Non solo capispalla. Herno arriva ai 200 mln anche grazie all’extra-core

“A Firenze presentiamo una collezione sempre più completa, a servizio dei nostri consumatori, con grande equilibrio su tutte le nuove categorie merceologiche che ormai rappresentano il 50% del nostro fatturato”. Claudio Marenzi, presidente del gruppo Herno, racconta a Pambianconews le strategie dell’omonimo marchio italiano presente a Pitti Uomo 108 (17-20 giugno) con la collezione primavera/estate 2026. Noto per i suoi capispalla, da alcune stagioni il brand ha implementato anche altre categorie merceologiche introdotte negli anni che oggi rappresentano complessivamente la metà del turnover annuale.
“Pantaloni, maglieria, camiceria, abiti e anche scarpe, la nostra collezione oggi è estremamente completa e rispecchia la nostra idea di menswear. Il successo è stato decretato non solo dal retail diretto ma dai clienti wholesale che non vedono più Herno come un brand di soli capispalla ed è una conquista perché di solito i multibrand dividono i propri fornitori per categorie merceologiche. La rete commerciale non è mai stata smantellata anche dopo l’esordio nel retail perché le opinioni dei clienti wholesale sono preziosi per le composizioni delle collezioni”, spiega Marenzi.
Nel 2024 il brand ha raggiunto i 184 milioni di euro, in crescita dell’8% sull’esercizio precedente. In questo fiscal year Marenzi conta di superare i 200 milioni forte di una crescita in linea con lo scorso anno. Herno conta 50 store monomarca, il canale wholesale rappresenta il 60% del giro d’affari con oltre mille boutique, l’e-commerce il 6 per cento. Tra le aree geografiche l’Italia primeggia con il 27% della quota di ricavi mentre il primo mercato estero è il Giappone (18%) seguito dagli Stati Uniti (12%) e diversi Paesi europei tra cui Germania, Spagna e Francia,
“Negli Usa la situazione è ancora incerta, il mercato reagisce in modo schizofrenico, c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, chi mezzo vuoto, anche l’incertezza avrà un impatto e forse allungherà la stagione di vendita nel wholesale. Sono ottimista, penso ci sarà un aumento dei dazi ma sarà contenuto, affrontabile, come avvenuto anche in passato perché comunque gli americano apprezzano molto il made in Italy, così come i giapponesi”, dichiara il manager, specificando che il 50% delle collezioni di Herno sono made in Italy e il restante viene prodotto nel Vecchio Continente.
“Le materie prime più economiche vengono lavorate oltre confine mentre cashmere, angora, cammello, seta e cotone in Italia, così da avere un miglior bilanciamento qualità/prezzo. Vengo dall’operation e produzione dal 1985, abbiamo messo in piedi una vera propria proposta tessile, quasi verticale, sulla supply chain che è il vero tema del futuro”.
Nonostante Herno sia tra i marchi di maggior rilievo all’interno di Pitti Uomo, la linea maschile rappresenta il realtà il 40% del turnover: “Data l’autorevolezza della manifestazione sembra che il menswear sia preponderante ma in realtà da diversi anni le proposte donne vendono di più”, chiarisce il manager.
Per quanto concerne il versante retail, dopo varie aperture nel 2024 il manager sente di aver raggiunto un numero congruo alla crescita che si era prefissato per il segmento. “Servirà fare esperienza perché per abbiamo approcciato il retail nel 2016, un lavoro diverso rispetto a quello che facevamo prima, da retailer vogliamo concentrarsi sulla brand awareness. Per il 2025 e il primo semestre del prossimo anno non abbiamo previsto aperture se non il trasferimento dello store romano in via Borgognona, presso il Palazzo Torlonia, a 200 metri dal negozio attuale ma stavolta non più in franchising”, conclude Marenzi.
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