Chi deve accompagnare l'alunno disabile in bagno? Una recente sentenza fa discutere

Dicembre 4, 2025 - 20:00
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Chi deve accompagnare l'alunno disabile in bagno? Una recente sentenza fa discutere

lentepubblica.it

In Italia capita spesso che questioni fondamentali per la tutela degli alunni più fragili vengano affrontate solo quando un tribunale è costretto a intervenire.


È accaduto di nuovo a Foggia, dove una docente di sostegno si è vista costretta a impugnare un ordine di servizio che travalicava ogni logica e, soprattutto, ogni norma vigente. Il 28 novembre il Tribunale ha infatti depositato la sentenza n. 2479/2025, che mette in luce una realtà scomoda e troppo spesso ignorata: la confusione, o peggio la disinvoltura, con cui alcuni dirigenti scolastici scaricano mansioni improprie sul personale docente, anziché garantire i diritti degli alunni con disabilità attraverso le figure previste dalla legge.

Il caso

La vicenda nasce quando la dirigente scolastica ha imposto alla docente di sostegno il compito di accompagnare l’alunno assegnatole in ogni spostamento, vigilarlo costantemente e addirittura farsi trovare all’ingresso della scuola alla prima ora per accoglierlo. Attività che, a un occhio non esperto, potrebbero sembrare parte della normale relazione educativa.

In realtà, si tratta di incombenze ben distanti dal ruolo professionale e dalla finalità pedagogica dell’insegnante di sostegno, il cui compito è favorire l’inclusione scolastica, non sostituirsi a figure addette all’assistenza materiale.

Il nodo della questione

Il problema non è solo di natura contrattuale. È molto più profondo e riguarda il diritto dell’alunno disabile a ricevere l’assistenza adeguata e professionale prevista dalle norme nazionali.

Già oltre vent’anni fa, una Nota Ministeriale — la 3390 del 2001 — aveva chiarito senza possibilità di interpretazioni fantasiose che la responsabilità di organizzare l’assistenza spetta al Dirigente Scolastico, non certo ai docenti coinvolti nei processi didattici. Il dirigente deve assicurare che la scuola disponga di personale formato e assegnato espressamente a quei compiti.

Tuttavia, anziché attivarsi per garantire tale servizio, in questo caso si è preferito imporre forzature ai ruoli esistenti, colpendo proprio chi quotidianamente è impegnato nella tutela della persona con disabilità.

La normativa

Il quadro normativo, del resto, è lungi dall’essere vago: la legislazione distingue chiaramente tra assistenza igienica e di base — compiti attribuiti allo Stato e svolti attraverso i collaboratori scolastici — e assistenza specialistica, che è competenza degli enti locali. Nel primo caso, il D.Lgs. 66/2017 ribadisce che lo Stato deve fornire adeguato personale per adempiere ai compiti previsti dal loro profilo professionale. Non è un optional, è un obbligo.

A fugare anche gli ultimi dubbi è intervenuto il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 2024, che include tra le mansioni del collaboratore scolastico l’ausilio materiale non specialistico per l’utilizzo dei servizi igienici e per la cura dell’igiene personale degli alunni con disabilità. Quindi, non solo la norma esiste, ma descrive con chiarezza, punto per punto, ciò che alcuni istituti fingono di non vedere.

Alla luce di ciò, appare evidente l’assurdità dell’ordine impartito alla docente. Si tratta di un tentativo di far ricadere su chi non è deputato a farlo una serie di servizi indispensabili per l’alunno, che invece dovrebbero essere garantiti da figure professionali apposite. E non può essere accettato che la soluzione adottata da una scuola, anziché garantire i diritti degli studenti, sia la violazione dei diritti dei lavoratori.

Non si può negare l’assistenza a uno studente disabile

Non bisogna dimenticare un aspetto cruciale e spesso taciuto: negare o omettere l’assistenza necessaria agli studenti con disabilità non è solo una grave carenza organizzativa, ma può configurare una responsabilità penale.

Il mancato soddisfacimento di bisogni primari — come i servizi igienici e la cura della persona — può infatti rientrare nel reato di abbandono. Non si tratta quindi di sfumature o di interpretazioni discrezionali, ma di un obbligo perentorio di tutela.

La sentenza del Tribunale di Foggia, in questo senso, rappresenta un campanello d’allarme per tutti quegli istituti che ancora credono di poter eludere le proprie responsabilità con provvedimenti arbitrari. Non si può chiedere ai docenti di sostegno di trasformarsi in assistenti materiali, così come non si può pretendere che suppliscano a carenze croniche di personale o di organizzazione, spesso dovute a inerzia amministrativa o a tagli gestionali mascherati da esigenze improvvise.

I disabili lasciati troppo spesso da soli?

È significativo che, ancora nel 2025, si debba ricorrere a un tribunale per far affermare ciò che le norme già stabiliscono da tempo. Significa che nel sistema educativo italiano c’è qualcosa che non funziona: da un lato si elogia l’inclusione, dall’altro si lasciano le famiglie e gli insegnanti a doversi difendere da decisioni che ostacolano proprio quei diritti che la scuola dice di voler proteggere.

Forse è arrivato il momento che il Ministero intervenga con controlli più stringenti e sanzioni per chi non garantisce il servizio dovuto. Perché se la scuola pubblica vuole davvero essere inclusiva, non può limitarsi a proclami e piani educativi sulla carta. Deve assicurare mezzi, personale e competenze adeguate. E deve farlo ogni giorno, in ogni istituto, evitando scorciatoie che calpestano la dignità professionale del personale e i diritti inviolabili degli studenti.

Una comunità scolastica che parla di inclusione ma nega l’assistenza necessaria sta tradendo la propria missione. E se è necessaria una sentenza per ricordarlo, allora la situazione è ancora più grave di quanto si voglia ammettere.

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