Francia, l’estrema destra conferma la sfiducia a Bayrou. Il governo non ha i numeri

Bruxelles – Fine del gioco: François Bayrou ha i giorni contati. La conferma matematica è arrivata in queste ore, durante le consultazioni coi partiti politici avviate dal premier transalpino per sondare il terreno in vista del voto sulla fiducia da lui stesso convocato per la prossima settimana nel tentativo di far passare il suo controverso piano di bilancio per il 2026. A rifiutare di sostenerlo saranno non solo le opposizioni ma anche pezzi della sua coalizione di governo.
Si sono infrante nel pomeriggio di oggi (2 settembre) le ultime speranze del primo ministro francese François Bayrou di rimanere in sella alla guida del governo. Quando, pochi giorni fa, ha annunciato di volersi sottoporre ad un voto di fiducia il prossimo 8 settembre, era probabilmente convinto di poter tirare un coniglio fuori dal cilindro e sopravvivere al fuoco di fila delle opposizioni.
Ma l’inquilino di palazzo Matignon non è nemmeno dovuto arrivare alla fine del giro di consultazioni con le forze parlamentari (che durerà fino a giovedì) per capire che la sua esperienza da premier ministre finirà lì, nemmeno nove mesi dopo aver ricevuto l’incarico dal presidente Emmanuel Macron. Lunedì, a meno di clamorose giravolte, l’Assemblée nationale più balcanizzata della storia moderna francese detronizzerà il capo dell’esecutivo, impallinandolo sull’impopolare progetto di manovra finanziaria per il 2026 con cui si riproponeva di far risparmiare all’erario quasi 44 miliardi di euro.
Bayrou doveva trovare un modo per risanare i conti pubblici di Parigi: il debito pubblico si aggira nei dintorni del 114 per cento del Pil e il deficit ha sforato la soglia del 6 per cento, il doppio di quanto concesso dai vincoli europei (il tetto per il debito è del 60 per cento del Pil). Il primo ministro ha puntato il dito contro il sistema pensionistico nazionale, un buco nero da 400 miliardi all’anno sulla cui riforma, tuttavia, non è riuscito a trovare una quadra con le opposizioni.
Queste ultime – dall’estrema destra del Rassemblement national (Rn) alla sinistra radicale de La France insoumise (Lfi) passando per il Parti socialiste (Ps) – hanno annunciato che non lo sosterranno il prossimo lunedì. La certezza matematica è emersa dopo il due di picche servito al capo del governo dal Rn, il primo gruppo parlamentare per numero di seggi (123 sui 577 totali). Diversi partiti della sinistra non hanno nemmeno partecipato alle consultazioni.
Dopo un’ora di colloqui con Bayrou, la capogruppo in Aula del Rassemblement, Marine Le Pen, ha invocato “uno scioglimento estremamente rapido” del Parlamento. Il suo delfino Jordan Bardella ha confermato che “l’incontro di oggi non cambierà la posizione” del partito, che dirige dal 2022 e che si trova da tempo in testa ai sondaggi: “Prima torneremo alle urne, prima la Francia avrà un bilancio”, ha aggiunto.
La novità delle ultime ore, piuttosto, è che la stessa coalizione centrista raffazzonata in fretta e furia da Macron alla fine dell’anno scorso si è squagliata al sole. Al leader di Mouvement démocrate (MoDem) mancherà il sostegno di alcuni Républicains (Lr) neogollisti, e ci saranno defezioni persino nella piattaforma presidenziale Renaissance – il cartello elettorale che comprende La République en marche (Lrem), Horizons e MoDem – nonché tra gli indipendenti del gruppo Libertés, indépendants outre-mer et territoires (Liot), che puntella l’esecutivo di minoranza.
Non sembra esserci pace per la Francia, un tempo proverbiale per la sua stabilità politico-istituzionale (cristallizzata nella Costituzione del 1958, da cui è nata la Cinquième République) ma oggi terremotata dalla più profonda crisi degli ultimi decenni. Da quando ha perso le europee dell’anno scorso e ha convocato elezioni anticipate, l’inquilino dell’Eliseo si è visto bruciare tre premier in un anno mentre il suo apprezzamento personale colava a picco.
Stavolta, a Bayrou non riuscirà di ripetere il gioco dello scorso gennaio, quando schivò la censura grazie ai voti di ultradestra e socialisti. Una volta caduto il governo, Macron avrà tre opzioni. Nominare l’ennesimo primo ministro, che difficilmente riceverebbe la fiducia dell’emiciclo. Sciogliere il Parlamento e richiamare i francesi alle urne, rischiando di trovarsi tra le mani un’Assemblée ancora più frammentata. O dimettersi lui stesso. Fin qui, tuttavia, monsieur le Président ha categoricamente escluso quest’ultima opzione.
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