Calandra, ‘Milei, l’hombre venuto dal malessere’

Maggio 6, 2025 - 22:00
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Calandra, ‘Milei, l’hombre venuto dal malessere’

a cura di Gianluca Vivacqua

Javier Milei, economista, al pari di Trump si affaccia sul palcoscenico della storia argentina come superatore e liquidatore del vecchio establishment. I Clinton, in congiunzione con gli Obama, nel caso di Trump (nel 2024 vedremo ancora gli Obama dietro Kamala Harris); per ciò che riguarda Milei, invece, i Kirchner, di cui Alberto Fernández, predecessore del nostro, può considerarsi un prolungamento. Ma le mutuazioni di Milei da Trump si fermano qui; come Atene era definita da Tucidide – per bocca di Pericle – “scuola della democrazia”, così l’America Latina ha certamente diritto a essere ritenuta e chiamata “scuola e palestra del populismo”: tra padri nobili e nuove generazioni può insegnarlo a tutto il continente, non certo prenderlo in prestito. E l’Argentina è scuola nella scuola, da Perón in poi. Ma è tutto minarchismo e motosega, il Milei della Casa Rosada, o c’è qualcosa in più? Lo chiediamo alla prof. Benedetta Calandra dell’università di Bergamo, storica dell’America Latina.

– Professoressa, in che momento della storia argentina arriva un presidente come Milei?
“La data di assunzione del mandato di Javier Milei coincide con un momento di enorme portata simbolica. Il 10 Dicembre del 2023 l’Argentina arriva a un traguardo niente affatto scontato, celebrando quarant’anni di democrazia ininterrotta, un precedente unico nella storia di tutto il Novecento. Dunque per la prima volta il paese può celebrare quattro decenni in cui si erano alternati al potere, senza interruzioni di carattere autoritario, presidenti civili e liberamente eletti in accordo alle regole dello Stato di diritto e a quelle dell’alternanza democratica. Al contempo, gran parte della società argentina nel 2023, reduce dalla pandemia, aveva maturato un notevole carico di rabbia e disillusione verso la classe politica che aveva governato negli anni precedenti, durante il kirchnerismo. Risultava anche provata da una serie di crisi economiche, dove gli alti indici di inflazione, il tasso di povertà, l’enorme carico del debito estero non erano che alcuni degli indicatori ad aver messo a dura prova la tenuta di una buona parte della popolazione. L’elezione di Milei, secondo diversi analisti, affonda le proprie radici nel profondo malessere innervato in una pluralità di settori sociali che vogliono accordare fiducia a un leader chiaramente antisistema. Eloquenti in tal senso i risultati alle urne: con oltre il 55% dei voti supera il suo antagonista, Sergio Massa, ex ministro peronista dell’Economia, che ottiene invece il 44%”.

– L’ennesimo uomo forte argentino e sudamericano è il primo populista non peronista della storia del Paese albiceleste: pensa che i suoi modelli siano fuori dalla Casa Rosada?
“È evidente che sulla figura di Javier Milei possediamo per il momento una ’massa critica’ limitata di storiografia, ci muoviamo fondamentalmente nell’ambito della storia del tempo presente. Le analisi prodotte sinora evidenziano da un lato molti aspetti di discontinuità rispetto ai precedenti capi di Stato, unita ad altri non del tutto inediti nell’agone politico argentino. Il nuovo presidente esprime una carica di irriverenza e di distruttività verso le istituzioni difficilmente paragonabile alle figure che lo hanno preceduto. Più che genericamente inserito nell’alveo delle ‘destre’ neoliberiste presenta peculiarità proprie -attraverso la coalizione La libertad avanza, che rompe col peronismo, col radicalismo e con la destra moderata; si definisce anarcocapitalista libertario. Evoca al contempo un ben noto immaginario manicheo e divisivo, unito al disprezzo per la ‘casta’ politica e al riferimento a la ‘purezza’ del popolo, che in lui si deve identificare. Non è la prima volta che assistiamo, nello scenario argentino, a questa sorta di tensione escatologica verso una prospettiva di superamento della “decadenza” e di rifondazione, rigenerazione totale”.

– Che Argentina sarà quella di Milei?
“All’interno dei possibili coni d’ombra gettati sia dalla discorsività sia dalle azioni della presidenza attuale, ciò che preoccupa in particolare i colleghi storici è una spiccata tendenza alla rivisitazione, in alcuni casi alla negazione, del recente passato autoritario. La storia degli ultimi decenni si è trasformata in un vero e proprio campo di battaglia. Da lì, ad esempio, le accese polemiche sui numeri dei desaparecidos, 30mila secondo le associazioni dei familiari, meno di 9000 secondo il governo. Nonché l’insistenza, nella celebrazione del 24 marzo, anniversario del golpe del 1976, sul “giorno della verità completa”, alludendo alle vittime delle organizzazioni armate degli anni Settanta in Argentina: un periodo di inequivocabile violenza diffusa e pervasiva su più fronti, ma che non è storicamente corretto inquadrare come scenario di due forze di portata analoga. Inoltre, in un paese dove nuove forme di cittadinanza attiva si sono risvegliate e articolate negli ultimi decenni (ad es. attorno alle rivendicazioni femministe, indigeniste, ambientaliste), dichiarazioni come quella di volere eliminare il reato di femminicidio dal codice penale preoccupano, di fatto sono sintomo di poca tolleranza al pluralismo quando non di aperta misoginia. Ci si augura, inoltre, un affievolimento della risposta securitaria del governo a fronte delle numerose manifestazioni di dissenso, soprattutto in reazione ai drastici tagli prodotti in merito a pensioni e istruzione pubblica”.

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