New Indie Italia Music Week #237

Giugno 24, 2025 - 16:30
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New Indie Italia Music Week #237

“Noi siamo diversi, abbiamo nuovi valori
Tra poco tempo sarà il nostro turno e mescoleremo i colori
Noi siamo diversi, abbiamo nuovi valori”
(Emma Nolde – Indipendente)

Il tuo turno sta per arrivare. Non buttare via i colori che ti contraddistinguono, non lasciare che si sfochino sferzati da tempeste portatrici di scale di grigi.

Una nuova era sta per cominciare per dimostrare la nostra unicità, i nostri valori, e per cantare inni di indipendenza.

Scopri le migliori nuove uscite della settimana, scelte e recensire dalla redazione.

La tua presa di posizione inizia (anche) da qui. Dalla musica che ascolterei intraprendendo la strada verso un nuovo mondo.

Avvicinarsi alle casse

“Avvicinarsi alle casse” suona più come una trappola che come un invito. È la voce fredda di un altoparlante che ti guida verso la fine del percorso, tra offerte lampeggianti e illusioni a buon mercato. I Ministri la trasformano in un grido abrasivo, in una marcia dentro il ventre di un mondo che ci vuole tutti identici, obbedienti, con la testa bassa e la carta di credito in mano. Niente di nuovo dal punto di vista del suono: Il garage rock dei primi Duemila torna a fare il suo sporco lavoro, come sempre impeccabilmente. Chitarre che graffiano senza pietà, un groove che ti prende per il collo e un ritornello ossessivo che ti resta incastrato in testa come uno slogan pubblicitario. È un pezzo cattivo, nel senso giusto

Ma dentro c’è anche dell’altro: una malinconia di fondo, la consapevolezza che il problema non è solo il sistema, ma anche le nostre crepe personali. Perché anche in mezzo al rumore, serve qualcuno che ci ricordi la poesia. I Ministri non stanno cercando l’evoluzione. Stanno scegliendo la coerenza, la botta, la presa diretta. E ci sbattono in faccia uno specchio pieno di incoerenza e luci al neon, chiedendoci se questa società asettica sia ciò che ci rappresenta davvero.

(Serena Gerli)

I Ministri:8,5

Lampo

Frah Quintale ha la straordinaria e unica capacità di far emergere quel lato romantico che è anche un pò disperato, un pò come se i suoi testi descrivessero un personaggio di Woody Allen per intenderci.

“Lampo”, nuovo singolo dell’artista è una storia d’amore che nasce quando tutto ciò che ti circonda non riesce a darti nessuno stimolo. Allora ti aggrappi a quell’unica luce in grado di ridarti la vita, come un cinico senza Dio che per la prima volta vede un angelo.
Il dualismo tra speranza e disperazione che caratterizza il brano è accentuato dalla scrittura musicale, che esplode in un sound fatto di chitarre acustiche e sintetizzatori che restituiscono al testo quel perfetto retrogusto agrodolce.

(Filippo Micalizzi)

Frah Quintale: 7

L’immagine

Ma quando arriva l’estate è la domanda retorica di sigarettewest perché il cantautore non si riferisce ad un determinato periodo dell’anno, ma la sua è una invocazione ai sentimenti e ad uno stato d’animo che riporta alla felicità e alla malinconia di un addio. “L’immagine” è una via di fuga verso luoghi che profumano di casa, bruciando sotto al sole cocente. E così un tuffo in mare diventa rinfrescante mentre perdersi dentro certi sorrisi provoca una sensazione di smarrimento.

La bellezza è qualcosa di estremamente prezioso dalla quale si può venire rapiti, diventando prigionieri inconsapevoli, incapaci di trovare una via tra spazio e tempo. L’amore nasconde anche questo pericolo, insieme ad altre fragilità.

(Nicolò Granone)

Sigarettewest: 7

Non ho

La ricetta della felicità forse non esiste, però l’essere umano rincorre una certa indole melodrammatica e sofferente. Viene più facile identificare una sensazione di malessere piuttosto che essere orgoglioso di quello che ha e quello che si vive. Si cerca sempre di vedere oltre, di non accontentarsi, rimanendo così appesi alla ricerca di un di più. Chissà se filosofia, psicologia ed economia, confermano che siamo vittime di un capitalismo emotivo che evidenzia cosa non c’è piuttosto di quello che è.

“Non ho” è una lista di desideri e oggetti che mancano, e che con la loro assenza creano un vuoto non solo fisico ma anche interiore. Emozionarsi, sentendosi vulnerabili è un atto di fede al quale viene naturale esporsi ascoltando questo nuovo pezzo made in Lingue.

(Nicolò Granone)

Lingue: 8

Rumore

Altro che ipotesi complottiste o “la celebre teoria del terra piattismo”, gira gira il mondo non esiste. Intorno a noi c’è solo un gran casino, un rumore di fondo che stordisce, confonde e aumenta il senso di smarrimento, valore comune dell’uomo protagonista di questi complicati anni 20′. Tra guerre, rivolte sociali, tecnologia artificiale, le proposte sono sempre di più rispetto alle soluzioni e alla fine le criticità aumentano, nel silenzio della falsa consapevolezza di vivere in una società perfetta e performante.

È un atto di coraggio uscire dagli schemi e iniziare a pensare non solo a nuove idee cercando di creare una diversa consapevolezza. Gli ADA con il loro sound ruvido e rock invitano a fare casino: se le cose non cambiano almeno facciamoci sentire e balliamo più forte.

(Nicolò Granone)

ADA: 7,5

I Nostri Mostri

Senza dover necessariamente scomodare le scienze cognitive e il modo in cui prendiamo decisioni, se ci concentriamo puramente su qualcosa di intangibile come l’animo umano, possiamo affermare con sicurezza che questo sia qualcosa di straordinario. Siamo in grado di compiere grandi cose soltanto con la sola forza di volontà, tutto ciò che ci serve per metterci in moto è una piccola spinta in avanti, e questa volta, a darcela, sono i Loren con la loro “I Nostri Mostri”.

Il nuovo brano della band ci risveglia dalla disillusione tipica di questi ultimi anni, dimostrando che, se solo trovassimo il coraggio, saremmo in grado di affrontare qualunque cosa. Basta solo smettere di trovare scuse e iniziare a credere davvero in noi stessi: solo allora potremo affrontare i nostri mostri. ù

(Filippo Micalizzi)

Loren: 8,5

PURO CLICHÉ

“Ci sono pensieri non posso, restiamo in un luogo nascosto”. A Kawakami basta poco per sfondare tutti i muri dell’ipocrisia, uccidere il Puro cliché del titolo. Sono i nostri pensieri a frenare la realizzazione del nostro desiderio? Siamo condizionati più dal nostro carattere o da preconcetti sociali? Viene da pensare alla dichiarazione di Russel Crowe a Jennifer Connelly in A beautiful mind, o al discorso di John Travolta sui menzogneri silenzi nel chiacchierato massaggio ai piedi di Pulp Fiction.

Quel che è certo, è che l’amore viene dopo la pulsione sessuale. E che ci sarebbe di male se le due protagoniste consumassero la loro passione all’istante, senza esitazioni? Troppi pensieri a innalzare muri. Forse. Perché la forza del singolo è anche questa: è seducente non solo per le strofe trascinanti, ma perché non sappiamo se questo rapporto sia avvenuto o rimasto in una tensione erotica immaginata. E altrettanto sensuale. La risposta dunque qual è? Che i nostri limiti mentali sono eccitanti quanto l’atto stesso perché alimentano il fervore? Il Puro cliché è afrodisiaco o ammazzasesso? Di certo quello del brano è una metafora, esplosiva e sexy.

(Stefano Giannetti)

Kawakami: 8,5

Amore infedele

“Amore infedele” è un singolo lucido, sfacciato, immediato, capace di trasformare una storia privata (solo in apparenza) in un inno generazionale. L’artwork di copertina, col suo stile quasi DYI, semplice, eppure molto curato, ben riflette l’estetica del progetto: un’artista che riesce a raccontare il presente con apparente leggerezza restando però sempre sincera. Un altro tassello che conferma Prim come una delle penne più fresche e originali del momento.

(Ilaria Rapa)

Prim:7,5

è tempo di

Scritto e prodotto interamente dall’artista, “è tempo di” è un monito dolce e coraggioso al cambiamento, capace di trasformare le crepe interiori in nuova luce. Le sonorità indie-pop si mescolano a sfumature più calde e avvolgenti. Daria Huber canta la paura e la rinascita con una voce sincera, che non ha bisogno di forzature per emozionare. Un diario scritto in un prato, uno sguardo non solo volto all’esterno, ma anche dentro di sé, dove spesso si ha paura di guardare.

(Ilaria Rapa)

Daria Huber: 7,5

Filler

Ci sono canzoni che arrivano senza bussare. Entrano piano, quasi in punta di piedi, ma poi si fanno spazio dentro. “Filler” è così. Il nuovo singolo de I Giocattoli, fuori il 20 giugno per Giungla Dischi, è il loro modo di tornare, senza clamore, ma con una verità difficile da scrollarsi di dosso. È una ballata malinconica e luminosa, che racconta il vuoto con parole precise, come una frase detta sottovoce che però resta lì, tra cuore e stomaco. “Con il filler sulle labbra così galleggiamo / in questo oceano che sembra un acquario”: è tutto lì, il nostro tempo: bello, lucido, ma incapace di toccare davvero il fondo. Troppo stanchi per andare a fondo, troppo lucidi per ignorarlo.

Il feat. con i Kaufman funziona come un contrappunto dolce e spontaneo, e la produzione di Hyppo e Claudio Marciano veste la canzone con cura ma senza eccessi: niente fronzoli, solo sostanza emotiva. “Filler” parla a chi si sente fuori posto anche quando fa tutto giusto. A chi sorride per non deludere, ma dentro si chiede se c’è qualcosa di vero. Non ha bisogno di esplodere per colpire. Non cerca il tormentone, non rincorre le mode. Si siede accanto e resta. È la colonna sonora perfetta per quelle notti in cui ci si sente un po’ trasparenti. O per quei pomeriggi in cui il silenzio pesa più delle parole. È una canzone che non giudica. Che non consola nemmeno, forse. Ma capisce. E certe volte, basta questo per sentirsi meno soli.

(Viola Santoro)

I giocattoli, Kaufmann: 7,5

La danza della sfiga

C’è un momento, spesso a fine giornata, in cui il rumore si abbassa e restano solo i pensieri che fanno più casino di tutto il resto. È lì che arriva “Danze della sfiga”, il nuovo album de Le Schiene di Schiele, e non per consolarti. Ti si piazza accanto e dice: “Guarda che non sei solo. Fa male a tutti, anche se lo nascondiamo bene.” È un disco che non addolcisce nulla. Non tende la mano: ti urta. Ma in quel fastidio c’è qualcosa di vivo, di profondamente umano. Otto tracce che sembrano inciampi messi in fila, ognuna con il proprio livido, la propria rabbia, la propria verità. È difficile ballare bene nella vita, e questo album lo sa benissimo: lo abbraccia, ci costruisce sopra una danza storta, una liberazione collettiva, un urlo sincero in un mondo che preferisce filtri e silenzi.

Il cuore del disco è “La danza della sfiga”, un brano che suona come un rito: si prende gioco del fallimento, lo rivendica, lo rende ritmo. È un pogo emotivo, una resa feroce ma lucida. Non c’è alcuna redenzione, ma nemmeno bisogno di scuse. Perché prima o poi, tutti cadiamo. Non è sempre poesia: a volte è solo realtà che fa rumore.

Il post-punk de Le Schiene di Schiele non è nostalgia, non è citazione. È carne viva, è Torino che si infila sotto le unghie, è la rabbia di chi non vuole diventare indifferente. Brani come “Martini Dry” e “Romanzo Russo” colpiscono come battute taglienti dette al bar da chi ha capito troppo tardi come vanno le cose. “10 Giugno” e “Caino” affondano nella storia e nell’emarginazione, e fanno male perché sono scomodi, necessari, veri. Poi arriva “Ti voglio bene”, con Fitza, e qualcosa cambia. La rabbia si ammorbidisce, la voce si fa intima, quasi rotta. È un dialogo immaginario, ma più vero di tanti discorsi reali. È qui che il disco mostra la sua parte più fragile: quella che non ha paura di tremare.

Non è un album da ascoltare in sottofondo. Ti costringe a fermarti, a sentire, a fare i conti. E quando finisce, qualcosa resta: un fastidio buono, come quando ti cade addosso una verità che non volevi vedere, ma ora che c’è non puoi ignorarla. In un’epoca di voci che vogliono solo spiegare, è un atto di resistenza. Una colonna sonora per chi ha smesso di cercare il passo giusto e ha deciso, finalmente, di danzare anche nella disfatta.

(Viola Santoro)

Le schiene di Schiele: 7

L’altare

Non tutte le canzoni si ascoltano. Alcune si attraversano. “L’altare”, il nuovo singolo di Alec Temple, è una liturgia in forma di brano dance pop: un climax emotivo e sonoro che unisce falsetti viscerali, cori da processione laica e beat tribali, sospeso tra spiritualità e bisogno feroce di lasciare il segno.

La voce arriva filtrata, inquieta, quasi trattenuta. Ma cresce, si spinge in alto, fino a sciogliersi in un ritornello che esplode come un rito collettivo. L’ocarina, strumento sacro e arcaico, duetta con la voce come un secondo corpo, accentuando il senso di invocazione, di supplica moderna davanti a divinità mute. In “L’altare” c’è il battito del dancefloor e l’eco di un bisogno più profondo: quello di essere visti, ricordati, lasciar traccia. Anche se per farlo bisogna inginocchiarsi davanti a divinità che non rispondono, o forse non esistono.Alec Temple trasforma il la pista di luci in un luogo di confessione, in cui ogni battito è un gesto disperato ma lucido. Il brano fa parte di “la goccia”, la compilation mensile di Fluidostudio. E se davvero ogni uscita è una goccia che scava, questa scava in profondità. Non per trovare risposte, ma per farci restare lì, in ginocchio, col cuore in ascolto.

(Viola Santoro)

Alec Temple: 8

Un fratello

Un invito a tenere strette le persone che contano davvero, un promemoria emotivo sulla fragilità dei legami e sulla forza che si trae dal sostegno reciproco.

I Malamore creano un inno all’amicizia e alla solidarietà umana, concentrandosi sulla necessità di costruire legami che ci rendono più forti.

Il sound del brano riprende l’energia indie-rock del trio, l’arrangiamento mantiene un equilibrio tra immediatezza melodica e profondità emotiva; è una produzione che dimostra che il loro stile rimane personale e coinvolgente.

Il testo esplora le sfumature dell’affetto, qui la figura del fratello è simbolo della presenza che ci sostiene anche nei giorni più duri. Non ci sono eccessi poetici, ma parole semplici e dirette che colpiscono l’ascoltatore.

(Benedetta Rubini)

Malamore: 8

Eva

Versailles con “Eva” punta l’attenzione sulla lucidità dopo la violazione, la scoperta di un tradimento che lascia cicatrici indelebili. È il momento in cui la ferita ancora sanguina.

Linee vocali ipnotiche, synth increspati, atmosfere cupe, sospese su un beat lento, si crea una sorta di aggressività trattenuta.

“Con centomila morsi sei Eva, mi brucia la bocca, la tua resta seria…” L’immagine del morso evoca la passione, il gusto amaro di un amore ormai consumato.

“Eva” espone le ferite alla luce, è una resa emotiva, non una sconfitta: Versailles non chiede perdono, non racconta di amore, ma mostra quello che resta dopo. È il brano giusto per chi vuole ascoltare un cuore che pulsa doloroso nel buio.

(Benedetta Rubini)

Versailles: 8

Via Bramante

“Via Bramante” è un luogo che diventa metafora, è una casa, uno spazio condiviso e di convivenza, ma è la convivenza in una relazione queer, che perciò diventa anche un atto politico. “Prendi un albero, mi dicevi all’Idroscalo…io ti ascoltavo e mi mangiavo un gelato.” Piccoli fotogrammi di vita insieme, intimità e momenti spensierati, le immagini che si alternano nel testo evocano l’energia del quotidiano.

Non è solo un singolo nostalgico ma un affresco politico, in cui l’esperienza personale diventa espressione di una dimensione sociale , in cui l’amore e la casa diventano luoghi di resistenza.
Qui emerge una rara sensibilità, Marchi canta con la leggerezza di chi parla di amore senza paura.

(Benedetta Rubini)

Marchi: 7,5

Zagara

“Zagara” è una canzone che non ha paura di dichiarare troppo, sentire troppo, essere troppo. Sta lì, sospesa tra un’estasi che brucia e una paura che trattiene, come un’apparizione a cui non sai se credere. Non è solo amore, è qualcosa di più viscerale e mistico, che profuma di sole sulla pelle e pensieri che corrono veloci.

Il sound del brano è attraversato da una dualità continua, quasi fosse costruito su due geografie interiori prima che reali: Palermo e Berlino, il sud che accoglie e il nord che trattiene, il sacro popolare e l’elettronica algida. Il risultato è catartico ed elegante: la fisarmonica e i cori da processione si intrecciano con synth anni Ottanta, ritmi ipnotici e un cantato che sembra una carezza e una confessione allo stesso tempo.

Francamente scrive con il corpo prima che con la penna. Le immagini sono laceranti e vivide ma sorprendentemente tenere. “Zagara” non è una canzone che si lascia spiegare: va ascoltata sotto il sole, a piedi nudi, mentre si prova a credere che anche l’amore più grande possa essere leggero. E che, a volte, si può danzare anche con le ginocchia che tremano.

(Serena Gerli)

Francamente:8-

Croccante

“Croccante” non è solo un titolo: è uno stato mentale, un richiamo da dancefloor che suona come uno schiocco di dita, una parola d’ordine che ti spinge a mollare la maschera prima ancora dei vestiti. Funky, disco, house: tutto è condito con ironia, eppure niente è messo lì per caso. È quella leggerezza lucida che serve per sopravvivere quando il mondo là fuori ti chiede continuamente di essere qualcun altro.

Protopapa sforna la sua personale “hit estiva” insieme a Hey Cabrera!, Bruno Belissimo e Hard Ton: un ensemble che suona come un rituale di liberazione tra falsetti che flirtano con l’assurdo e beat che non si prendono sul serio. La voce baritonale di Protopapa apre le danze tra sarcasmo sui poser e inviti a sporcarsi le scarpe sulla pista da ballo.

“Croccante” è un incantesimo pop queer, fatto per chi nei club ci si perde e ci si ritrova. Un brano che balla sul filo sottile tra parodia e verità, tra estetica camp e voglia sincera di appartenere. Qui tutto luccica, ma niente è patinato: sotto le luci stroboscopiche ci sono sudore, glitter e desideri reali.

(Serena Gerli)

Protopapa: 8-

Alibi

Ogni tanto servirebbe un po’ di coraggio in più per andare oltre, uscendo dalla propria confort zone senza trovare scuse o giustificazioni. “Alibi” di Santamaria è un invito a mettersi nei guai, senza pensare troppo alle conseguenze perché all’improvviso potrebbe succedere qualcosa di speciale che coincide con il sentirsi tremendamente vivi.

Potremmo considerare questo brano addirittura rivoluzionario perché invita ad agire per istinto e sentimento, senza sentire l’obbligo sociale di dover rispondere prima a delle richieste e poi, prendere le proprie decisioni. Un pensiero fuori dagli schemi da ricordare e soprattutto ascoltare!

(Nicolò Granone)

SANTAMARIA:8

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Redazione Redazione Eventi e News