Il dramma di Antonio, impiccato in cella ma è una vittima dello Stato

Lug 16, 2025 - 18:00
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Il dramma di Antonio, impiccato in cella ma è una vittima dello Stato

Settembre 2024. Insieme a una delegazione di Radicali Italiani, varco i cancelli di una delle tante – troppe – strutture penitenziarie italiane. In un reparto sovraffollato oltre ogni decenza, incontro Andrea, 50 anni, casertano, sguardo fisso e voce bassa. Mi racconta una storia che non dimenticherò mai. Mi parla di Antonio, 22 anni. Dividevano la cella fino a due giorni prima. Antonio era finito dentro per il furto di uno scooter. Nessuna arma, nessuna violenza, niente sangue. Ma cinque mesi di carcere. Cinque mesi in attesa di giudizio. Nessuna condanna, ma già punito. Soffriva di ansia e depressione, e negli ultimi giorni era diverso: più nervoso, più spento. Andrea mi dice: “Quella sera si è alzato piano. Ha strappato la coperta, l’ha legata in alto. Io mi sono svegliato, l’ho visto buttarsi. Gli ho afferrato le gambe, le tenevo su con tutte le forze. Gridavo, urlavo. Nessuno arrivava. Dopo qualche minuto, le mie braccia non ce l’hanno fatta. Quando hanno aperto la cella, era morto da dieci minuti.”

Antonio non si è suicidato. Antonio è stato ucciso da un sistema che lo ha lasciato solo, senza ascolto, senza cure, senza spazio. Un sistema che chiamiamo giustizia, ma che somiglia sempre più a una discarica sociale. E non abbandona soltanto chi è detenuto. Abbandona anche chi dentro ci lavora: agenti di Polizia Penitenziaria, educatori, funzionari, mediatori culturali. Donne e uomini che ogni giorno fanno i conti con condizioni assurde, spesso rimettendoci in termini di salute, tempo e soldi per coprire le mancanze croniche dello Stato. Parliamo di strutture fatiscenti, dove d’estate si cuoce e d’inverno si gela. Spazi angusti, sporchi, privi di servizi igienici adeguati. Zero investimenti reali nel reinserimento, pochissime misure alternative alla detenzione. E il risultato è noto: il 68% di chi esce dal carcere torna a delinquere entro cinque anni.

Nota a margine, ma fondamentale: tra chi ha accesso a percorsi di lavoro esterno o reinserimento, la recidiva crolla sotto il 10%. Ma si sa, investire in umanità non fa notizia. Noi Radicali lo diciamo da sempre, senza ipocrisie: questo sistema penitenziario non va riformato: va superato. Non previene, non rieduca, non reinserisce. E ora che arriva l’estate, con le temperature in salita e il sovraffollamento alle stelle, l’emergenza rischia di esplodere – di nuovo – nell’indifferenza generale. Per questo abbiamo lanciato un appello. Un appello senza colore politico. E infatti, in pochi giorni, abbiamo raccolto firme da parlamentari di ogni schieramento: da Sinistra Italiana a Forza Italia, passando per PD, Più Europa, Azione, Italia Viva. Chiediamo che, prima della pausa estiva, il Parlamento approvi una legge urgente per tamponare l’emergenza. Non stiamo chiedendo amnistie, indulti o depenalizzazioni – per quanto li riteniamo fondamentali – ma un intervento immediato per fermare questa strage silenziosa, che ogni giorno dentro le nostre carceri uccide, annienta, toglie dignità.

La frase “Il grado di civiltà di una società si misura osservando la condizione delle sue carceri” – che attribuiamo a Dostoevskij, anche se lui probabilmente l’avrebbe detta meglio – resta maledettamente attuale. E se davvero è così, allora oggi l’Italia sta facendo di tutto per sembrare un Paese incivile. E ci sta riuscendo benissimo. Per questo, oggi più che mai, chiediamo con forza ai Parlamentari di firmare il nostro appello e di adoperarsi per arginare questa nuova strage di diritto. Prima che sia – di nuovo – troppo tardi.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia