Norme anti-greenwashing, tensioni tra i commissari Ue e accuse incrociate tra i vertici comunitari

«Potete dichiarare di essere ambientalisti o decidere di non farlo. Ma i consumatori meritano rispetto. Dobbiamo onorare la loro fiducia e garantire un supporto informativo affidabile». Il messaggio lanciato via social da Teresa Ribera dà il segno di quel che sta succedendo all’interno dei vertici dell’Unione europea sulla direttiva anti-greenwashing. I retroscena che rimbalzano da Bruxelles raccontano che la vicepresidente esecutiva della Commissione Ue e commissaria per la Transizione green e la concorrenza ha portato avanti per tutta la seconda parte della scorsa settimana un acceso confronto con la commissaria per l’Ambiente Jessika Roswall, alla quale il Partito popolare europeo si era appellato per «rivedere» o direttamente «ritirare» la Green claims directive. Le norme in essa contenute, era il messaggio recapitato via lettera dal gruppo conservatore di cui fa parte anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, non vanno nella direzione di semplificare la normativa e favorire la competitività delle aziende europee e anzi complicano ulteriormente la situazione.
Ribera si è ritrovata in minoranza, nel difendere le norme che dovrebbero introdurre maggiore trasparenza nelle etichette e nei messaggi pubblicitari delle aziende produttrici, ma la questione era stata rimandata all’ultimo vertice previsto, fissato in agenda per ieri. Poi, nel fine settimana, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: il governo italiano ha tolto il proprio sostegno alla direttiva dando un ulteriore pretesto alle forze di destra per mettere in stand by il confronto e dirottare la direttiva anti-greenwashing verso un binario morto. Una decisione che, notano da più parti, potrebbe segnare in modo irreversibile i prossimi quattro anni di presidenza von der Leyen in materia di clima e ambiente.
Ad accusare la Commissione europea di aver impresso un voltafaccia sulle politiche green non sono soltanto associazioni ambientaliste, ma anche gruppi dell’Europarlamento progressisti e di centro. Esponenti dei Socialisti & Democratici e di Renew Europe hanno tenuto una conferenza stampa per denunciare quanto sta accadendo intorno alla Green claims directive. I due relatori del testo al Parlamento europeo, Tiemo Wölken (S&D) e Sandro Gozi (Renew Europe), hanno detto che contrariamente a quel che hanno raccontato ieri da Bruxelles, i negoziatori del Consiglio Ue e del Parlamento europeo erano «molto vicini» a trovare un compromesso definitivo ed equilibrato sulla direttiva. E quindi non c’era motivo per far saltare l’ultimo confronto previsto e mettere la direttiva in uno stand by che non si sa se sia veramente solo temporaneo.
Il nodo delle microimprese che sarebbero state penalizzate dalla nuova normativa, evocato dalla Commissione come motivazione per la “pausa”, è un falso problema. Tanto i gruppi progressisti quanto quelli conservatori erano pronti a Strasburgo a esentare le piccole e medie imprese dagli obblighi previsti dalla direttiva. Non si capisce dunque perché Bruxelles abbia deciso di bloccare tutto. A meno che, accusa Wölken, non si voglia ammettere che la Commissione Ue non si sia trasformata in una mera appendice del Ppe.
In attesa che da Bruxelles arrivi una risposta convincente, associazioni ambientaliste e Ong ribadiscono la necessità che l’Unione europea si doti di norme chiare e vincolanti circa il divieto di scrivere sulle etichette dei prodotti messaggi fuorvianti, generici o del tutto falsi circa l’utilizzo di materiali riciclati, rispettosi dell’ambiente, naturali ecc. «Se i politici non raggiungono un accordo ambizioso, il greenwashing continuerà», denunciano i gruppi ambientalisti ECOS, ClientEarth, Carbon Market Watch e l'European Environmental Bureau. La denuncia, soprattutto, è chiara: «Il 76% dei prodotti presenti sul mercato dell'Ue riporta un'indicazione ecologica implicita o esplicita, e più della metà di queste indicazioni sono fuorvianti, non comprovate o imprecise, secondo una ricerca della Commissione europea». Quello che realmente voglia fare la Commissione europea per difendere consumatori e ambiente, invece, non è altrettanto chiaro.
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