Università inglesi e proteste: cambia la gestione
Le proteste studentesche tornano a far discutere nel Regno Unito, e questa volta il dibattito investe direttamente le università. Dopo settimane di occupazioni e manifestazioni legate soprattutto alla questione israelo-palestinese, il governo ha emesso nuove linee guida ufficiali per orientare gli atenei nella gestione delle proteste. Al centro delle nuove indicazioni c’è il bilanciamento tra libertà di espressione e ordine pubblico. Una questione che tocca da vicino la vita accademica, i diritti degli studenti e l’autonomia delle università.
Un contesto sempre più acceso nei campus britannici
Le proteste studentesche hanno sempre avuto un ruolo storico nei campus universitari britannici. Ma negli ultimi mesi, a partire dalla primavera del 2025, molte manifestazioni — in particolare quelle a sostegno della causa palestinese — hanno assunto toni intensi, generando preoccupazioni tra amministrazioni, media e autorità.
Atene prestigiosi come UCL, King’s College London, Manchester, Bristol e Sheffield sono stati teatro di:
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occupazioni di biblioteche e auditorium
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accampamenti con tende nei cortili universitari
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sit-in prolungati e assemblee aperte
Tali azioni sono state in molti casi pacifiche, ma hanno anche portato a interventi disciplinari, sospensioni e denunce per disordini. In questo contesto, il governo è intervenuto per dettare una cornice operativa chiara.
Le nuove linee guida per le università
Il Department for Education ha pubblicato il 19 giugno 2025 un documento di orientamento rivolto a tutte le università in Inghilterra, per affrontare correttamente le proteste studentesche.
Secondo le nuove indicazioni, le università:
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devono garantire la libertà di espressione degli studenti, inclusa quella politica
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possono intervenire solo in presenza di minacce concrete alla sicurezza o all’integrità delle attività accademiche
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devono valutare ogni protesta caso per caso, senza applicare automatismi
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non possono impedire manifestazioni pacifiche solo per ragioni politiche o reputazionali
L’obiettivo dichiarato è far sì che gli atenei rispettino la nuova Freedom of Speech (Higher Education) Act 2023, che rafforza la protezione legale della libertà di parola nei campus.
Il ruolo della libertà accademica e del pluralismo
Una parte centrale del documento ministeriale sottolinea che le università hanno anche il dovere di proteggere il pluralismo ideologico, evitando atteggiamenti discriminatori o censori. In particolare, si chiede agli atenei di:
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non escludere relatori o gruppi sulla base delle loro idee, purché legali
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promuovere ambienti di confronto civile, anche in presenza di opinioni divisive
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evitare che pressioni interne o esterne compromettano il diritto alla critica
Il governo richiama inoltre i rettori e i consigli accademici alla responsabilità di fornire spazi idonei per l’attività politica studentesca, a condizione che si svolga in modo pacifico.
Il contesto normativo: una spinta conservatrice?
La pubblicazione delle nuove linee guida avviene in un momento di forte polarizzazione ideologica. Già nel 2023, con l’approvazione della legge sulla libertà di espressione nei campus, il governo conservatore aveva dichiarato guerra alla cosiddetta cancel culture, accusando alcune università di “censurare” o ostacolare voci impopolari.
Secondo alcuni analisti, le misure attuali — sebbene presentate come strumenti di tutela — possono anche essere interpretate come un tentativo politico di limitare le critiche alla linea estera del Regno Unito.
Molte proteste studentesche, infatti, hanno preso di mira le partnership universitarie con aziende del settore militare, o i programmi di ricerca finanziati da istituti israeliani.
Organizzazioni come Campaign Against Arms Trade e Decolonise UCL hanno sostenuto che i provvedimenti disciplinari contro gli studenti siano motivati più da pressioni politiche che da violazioni reali.
Le reazioni del mondo accademico e studentesco
Il mondo universitario ha reagito in modo diversificato.
Universities UK, l’organizzazione che rappresenta i rettori, ha accolto il documento come un utile chiarimento, ma ha anche chiesto maggior autonomia locale nella gestione delle proteste.
La National Union of Students (NUS) ha espresso invece forte preoccupazione: secondo l’associazione, le nuove regole potrebbero avere l’effetto di raffreddare il dissenso e scoraggiare la partecipazione politica. Molti studenti temono che il diritto di protesta venga ridotto a mera tolleranza condizionata.
Anche numerosi accademici, soprattutto delle università di Leeds, Goldsmiths e Birkbeck, hanno firmato lettere aperte contro i provvedimenti adottati da alcuni consigli di facoltà, accusati di reprimere forme di mobilitazione lecita.
Proteste pro-Palestina e occupazioni: il caso UCL
Il caso più discusso è quello dell’University College London (UCL). A partire da aprile 2025, decine di studenti hanno occupato l’edificio principale della facoltà di giurisprudenza, chiedendo:
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il ritiro dei fondi universitari da aziende con legami con il settore bellico
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la fine delle collaborazioni con enti accademici israeliani
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una dichiarazione pubblica di condanna dell’intervento militare a Gaza
L’università ha inizialmente cercato un dialogo, ma dopo due settimane ha ordinato lo sgombero dell’area, sospendendo alcuni studenti e avviando procedimenti disciplinari.
Questo episodio ha scatenato una forte reazione da parte dell’opinione pubblica e dei media. Il governo ha elogiato la fermezza dell’ateneo, mentre gruppi civici hanno denunciato una limitazione grave del diritto di protesta.
Il peso della politica estera sul mondo universitario
Un elemento emerso con forza negli ultimi mesi è la crescente interconnessione tra politica internazionale e attivismo studentesco.
Le proteste legate al conflitto tra Israele e Palestina hanno avuto risonanza globale, ma anche:
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le crisi ambientali
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il conflitto in Sudan
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i legami delle università con multinazionali del fossile o armamenti
Molti studenti chiedono trasparenza nei finanziamenti e codici etici più rigidi. Eppure, questa spinta si scontra spesso con la cautela delle amministrazioni, timorose di esporre l’ateneo a controversie legali o mediatiche.
Il rischio, secondo alcuni, è che il campus perda il suo ruolo storico di laboratorio critico e luogo di confronto libero.
Una sfida per il futuro dell’università pubblica
Le linee guida del governo, se da un lato offrono strumenti giuridici per la tutela della libertà di parola, dall’altro impongono alle università un compito delicato: quello di bilanciare pluralismo, ordine interno e rapporti istituzionali.
Le proteste sono parte integrante della vita accademica. Ma richiedono, oggi più che mai, regole condivise, ascolto reciproco e trasparenza.
Il futuro dell’università pubblica inglese passa anche da qui: dalla capacità di conciliare educazione critica, coesione sociale e impegno civile, senza rinunciare alla propria indipendenza.
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