Così Laura Santi è morta libera, ma la sua lotta continua a vivere

Lug 24, 2025 - 10:30
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Così Laura Santi è morta libera, ma la sua lotta continua a vivere

Laura Santi, libera fino alla fine. La giornalista di Perugia, 50 anni, ieri si è auto-somministrata il farmaco letale e si è spenta a casa sua. Aveva chiesto di accedere al suicidio assistito e lo scorso novembre la Asl le aveva accordato il via libera, dopo aver verificato la presenza delle condizioni dettate dalla sentenza della Consulta sul caso di dj Fabo: era in grado di autodeterminarsi, era affetta da una malattia irreversibile fonte di gravi sofferenze e dipendeva da sostegni vitali. La donna soffriva di una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla.Nell’ultimo anno le sue sofferenze erano diventate intollerabili”, ha spiegato il marito Stefano. Che le è stato sempre vicino, anche ieri, quando a mezzogiorno Laura, nel suo letto, ha ingerito il farmaco che l’ha resa la nona in Italia, finora, ad aver avuto accesso al suicidio medicalmente assistito. Che è quello possibile, come dicevamo, grazie alla sentenza della Corte Costituzionale, ma continua a mancare una legge nazionale che detti tempi precisi e ragionevoli per accedere alla pratica.

Da 25 anni Laura poteva muovere solo la testa e tre dita della mano destra: il resto del corpo era completamente paralizzato. Era in sedia a rotelle da 16 anni, era incontinente e dipendeva in tutto dal marito Stefano. La sua giornata oscillava tra il dolore degli spasmi e un’immensa fatica. Laura amava la vita, ma non quella che le era toccata a causa della malattia. Per questo ha lottato fino all’ultimo per un principio soltanto: la libertà di scegliere quando dire “basta”. Anche due mesi fa, quando ormai aveva già ottenuto i permessi per sé dalla Asl, Laura non aveva smesso di dare battaglia: era nella sua Perugia con l’associazione Luca Coscioni, di cui è stata attivista e consigliera generale, per aprire la campagna per chiedere una legge regionale in materia. Il suo impegno civile l’ha accompagnata fin nelle ultime parole, che la giornalista ha affidato all’associazione Coscioni: “La vita è degna di essere vissuta, se uno lo vuole, anche fino a 100 anni e nelle condizioni più feroci, ma dobbiamo essere noi che viviamo questa sofferenza estrema a decidere e nessun altro”. “Io sto per morire – ha continuato Laura – non potete capire che senso di libertà dalle sofferenze, dall’inferno quotidiano che ormai sto vivendo. O forse lo potete capire. State tranquilli per me. Io mi porto di là sorrisi, credo che sia così. Mi porto di là un sacco di bellezza che mi avete regalato. E vi prego: ricordatemi”. Che qui significa: continuate la mia battaglia. Perché oggi Laura è finalmente libera, sì, ma c’è ancora molto da fare.

La denuncia dell’Associazione Luca Coscioni resta ferma. Ed è tutta sui tempi lunghi e i passaggi complessi che un malato terminale, in Italia, è costretto a compiere per accedere al fine vita, come se non bastassero le sofferenze fisiche. Laura Santi, si legge nella nota dell’Associazione Coscioni, “ha dovuto affrontare un lungo e complesso iter giudiziario, civile e penale, per vedere riconosciuto il diritto ad accedere al suicidio medicalmente assistito”. Ci sono voluti tre anni dalla richiesta iniziale alla Asl, due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e un richiamo nei confronti della Asl per arrivare – nel novembre 2024 – a “una relazione medica completa che attestava il possesso dei requisiti”. Poi, continua la nota, “a giugno 2025 è arrivata la conferma dal collegio medico di esperti e poi del comitato etico sul protocollo farmacologico e sulle modalità di assunzione”. Tempi biblici dovuti alla mancanza di risposte da parte della politica e alle pressioni compiute su di essa da alcune realtà. Laura ne era convinta e lo ha denunciato nel suo ultimo appello: “Sul fine vita sento uno sproloquio senza fine – ha scritto – l’ingerenza cronica del Vaticano, l’incompetenza della politica”. Poi, la stilettata al disegno di legge della maggioranza sul tema, che la giornalista ha definito “un colpo di mano che annullerebbe tutti i diritti”. “Pretendete invece una buona legge – il suo appello ultimo – una legge che rispetti i malati e i loro bisogni”.

Il senatore dem Walter Verini ci sta provando. Ha conosciuto Laura, il marito Stefano, è stato a cena nella loro casa di Montebello. Dopo quell’incontro aveva scritto una lettera su queste pagine, in cui sottolineava l’urgenza di un intervento parlamentare sul tema. Oggi quell’urgenza rimane. Raggiunto dall’Unità, Verini dice: “Laura è stata un grande esempio di coraggio. Ha avuto la forza di trasformare la battaglia per se stessa in una battaglia civile per tutti. Ha lasciato una lettera pubblica ai parlamentari che parla proprio di questo: di una politica incapace di fare i conti con la società e con i suoi problemi”. E prosegue: “La proposta del governo sul fine vita è contro le sentenze della Consulta, perché non risponde a quanto i giudici costituzionali avevano chiesto al Parlamento per colmare un vuoto”. Verini riflette poi su quanto le resistenze di oggi sul fine vita siano le stesse subite dalle grandi battaglie del passato: “Anche all’epoca sul divorzio e l’interruzione della gravidanza si diceva che no, non si poteva, non si doveva. E si impediva così di farlo a chi voleva, con l’accusa che così si volessero imporre a tutti quelle condizioni. Ma nessuno vuole imporre niente a nessuno”. E oggi come allora, su temi del genere, dice Verini “i gruppi e i partiti non dovrebbero avere una linea, ma ogni parlamentare dovrebbe essere libero di esprimersi secondo la propria coscienza”. Ed è da questo assunto che bisogna partire, dentro e fuori dalle Aule.

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