Tumore dell’endometrio: l’immunoterapia in prima linea aumenta a sopravvivenza

Maggio 22, 2025 - 11:00
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Tumore dell’endometrio: l’immunoterapia in prima linea aumenta a sopravvivenza

L’AIFA ha recentemente approvato l’estensione dell’indicazione per le pazienti con carcinoma dell’endometrio primario avanzato o ricorrente, con deficit del sistema di mismatch repair (dMMR) e elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H), candidate alla terapia sistemica.. La combinazione dostarlimab più chemioterapia ha dimostrato di ridurre del 72% il rischio di progressione e del 68% quello di morte rispetto alla sola chemioterapia.

 

 

Ascolta la notizia in pillole qui:

 

Si può parlare di guarigione per il tumore dell’endometrio? Grazie all’immunoterapia con dostarlimab in combinazione con la chemioterapia, “si è aperta una nuova era dell’oncologia”, dichiara Domenica LORUSSO, Direttore Programma di Ginecologia Oncologica Humanitas San Pio X di Milano.

“I risultati dello studio RUBY, che ha valutato l’efficacia dell’aggiunta di dostarlimab allo chemioterapia standard, carboplatino e paclitaxel, arruolando 600 pazienti in due anni, sono roba mai vista prima”.

“Parliamo di una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o di morte nelle pazienti al terzo o quarto stadio trattate con la combinazione in prima linea”.

I numeri di questo tumore, prima dell’avvento dell’immunoterapia, erano, purtroppo infausti: con la sola chemio il tempo medio di sopravvivenza risulta infatti inferiore ai tre anni e, sempre mediamente, una recidiva si ripresenta entro 14 mesi.

 

Cos’è il tumore dell’endometrio?

Risponde sempre la professoressa Lorusso: “è tipico della post menopausa, ma stiamo osservando un incremento anche nelle giovani donne”.

“Insorge nell’utero e dà segnali precoci: perdite ematiche che, in menopausa, mettono subito in allarme le pazienti”.

“Ogni anno si diagnosticano 10 mila nuovi casi nel nostro Paese e oggi ci sono circa 130 mila donne in questa condizione”.

 

Cosa fare in caso di sanguinamenti dopo la menopausa? 

“È necessario eseguire subito una visita ginecologica, con ecografia: da questa si può vedere l’inspessimento dell’endometrio, che è il segnale dell’insorgenza del tumore”.

“Tuttavia, in un buon 25% dei casi, il tumore sfugge all’ecografia, in quanto l’endometrio si presenta piatto, pertanto, sempre in caso di perdite ematiche, è necessario, dopo l’ecografia, eseguire l’esame istologico”.

“Nell’80% dei casi si scopre quando è ancora confinato nell’utero, il restante 20% esordisce in fase avanzata, con metastasi al di fuori di esso”.

“Non è un tumore prevedibile e purtroppo non esiste uno screening come il pap test per il collo dell’utero”, aggiunge Nicoletta CERANA, Presidente ACTO Italia – Alleanza Contro il Tumore Ovarico.

 

Quali sono le cause del tumore dell’endometrio?

“Le cause non sono sempre note, si sa però che lo stile di vita predispone al rischio: fumare, fare poca attività fisica, obesità, diabete sono tutti fattori che predispongono”, prosegue Cerana.

“Nonostante l’incidenza sia in crescita, c’è poca informazione sulla malattia”.

Tra i fattori di rischio, un ruolo lo gioca anche l’eccessiva esposizione agli estrogeni come avviene a fronte di un inizio precoce del ciclo mestruale (menarca precoce), di menopausa tardiva o assenza di gravidanze.

Altri fattori sono la familiarità e l’ereditarietà: in quest’ultimo caso la Sindrome di Lynch è una condizione ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare sia un tumore dell’endometrio, sia del colon in età giovanile.

Per questo è importante che in caso di diagnosi di Lynch i familiari della paziente vengano sottoposti allo specifico test genetico. E per tutto quello che abbiamo raccontato finora la ricerca è fondamentale.

 

Come si tratta il tumore ovarico?

“Dopo la biopsia, una volta identificato il tumore, si procede con la chirurgia mini-invasiva all’asportazione dell’utero e delle ovaie e del linfonodo sentinella, il più vicino all’utero; quindi segue radio e chemioterapia”, spiega Lorusso.

“Nonostante si rileva precocemente, non è un tumore facile e la mortalità è in aumento”.

“Con il progetto Genoma, analizzando il DNA del tumore, si è scoperto che ci sono quattro tipi diversi di questo cancro e per ognuno ora si esegue una strategia di cura differente, a seconda della profilazione molecolare che emerge dalla biopsia della paziente, come l’ormonoterapia e l’immunoterapia”.

“Fino a qualche anno fa si trattavano tutti allo stesso modo, con sei cicli di chemio ogni tre settimane, ma coi risultati deludenti poc’anzi mostrati”.

“Nel 30% dei casi, il tumore ha la caratteristica genetica dell’instabilità dei microsatelliti; in altre parole, significa l’incapacità cellulare di riparare il DNA, con produzione di proteine incomplete non riconosciute dal sistema immunitario”.

“Su questa popolazione di pazienti che non rispondevano alla chemio, è stata sperimentata l’immunoterapia e i risultati dello studio GARNIER, hanno mostrato un tasso di risposta del 50% rispetto al 10% della chemio”.

L’autorità regolatoria ha da poco approvato l’estensione dell’indicazione in prima linea dell’immunoterapia a base di dostarlimab in combinazione con la chemioterapia per le pazienti “con carcinoma dell’endometrio primario avanzato o ricorrente con deficit del sistema di mismatch repair (dMMR) e elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H), candidate alla terapia sistemica”.

Come funziona dostarlimab?

Il farmaco agisce sul checkpoint immunitario PDL-PDL1. Cosa significa: se il nostro sistema immunitario riuscisse a riconoscere le cellule cancerogene, i tumori non si svilupperebbero; ma, per non essere distrutte appunto dai linfociti del nostro sistema, queste cellule maligne esprimono sulla loro superficie una proteina che, legandosi ad essi, comunica loro di non attaccarle.

In un certo senso si “mascherano” e sfuggono così all’azione del sistema immunitario. L’immunoterapico, quindi, si lega a questo recettore delle cellule del tumore, impedendo così tale processo e in questo modo “toglie il freno” al sistema immunitario che distrugge le cellule maligne.

 

Si può guarire dal tumore dell’endometrio?

In un’analisi esploratoria pre-specificata della sola sopravvivenza globale (OS) nella popolazione dMMR/MSI-H, l’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia ha determinato una riduzione del 68% del solo rischio di morte rispetto alla chemioterapia.

Nel caso specifico, a 2 anni, il 61,4% delle pazienti dMMR/MSI-H trattate con dostarlimab e chemioterapia era libero da progressione o morte rispetto al 15,7% dellepazienti trattate con la sola chemioterapia standard.

A 3 anni, il 78% delle pazienti trattate con dostarlimab e chemioterapia era vivo rispetto al 46% delle pazienti trattate con la chemioterapia.

“Il RUBY – prosegue Lorusso – ha cambiato la pratica clinica per tutte le pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente dMMR/MSI-H. Il 72% di riduzione della progressione della malattia o di morte in donne con carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante, è un traguardo enorme, inimmaginabile”.

“Significa soprattutto che le curve del RUBY ci mostrano che stiamo guarendo queste donne: un verbo, guarire, che non avrei mai immaginato di poter usare per tumori recidivanti o che esordiscono al quarto stadio. A questo punto non è utopia pensare che alcuni gruppi di pazienti potrebbero addirittura beneficiare della sola immunoterapia senza chemio”.

“Sono in corso, infatti, due studi con solo immunoterapico paragonato alla chemio e avremo i risultati nel 2026”.

 

Dice Elisabetta Campagnoli, direttore medico oncoematologia di GSK: “Da anni siamo impegnati nella ricerca e nello sviluppo di terapie innovative che possano fare la differenza per le pazienti, offrendo non solo tempo, ma anche una migliore qualità di vita. L’approvazione della combinazione di dostarlimab e chemioterapia rappresenta unpasso significativo in questa direzione. Un risultato ottenuto grazie ad uno studio internazionale che ha visto coinvolti in Italia 8 centri”.

“Siamo determinati a continuare su questa strada – prosegue Campagnoli – investendo in ricerca e collaborando con la comunità scientifica per garantire che le innovazioni, tutte le innovazioni, arrivino rapidamente alle pazienti che ne hanno bisogno. Infine, consentitemi di sottolineare un altro elemento chiave del nostro approccio: la collaborazione con le associazioni pazienti. Crediamo fermamente che il dialogo continuo e il sostegno reciproco con queste organizzazioni siano fondamentali per comprendere meglio le esigenze delle donne affette da una patologia oncologica e per sviluppare soluzioni terapeutiche che rispondano ai loro bisogni reali”.

 

 

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