Vige l'incandidabilità del sindaco condannato per falso ideologico
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La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 18 settembre 2025, n. 7381, conferma l’incandidabilità del sindaco condannato ad una pena superiore a sei mesi per falso ideologico: focus a cura dell’Avv. Maurizio Lucca.
Si tratta della norma di cui al comma 1, lett. d), art. 7, Incandidabilità alle elezioni regionali, del decreto legislativo n. 235 del 2012, Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge Severino), che costituisce condizione ostativa alla candidatura l’aver subito una condanna definitiva per qualsivoglia ulteriore delitto, diverso da quelli indicati nella precedente lettera c), ossia per taluni specifici delitti contro la pubblica amministrazione (ad es. peculato, malversazione di erogazioni pubbliche, indebita percezione di erogazioni pubbliche, concussione, etc.) [1], purché commesso «con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio» e a condizione che la pena inflitta sia complessivamente superiore a sei mesi.
Effetti
Pare giusto osservare che in tema di elettorato passivo, i “requisiti negativi” ostativi alla candidatura equivalgono al mantenimento della carica, una volta eletto consigliere regionale, facendo sì che la loro mancanza risulta idonea a determinare ipso iure la decadenza, ai sensi del comma 6, dell’art. 8, Sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali , d.lgs. n. 235/2012 per difetto della “non indegnità morale” del soggetto, desunto da condanne irrevocabili per determinati reati, atteso che sono i medesimi che determinano l’incandidabilità di cui all’art. 7 d.lgs. cit., in base a un’interpretazione letterale, sistematica e finalistica della relativa disciplina [2].
Va aggiunto che anche la sentenza penale di condanna è equiparata quella di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., come previsto dall’art. 15, comma 1, dello stesso d.lgs. [3], esigenza giustificata dal fatto che la carica politica sia ricoperta da soggetti moralmente specchiati, idonei a garantire il buon andamento e l’imparzialità delle pubbliche scelte, ragione per cui non è lasciato alcun margine di discrezionalità all’organo investito del potere di dichiarare la decadenza, la quale si verifica di diritto, in costanza dei presupposti specificamente previsti dal legislatore [4].
In questo senso, l’incandidabilità non è un aspetto del trattamento sanzionatorio penale del reato, ma si traduce nel difetto di un requisito soggettivo per l’elettorato passivo [5].
Fatto
Nella sua essenzialità, la parte ricorrente [6] nella sua qualità di Sindaco, avendo commesso il reato di falso ideologico (ex art. 476, Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, c.p.) [7], in occasione della attestazione dei controlli di spesa concernente i rimborsi da liquidare per la gestione di diversi progetti di accoglienza migranti (la condanna postula che l’atto possiede attitudine ad assumere rilevanza giuridica e valore probatorio interno alla pubblica amministrazione, sicché sono atti pubblici anche gli atti interni e quelli preparatori di una fattispecie documentale complessa) [8], veniva dichiarato – dall’ufficio centrale circoscrizionale -incandidabile, ai sensi della lettera d), comma 1, dell’art. 7 della legge Severino, dunque escluso.
Il TAR, affermata la giurisdizione esclusiva del GA [9], confermava la correttezza dell’esclusione ad opera dall’organo preposto senza ulteriori valutazioni sull’abuso di potere o la violazione di doveri inerenti alle pubbliche funzioni, ritenendo un effetto automatico della sentenza penale, donde l’appello.
Il giudizio amministrativo, infatti, ha ad oggetto le sole “operazioni elettorali”, ossia la regolarità delle forme procedimentali di svolgimento delle elezioni, alle quali fanno capo le singole posizioni che hanno la consistenza dell’interesse legittimo, non del diritto soggettivo; e benché tali operazioni non si esauriscano nelle attività di votazione, ma si estendano al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni regionali e comprendano tutti gli atti del complesso procedimento, dall’emanazione dei comizi elettorali sino alla proclamazione degli eletti, resta, tuttavia. attribuita all’Autorità Giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie nelle quali si fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si riconnettono al diritto di elettorato attivo o che concernono ineleggibilità, decadenze e incompatibilità [10].
La speditezza del rito
Il Giudice di seconde cure, tiene a precisare che nel giudizio di esclusione di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, l’udienza di discussione può essere fissata che prima del termine di tre giorni dal deposito del ricorso, potendo l’udienza pubblica celebrarsi, senza avvisi, il giorno stesso del deposito dell’appello.
La ragione dell’immediatezza risponde proprio alle esigenze di celerità che impongano uno spedito svolgimento delle operazioni elettorali, senza per questo non violare il diritto di difesa, essendo onere delle parti di verificare la fissazione dell’udienza (per valutare di essere presenti) in seguito alla proposizione del ricorso debitamente pubblicizzato, ai sensi comma 8, lett. c), dell’art. 129, Giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali, del d.lgs. n. 104/2010, anche ad horas [11]; allo stesso tempo il giudizio è incompatibile con qualsiasi tipo di fase incidentale [12].
Merito
L’appello viene dichiarato infondato, fornendo una chiarimento «diretto ad “illuminare” la motivazione del provvedimento di esclusione», non certo ad integrarla.
Il Collegio, da principio, si sofferma sull’ipotesi di incandidabilità prevista dalla norma (di ordine pubblico) [13], non in modo espresso ex ante, ma ugualmente ritenuta dal legislatore avente un grado di offensività incompatibile con la candidatura a cariche elettive, ossia l’aver subito una condanna definitiva per qualsivoglia ulteriore delitto (diverso da quelli indicati alla lettera c) del comma 1) dell’art. 7, del cit. d.lgs.), alle condizioni che si sia determinato (devono sussistere tutte due):
- «con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio»:
- la pena inflitta sia complessivamente superiore a sei mesi.
Dal quadro normativo, si constata che la condanna rientra ex se all’interno del quantum della pena inflitta, mentre la condotta rientra altrettanto all’interno della funzione di pubblico ufficiale (“falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale”) in violazione alle le regole di imparzialità e trasparenza che presidiano il buon andamento della PA, ex art. 97 Cost., integrando ictu oculi l’abuso dei poteri (ipotesi di cui alla lettera d), del comma 1, dell’art. 7 della legge Severino).
Le conclusioni dei giudici
In effetti, rientra tra i reati che hanno come elemento costitutivo la commissione ad opera di un pubblico ufficiale, implicanti un abuso dei poteri o una violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione [14], laddove nel caso di specie si tratta di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”. L’art. 479 c.p., tratta le ipotesi delittuose nella cui materialità è già compresa la violazione dei doveri inerenti alla funzione di pubblico ufficiale (è sufficiente il dolo generico, riscontrabile nella falsa attestazione di un accertamento mai compiuto) [15].
L’abuso di potere oppure la violazione di doveri pubblici possono venire indifferentemente in rilievo come componenti materiali di una fattispecie criminosa autonoma o come semplici circostanze aggravanti di un reato non immediatamente lesivo degli interessi della PA, con l’evenienza che dell’irrilevanza della circostanza che nel giudizio penale non sia stata accertata la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9 [16]</span>.
Altrettanto irrilevante la mancata irrogazione della pena accessoria, di cui all’art. 31 c.p. (secondo cui «Ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio,… o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici»), ai fini della necessaria cancellazione dello stesso dalle liste elettorali, trattandosi di istituti che, pur muovendo dagli stessi presupposti, operano su piani giuridici autonomi e paralleli ed hanno effetti non pienamente coincidenti quelli:
- di cui all’art. 7 della legge Severino attengono esclusivamente al diritto di elettorato passivo;
- di cui all’art. 31 c.p. riguardano tutti i pubblici uffici, omnia-comprensivamente considerati.
Viene annotato che sotto il profilo redazionale dell’atto di esclusione, l’organo (Ufficio Elettorale Circoscrizionale) dovrà motivare l’accertamento limitandosi ad richiamare la natura del reato: un onere motivazionale non particolarmente rafforzato, non dovendo svolgere una particolare indagine ricostruttiva dei profili connessi all’abuso di ufficio o alla violazione di pubblici doveri.
Note
[1] Ovvero, in presenza di una condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, «previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale».
[2] Cass. civ., sez. I, ordinanza, 30 marzo 2022, n. 10224
[3] Vedi, Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2025, n. 9890.
[4] Corte Appello Palermo, sez. I, 8 giugno 2021, n. 917.
[5] TAR Campania, Salerno, sez. I, 23 maggio 2022, n. 1408.
[6] Cfr., TAR Puglia, Bari, sez. III, 23 maggio 2024, n. 659, sui termini di impugnazione.
[7] Il reato di falso ideologico in atto pubblico fidefacente ricorre anche quando la falsità riguarda dati formali e necessari dell’attestazione, quali il luogo e il tempo di formazione dell’atto e la presenza delle parti dinanzi al pubblico ufficiale, sebbene tali dati siano diversi dai contenuti funzionali dell’atto stesso, esprimendo un evidente disvalore del pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, configurando un reato a fattispecie multipla caratterizzato da diverse condotte tipiche, Cass. pen., sez. V, 28 febbraio 2025, n. 16012.
[8] Cass. pen., sez. V, 21 dicembre 2022, n. 48356. In tema di falso documentale, sono documenti dotati di fede privilegiata, ex 476, comma secondo, cod. pen., quelli destinati ab initio alla prova, ossia precostituiti a garanzia della pubblica fede, e redatti da un pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari, anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza delle quali l’atto assume una presunzione di verità assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l’accoglimento della querela di falso o con sentenza penale, Cass. pen., sez. VI, Sentenza, 19 ottobre 2023, n. 15641.
[9] Cfr. Cass., SS.UU., 14 maggio 2024, n. 13205.
[10] Cons. Stato, sez. II, 22 maggio 2024, n. 4578.
[11] Cons. Stato, sez. III, 23 aprile 2019, n. 2621.
[12] Cons. Stato, sez. III, 9 maggio 2019, n. 3031.
[13] Cons. giust. amm. Sicilia, 27 marzo 2019, n. 263.
[14] Cfr. Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2022, n. 38054.
[15] Cfr. Cass. civ., sez. I, 27 luglio 2002, n. 11140; Cass. Pen., sez. V, 27 giugno 2025, n. 29496.
[16] Cfr. Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 2020, n. 21582 e 9 luglio 2003, n. 10776.
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