Scuola e ora di Religione: obblighi, diritti e attività alternative ancora disattesi
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Il tema dell’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole pubbliche italiane continua a sollevare interrogativi organizzativi e giuridici, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli studenti che scelgono di non avvalersene.
A riportare l’attenzione sull’argomento è ANIEF, che richiama dirigenti scolastici e istituzioni educative al pieno rispetto delle regole in vigore, ribadendo come la libertà di scelta delle famiglie non possa essere aggirata o ridimensionata da prassi improprie.
La normativa italiana tutela in modo esplicito il diritto degli studenti a non frequentare l’ora di Religione Cattolica. Questa opzione, esercitata al momento dell’iscrizione, non rappresenta una scelta marginale, ma una decisione che impegna la scuola a predisporre percorsi alternativi strutturati e dignitosi. Non si tratta, dunque, di una semplice assenza dall’aula, né tantomeno di una presenza passiva durante la lezione.
Su questo punto la giurisprudenza è chiara da tempo. Il Consiglio di Stato, con una sentenza ormai consolidata, ha stabilito che l’organizzazione delle attività alternative non è facoltativa, bensì un obbligo preciso per le scuole di ogni ordine e grado. Tale orientamento trova ulteriore conferma in diverse disposizioni ministeriali che impongono alle istituzioni scolastiche di garantire spazi adeguati, personale incaricato e un’effettiva vigilanza sugli studenti coinvolti.
Scuola e ora di Religione: criticità su obblighi, diritti e attività alternative
Secondo ANIEF, tuttavia, in molte realtà scolastiche persistono comportamenti non conformi alle regole. Tra questi, la pratica di lasciare gli alunni che non seguono l’IRC all’interno dell’aula, durante lo svolgimento della lezione, in qualità di semplici “uditore”. Una soluzione apparentemente comoda, ma che non trova alcun fondamento giuridico e rischia di violare i diritti delle famiglie.
Il referente nazionale del sindacato per l’IRC, Carmelo Mirisola, evidenzia come l’ordinamento scolastico non riconosca alcuna legittimità alla permanenza passiva in classe. Al contrario, tale situazione può generare responsabilità dirette per docenti e dirigenti, soprattutto in caso di incidenti o problematiche disciplinari, poiché l’alunno non rientra nella sfera educativa del docente di Religione.
Anche la coordinatrice nazionale ANIEF per l’IRC, Moira Pattuglia, pone l’accento sul rispetto dovuto alle famiglie. La scelta di non avvalersi dell’insegnamento religioso non può essere svuotata di significato attraverso soluzioni organizzative di comodo. Nemmeno un consenso formale dei genitori può giustificare una prassi che, di fatto, annulla il diritto a un’offerta formativa alternativa reale, coerente e non discriminatoria.
La valenza educativa e l’attività di vigilanza
Le attività alternative, come ricordato dalle circolari ministeriali, devono avere una chiara valenza educativa. Le scuole, anche nell’ambito della propria autonomia, sono chiamate a progettare percorsi che favoriscano la crescita personale e culturale degli studenti. Tra le possibilità rientrano lo studio assistito, l’approfondimento di discipline curricolari o iniziative formative legate ai valori della convivenza civile e della cittadinanza attiva.
L’assenza di tali attività non rappresenta soltanto una carenza organizzativa, ma un vero e proprio inadempimento. La giustizia ordinaria ha più volte sottolineato come la mancata predisposizione delle alternative configuri una violazione sia sul piano educativo sia su quello legale. In questo senso, una sentenza del Tribunale di Padova ha chiarito che l’inerzia delle scuole può determinare responsabilità amministrative e civili.
Un ulteriore aspetto critico, infine, riguarda la vigilanza. Lo studente che non frequenta l’IRC non può essere considerato sotto la responsabilità del docente di Religione, poiché non partecipa alla sua attività didattica. Lasciarlo in aula, senza un incarico formativo preciso, significa esporre l’istituzione scolastica a rischi evitabili e creare una situazione di ambiguità gestionale.
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