Lite tra ristoratrice e israeliani, Napoli e il turismo a tutti i costi

Maggio 6, 2025 - 02:00
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Lite tra ristoratrice e israeliani, Napoli e il turismo a tutti i costi

Partiamo dai fatti. Incontestabili e documentati. Una turista israeliana, in visita a Napoli e a pranzo in una taverna del centro storico — la Taverna Santa Chiara — è protagonista di un acceso diverbio con la proprietaria del locale. Il video che immortala la scena, diffuso dalla stessa turista, inizia a discussione già avviata, ma la prima frase chiaramente udibile dalla voce della ristoratrice è: “i sionisti non sono i benvenuti qui”. Una posizione coerente con la linea politica dichiarata del locale, che aderisce apertamente alla campagna “Spazio libero dall’apartheid israeliano”, rete internazionale di esercizi commerciali che rifiutano ogni forma di complicità con le politiche del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese.

La turista, visibilmente alterata, replica accusando la proprietaria di essere “una supporter dei terroristi e antisemita”, confondendo deliberatamente il piano ideologico con quello religioso e culturale, come se criticare lo Stato di Israele o il sionismo politico equivalesse automaticamente a odiare il popolo ebraico — una fallacia logica molto diffusa ma profondamente scorretta. La tensione sale ulteriormente quando la turista dichiara, con tono provocatorio: “Non abbiamo paura di persone come te”. Nel frattempo, la ristoratrice, stanca della piega presa dalla conversazione, rinuncia al confronto e si limita a sparecchiare un tavolo, con l’evidente consapevolezza che ogni ulteriore scambio sia ormai inutile. Ma la turista insiste, spostando la discussione su un piano pseudo-culturale e religioso: “Venerate Maria e Gesù, che sono nati e morti ebrei”. Un’affermazione scorretta in modo sottile ma significativo. Maria e Gesù, nacquero nel contesto della cultura ebraica del tempo, ma la loro morte — soprattutto nel caso di Gesù — avvenne in aperto conflitto con l’establishment religioso ebraico del suo tempo, e il cristianesimo nasce proprio da quella frattura. Dire che “sono morti ebrei” è dunque una semplificazione impropria, evidentemente usata in chiave strumentale per rivendicare una presunta superiorità culturale. Il tono generale del discorso della turista, anzi, sfiora in più punti l’arroganza identitaria, nel momento in cui pretende di spiegare alla ristoratrice che “ogni cosa che siete lo dovete alla nostra cultura”.

Affermazione carica di una buona dose di presunzione storica, che ignora secoli di evoluzioni, contaminazioni, conflitti e separazioni tra le religioni abramitiche, e riduce tutto a una visione monolitica e autocelebrativa della cultura ebraica come matrice unica del mondo cristiano-occidentale. A questo punto, la proprietaria, ancora una volta mantenendo un tono misurato, le dice: “Signora, può andare, per favore. Non voglio i suoi soldi”. E ribadisce il concetto centrale: non si tratta di ostilità verso gli ebrei o verso gli israeliani in generale, ma verso chi sostiene attivamente un governo — quello sionista attuale — responsabile, secondo lei, della morte di oltre 50.000 persone in Palestina. La turista rilancia con un’iperbole storicamente assurda: “Gli ebrei hanno subito 2.000 anni di persecuzioni”. Una cifra che serve solo ad amplificare un senso di vittimismo assoluto, nel quale ogni voce dissenziente debba essere zittita in nome di una superiorità morale derivante dalla sofferenza storica.

Ciò che avviene prima dell’inizio del video — e che ha dato origine all’intero diverbio — è stato successivamente chiarito dalla stessa proprietaria della Taverna Santa Chiara. Secondo la sua ricostruzione, i due turisti israeliani stavano parlando con altri clienti del locale, decantando la bellezza di Israele. Una conversazione che però ha presto preso una piega politica, generando un confronto tra i presenti. In quel contesto, la ristoratrice è intervenuta per chiarire l’identità del suo locale, esplicitamente solidale con il popolo palestinese e contrario alla linea del governo israeliano. Da lì, la discussione è degenerata. Dunque, “i sionisti non sono i benvenuti qui” non è stata una provocazione gratuita, bensì una presa di posizione chiara e coerente, in risposta a un confronto già in atto.

La turista, uscita dal locale, ha diffuso il video tramite social e, ancora una volta, l’informazione frettolosa e priva di rigore delle piccole e grandi testate ha soffiato sul fuoco dell’indignazione pubblica. Titoloni hanno iniziato a circolare a poche ore dal video, senza approfondire il contesto né verificare le dichiarazioni delle parti coinvolte. “Turisti israeliani allontanati da un ristorante di Napoli: ‘Non siete i benvenuti’”, oppure “Cacciati perché ebrei” hanno alimentato immediatamente una campagna diffamatoria nei confronti della ristoratrice, con una gogna social, minacce personali, recensioni negative organizzate, e la totale distorsione della sua posizione. Confondere termini come “sionista” ed “ebreo”, come ha fatto la gran parte della stampa nazionale, è non solo scorretto, ma pericoloso. Significa cancellare la distinzione tra ideologia politica e identità culturale o religiosa, e chiudere ogni spazio di dissenso. È un gioco retorico che trasforma qualunque critica politica in razzismo, alimentando un clima tossico in cui il pensiero critico viene automaticamente criminalizzato.

Essere contro l’apartheid israeliano non significa essere contro il popolo ebraico, né tanto meno contro singoli individui di fede o cultura ebraica. Significa opporsi a un sistema di violenza strutturale, di colonizzazione, di punizione collettiva e di occupazione militare, che da anni colpisce un popolo ormai inerme e allo stremo delle forze, costretto a vivere in condizioni disumane. Oggi, sostenere la causa palestinese non è una posizione “estrema”, ma un atto di coscienza civile. È una presa di posizione contro i crimini sistematici documentati da organizzazioni internazionali e ONG indipendenti, che parlano chiaramente di uso sproporzionato della forza.

Se non bastasse la conta dei morti quotidiana, è di pochi giorni fa la notizia che la nave “Conscience“, parte della Freedom Flotilla Coalition diretta a Gaza con aiuti umanitari, è stata attaccata da droni israeliani in acque internazionali vicino a Malta. Un atto gravissimo, ignorato o minimizzato da molti media. In questo scenario, chi si espone — come la ristoratrice napoletana — per dichiarare apertamente il proprio dissenso contro questa politica di oppressione, viene attaccato, screditato e diffamato. E qui emerge il punto: il dibattito pubblico continua a rifiutare ogni distinzione tra ebraismo, israelianità e sionismo. A volte per ignoranza; altre, più gravemente, per dolo. O per ignavia. Nulla lo dimostra meglio della posizione assunta dal Comune di Napoli.
Oggi il sindaco Manfredi e l’assessora al turismo Armato, secondo le informazioni riportate da una nota testata locale, hanno espresso solidarietà pubblica ai turisti israeliani, ignorando completamente il contenuto del confronto, le motivazioni della protesta, e la legittimità — sul piano del diritto e della coscienza — della posizione assunta dalla titolare del locale. Un atto di piaggeria politica, motivato unicamente dal timore di danneggiare l’immagine della città agli occhi di un turismo internazionale sempre più visto come risorsa economica da non disturbare. Ma cosa resta dell’identità di una città come Napoli — con la sua lunga tradizione di accoglienza, sì, ma anche di resistenza e di partecipazione attiva ai movimenti popolari — se si svuota il significato stesso di “accoglienza” fino a farne solo una vetrina da vendere?

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia