “Populismo e ricerca del consenso”

Oltre ottanta docenti universitarie di diritto penale hanno sottoscritto un appello per esprimere contrarietà al disegno di legge che intende introdurre una fattispecie di reato autonoma per il femminicidio, punita con l’ergastolo. La norma è ora all’attenzione della Commissione giustizia del Senato, dopo essere stata approvata dal Consiglio dei Ministri l’8 marzo scorso. Tra le prime firmatarie due professoresse dell’Università di Bologna: Silvia Tordini e Maria Virgilio. Quest’ultima lo presenterà domani durante l’audizione a Palazzo Madama.
Nello scritto, pubblicato interamente sulla rivista giuridica online “GiustiziaInsieme”, si contesta il fatto che il legislatore invece di mettere in atto politiche di prevenzione voglia ottenere consensi con leggi populiste che tendono solo a punire, peraltro senza efficacia deterrente, e non a intercettare e fronteggiare le cause alla base degli omicidi delle donne. Secondo le giuriste “la disciplina italiana, almeno sul piano sanzionatorio, già coglie lo specifico disvalore della condotta, consentendo di applicare la pena dell’ergastolo all’uccisione di una donna per motivi di genere”, come dimostrato dai recenti fatti di cronaca, quali l’omicidio di Giulia Cecchettin. Nell’attuale quadro normativo pertanto, si legge ancora nell’appello “la nuova fattispecie incriminatrice non sembra incrementare l’effettività della tutela penale, ma, come da più parti si sottolinea, assume una valenza meramente simbolica”.
Inoltre “si può dubitare del fatto che la minaccia della pena dell’ergastolo sia in grado di far desistere dall’azione criminosa colui che non abbia interiorizzato il valore della libertà femminile e il principio del rispetto della persona. Questi auspicati effetti di deterrenza non hanno mai ricevuto alcuna conferma, come emerge, del resto, dall’esperienza degli Stati Sudamericani, che hanno variamente incriminato il reato di femminicidio in presenza di un numero elevatissimo di donne assassinate”. Al contrario, osservando la realtà, “si può constatare come qualsiasi intervento repressivo svincolato da azioni di perequazione sociale ed economica e da strategie di prevenzione, di tipo innanzitutto culturale, risulti del tutto inefficace”.
Per le docenti quello che invece occorrerebbe fare è contrastare “le molteplici forme di discriminazione e violazione dei diritti umani che sono considerate ‘fisiologiche’ della differenza di genere e che impediscono la piena affermazione dei diritti delle donne e la corretta percezione delle condotte di prevaricazione e abuso. Ed è in questa prospettiva che è necessario intervenire, evitando strumentalizzazioni populistiche, sempre più spesso indifferenti ai canoni che necessariamente informano lo strumento penale, quali la extrema ratio e la tassatività, e utili più per accreditare l’impegno del legislatore che per offrire risposte effettive ed efficaci”.
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