ACN, “tregua” dopo un mese di agitazione: ma ombre su governance, reclutamento e carichi di lavoro

Giugno 16, 2025 - 17:30
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ACN, “tregua” dopo un mese di agitazione: ma ombre su governance, reclutamento e carichi di lavoro

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ACN, arriva la “tregua” dopo un mese di agitazione: il personale revoca la protesta, ma restano ombre su governance, reclutamento e carichi di lavoro.


Dopo oltre un mese di mobilitazione, il 22 maggio 2025 si è concluso lo stato di agitazione all’interno dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN). Il sindacato SIBC-ACN, infatti, ha deciso di revocare la mobilitazione in seguito all’apertura di un tavolo di confronto con la dirigenza, la quale ha promesso di intervenire sulle principali criticità denunciate dai lavoratori. Tuttavia, la tensione resta alta e le questioni irrisolte sono molte, a partire dal modello di governance e dalle politiche di gestione del personale, che in questi mesi hanno generato forte malcontento tra i dipendenti.

Le origini della protesta

La mobilitazione ha avuto inizio il 1° maggio 2024, in occasione della Festa dei Lavoratori: un giorno indubbiamente simbolico, scelto non a caso dal sindacato, per lanciare l’allarme sulle “derive” interne all’Agenzia.

Già il 21 aprile era stata inviata alla dirigenza una richiesta formale di apertura di un confronto sindacale, accompagnata da un elenco dettagliato di criticità, tra le quali: sovraccarico del CSIRT (Computer Security Incident Response Team), disuguaglianze retributive, mancanza di trasparenza nelle progressioni di carriera, welfare assente, uso distorto dei comandi e mancata attivazione di concorsi pubblici.

La dirigenza, guidata dal prefetto Bruno Frattasi, non aveva, però, dato seguito alla richiesta. A fronte del silenzio, il sindacato ha deciso di attivare le procedure di raffreddamento previste dalla normativa sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali. Il 6 maggio ha trasmesso una relazione alla Funzione Pubblica, mentre il 13 maggio si è tenuto il tentativo obbligatorio di conciliazione presso il Ministero del Lavoro, conclusosi con esito negativo. Da quel momento, lo stato di agitazione ha assunto una dimensione pubblica e strutturata, con una campagna interna rivolta ai lavoratori e una pressione esterna sulle istituzioni.

Numeri e contraddizioni di un’Agenzia giovane ma già in affanno

L’ACN è un ente di nuova generazione, nato nel 2021 con il compito di coordinare le politiche nazionali in materia di cybersicurezza. Tuttavia, la crescita rapidissima dell’organico – passato da poche decine a oltre 360 unità – ha evidenziato sin da subito gravi squilibri interni. Secondo i dati diffusi dal sindacato, solo un terzo dei lavoratori in servizio è stato assunto tramite concorso pubblico; la maggior parte proviene da altre amministrazioni centrali in posizione di comando, spesso senza competenze specifiche in ambito di cybersecurity e inquadrata con trattamenti economici superiori, nonostante la parità di funzioni.

Il risultato è un’organizzazione frammentata, in cui le funzioni operative – come quelle del CSIRT – sono affidate a pochi tecnici sottoposti a turni pesanti, senza adeguati riconoscimenti economici o tutele specifiche. A ciò si aggiungono avanzamenti di carriera gestiti in modo opaco e una distribuzione diseguale delle risorse economiche interne: secondo quanto denunciato dal sindacato, alcuni dirigenti avrebbero superato i 300mila euro annui tra stipendio e premi di risultato, in un contesto in cui il restante personale non ha mai beneficiato di meccanismi premiali trasparenti.

Ombre politiche e rischio di colonizzazione

A preoccupare è anche la gestione degli ingressi: negli ultimi mesi, l’Agenzia ha accolto figure considerate vicine all’attuale maggioranza di governo, in alcuni casi senza selezioni pubbliche. Un aspetto che ha alimentato sospetti su possibili logiche di “spartizione” all’interno di un organismo chiamato a garantire l’integrità e l’autonomia del sistema digitale nazionale. Se l’ACN dovesse trasformarsi in un centro di potere politico-burocratico, anziché in un’autorità tecnica e indipendente, le conseguenze potrebbero rivelarsi gravi in termini di credibilità ed efficacia.

Una tregua, non una soluzione

La decisione di sospendere la protesta nasce da un’apertura al dialogo da parte della dirigenza, ma il clima resta incerto. I lavoratori non hanno ricevuto garanzie vincolanti sulle richieste avanzate e, soprattutto, resta da vedere se le promesse si tradurranno in atti concreti: bandi pubblici, revisione delle progressioni, trasparenza nella governance e miglioramento delle condizioni di lavoro per i servizi operativi.

Il caso ACN pone una questione più ampia: non è possibile costruire una macchina dello Stato efficace e indipendente in un settore strategico come quello cyber, senza rispettare criteri di trasparenza, meritocrazia e senza investire sul capitale umano. La cybersicurezza necessita di personale competente, selezionato in modo trasparente e che risulti trattato equamente.

Il rischio da evitare assolutamente è che un’Agenzia nata per proteggere l’Italia dalle minacce digitali – oramai all’ordine del giorno e sempre più sofisticate – si trasformi in una struttura burocratica inefficiente e politicizzata, priva delle figure professionali di cui effettivamente necessita.

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