Passaggio al bosco e la finta neutralità di chi scambia la libertà di parola con il diritto di mentire

Dicembre 9, 2025 - 07:30
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Passaggio al bosco e la finta neutralità di chi scambia la libertà di parola con il diritto di mentire

A proposito della questione della presenza della casa editrice “Passaggio al bosco” alla fiera Più libri più liberi, oltre alle solite noiose polemiche antifasciste (qui sarebbe il caso di dire anti-naziste), mi è tornato in mente qualcosa. È il ricordo di un film di una decina di anni fa, neanche tanto riuscito per le critiche che lo accolsero, opera di un mediocre artigiano, Mick Jackson, il cui vertice artistico è stato “The Bodyguard” di cui si ricorda più volentieri la colonna sonora che non la trama sdolcinata.

L’opera in questione si chiama “La verità negata”, in inglese più appropriatamente “Denial”, tratta da una pièce teatrale di David Hare. È la ricostruzione del processo svoltosi a Londra venticinque anni fa contro la storica americana Deborah Lipstadt (interpretata da Rachel Weisz), denunciata per diffamazione dal negazionista David Irving (interpretato da un luciferino Timothy Spall).

Il film racconta con precisione la vicenda giudiziaria e i suoi antefatti: una delle sequenze più significative è quella in cui alcuni esponenti della comunità ebraica londinese cercano di dissuadere la storica dall’affrontare la causa, anziché di patteggiare, paventando la pubblicità che si avrebbe regalato alle tesi negazioniste.

La donna, spalleggiata dalla sua casa editrice (Viking press, a suo onore e gloria) decide di insistere nonostante il rapporto difficile tra Lipstadt e il suo difensore, Richard Rampton (Tom Wilkinson). La storica vorrebbe una difesa emotiva, basata sulle testimonianze dei sopravvissuti ai campi che vogliono essere sentiti. Gli avvocati si rifiutano, perché pensano che Irving, che ha ottenuto di potersi difendere da solo, avrebbe il sopravvento e li umilierebbe. Irving esercita un fascino carismatico, è un ammiratore di Hitler, si qualifica come storico, e nega nei suoi libri che vi sia mai stato il genocidio, nega che su ordine del Führer siano stati gasati milioni di ebrei ad Auschwitz, da lui un centro di raccolta dove a bruciare erano cadaveri di gente già morta per cause naturali e gli stenti della prigionia, ma non per aver inalato il gas nelle camere della morte.

La difesa di Rampton è strettamente tecnica: bisogna dimostrare semplicemente che Irving è un falsario, un manipolatore della realtà. Il tema tecnico centrale è se egli menta deliberatamente oppure la sua sia un’interpretazione soggettiva e in buona fede di dati esistenti. In poche parole se egli sia sincero a motivo della sua visione negazionista, o se invece menta, a sostegno delle sue tesi antisemite.

Rampton in un freddo, asettico controesame, utilizzando il lavoro di un consulente accademico, dimostra che Irving di proposito in un suo libro ha manipolato il contenuto di una lettera di Hitler cercando di far credere che egli avesse addirittura bloccato le spedizioni nei lager ordinate da Reinhard Heydrich dopo la conferenza di Wannsee.

Irving perde la causa, e due anni dopo verrà arrestato in Austria e condannato per le sue tesi negazioniste, suscitando qui da noi l’indignazione di qualche iper-garantista, e qualche dubbio anche in chi scrive.

Il senso del film è racchiuso in un commento finale di Lipstadt: «Non si può abusare dei diritti», neanche della libertà di parola per mentire e negare i diritti degli altri.

Un tema che è presente in uno scritto di Luciano Violante, “Il dovere di avere doveri”, per cui «doveri costituzionali implicano senso di appartenenza a una comunità, essenziale per l’unità politica, riconoscimento dell’altro, essenziale per la coesione sociale, adesione a un sistema di valori».

Nel pensiero di molti liberisti dei diritti, che a occhi chiusi sostengono il diritto di mentire anche dei falsari della storia, questo profilo è totalmente assente.

Si può accettare come libera opinione una deliberata menzogna? È una libera opinione la fede nei “Protocolli dei Savi di Sion”, o che il fascismo abbia preso il potere democraticamente e non con i brogli per la cui denuncia Giacomo Matteotti fu ucciso, oppure che gli ucraini che protestavano a Euromaidan fossero pagati dalla Cia?

Siamo sicuri che relativizzare la verità storica per cui una tesi fondata e una minchiata siano la stessa cosa non sia consegnare ai nemici della libertà la corda con cui impiccheranno i poveri «utili idioti» secondo la definizione di Lenin che gli spalancano le porte?

Il problema dei libri del generale Roberto Vannacci (che è stato un fenomeno editoriale) e di quelli di “Passaggio al bosco” che esaltano nazisti come Léon Degrelle e Corneliu Zelea Codreanu (senza il coraggio di rivendicare la propria fede) non sono le copie vendute, ma il pubblico che li compra.

Esiste una domanda di quei libri e di quelle tesi aberranti. Il Censis ci rivela che un buon trenta per cento di elettorato aspira a un regime autoritario, e il resto è molto tiepido sui meccanismi della democrazia.

Ogni giurista sa che lo Stato di diritto tutela le opinioni e non le menzogne. Di fronte alla marea negazionista che monta si può reagire in due modi: come una Maria Antonietta alla vigilia della decapitazione (il popolo vuole autoritarismo? Diamogli i croissant nazisti di Passaggio al bosco, che sarà mai) oppure protestando contro le bugie spudorate, fino all’ultimo fiato.

Zerocalcare magari ha molti torti, ma oggi è più giusto stare dietro i suoi paletti che sotto le stelle di Atreju a rimirarsi l’ombelico liberale, scambiandolo per il centro di un mondo che sta sparendo.

Rilevo, per inciso, che alla festa di Fratelli d’Italia, nonostante si dibatta anche di giustizia e di referendum, non c’è un avvocato penalista nemmeno per sbaglio, eppure le camere penali danno il sangue per il Sì. Magari se ne sono dimenticati, oppure Lenin, che era avvocato, con la metafora delle “vittime inconsapevoli” (così non si offende nessuno) ci aveva visto lungo.

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