Dalla Thyssen a Brandizzo, Rosina Platì: “Il mio cuore sanguina ogni giorno”

“Io sono vicina a tutti i parenti, perché immagino come stanno oggi e sempre. Il mio cuore sanguina tutti i giorni“. Così Rosina Platì, madre di una delle vittime della strage della Thyssen, parla a proposito dell’anniversario della strage di Brandizzo. Rosi nella tragedia della Thyssenkrupp del 2007 ha perso il figlio Giuseppe Demasi e da allora è stata una delle madri simbolo della lotta per avere giustizia negli incidenti sul lavoro. Quando c’è stato il caso di Brandizzo, il 30 agosto 2025, con cinque operai morti, travolti da un treno sui binari, mentre stavano lavorando, le due stragi sono state immediatamente comparate.
“Non voglio sempre dire che siamo arrabbiati ma più che altro tristi perché anche qui (nel caso di Brandizzo, ndr) è una lotta contro i mulini a vento, giustizia non ne ha avuta nessuno. Io mi auguro che loro la avranno ma per come stanno andando le cose resteranno forse con l’amaro in bocca anche loro come noi”, dice Rosina Platì. Il riferimento è al fatto che per il caso della Thyssen, nonostante il processo italiano abbia ‘fatto scuola’, i manager tedeschi “non hanno mai fatto un giorno di galera” dice Rosina, anche per via del diverso funzionamento della giustizia tedesca.
“Spero non accadano più cose simili, nessuno va in galera ed è tremendo. Non deve mai succedere una tragedia ma quando succede si vede come funziona la giustizia in Italia e fa rabbia”, dice ancora Rosina Platì.
“Sono vicina a questi parenti e spero che col tempo diminuisca il loro dolore ma non lo so, non so davvero. Io sono la prima, il dolore non diminuisce. Ci sono cose che mi danno la forza di andare avanti ma il mio cuore sanguina tutti i giorni“.
Il punto delle indagini su Brandizzo
A fine luglio sono state chiuse le indagini per la strage di Brandizzo del 2023, ed è caduta l’ipotesi di omicidio volontario inizialmente formulata. Sono trascorsi due anni dalla strage in cui persero la vita cinque operai travolti dal treno che viaggiava sulla linea ferroviaria Torino-Milano. La procura di Ivrea, con le indagini coordinate dalla procuratrice Gabriella Viglione, ha inviato le notifiche di chiusura indagine a 24 tra persone fisiche e società: restano tutti gli indagati già noti (come gli ex vertici di Rfi), ai quali si aggiungono alcuni nuovi indagati. Le società indagate sono Rfi, Sigifer e Clf. Cade l’accusa di omicidio volontario precedente formulata e restano, a vario titolo, le accuse di omicidio colposo e disastro ferroviario colposo.
La tragedia è stata documentata in due video diventati subito centrali: nel più lungo, trovato nel telefonino di Kevin Laganà, si sente qualcuno dire “se vi dico ‘treno’ vi spostate” e Kevin chiedere se sia già “l’interruzione” di servizio. Nell’altro si vedono i corpi delle vittime trascinati per qualche centinaio di metri dal convoglio. C’è poi la registrazione in cui si sente Massa, uno dei sopravvissuti e indagato, telefonare alla centrale di Chivasso e dire “Sono tutti morti”.
Il fratello di Kevin Laganà: “Chiedo giustizia, voglio risposte”
“Non c’è giorno in cui non pensi a quel maledetto 30 agosto 2023, quando mio fratello Kevin è stato travolto da un treno a Brandizzo. Il tempo passa, ma io rimango sempre a quel 30 agosto”. Sono le parole di Antonino Laganà, fratello di Kevin Laganà, raccolte da Sicurezza e Lavoro in occasione del secondo anniversario della strage di Brandizzo. “Non riesco a non pensare a che cosa è successo, mi chiedo che cosa non è andato come doveva e ha portato al disastro. È una strage che si doveva e si poteva evitare. Non si può morire così! Chiedo giustizia, voglio risposte alle mie domande. Sono fiducioso nei confronti della Procura di Ivrea e ringrazio l’associazione Sicurezza e Lavoro, le Istituzioni e i sindacati che ci sono vicini e lottano con noi per avere giustizia. E continuo a lavorare, ma ho sempre paura che possa succedermi qualcosa” prosegue.
“Penso a quanto è accaduto a mio fratello e temo che possa accadere anche a me. Lavoro in un’impresa seria, attenta alla sicurezza, ma non posso non pensare a come starebbero i miei cari se subissi un infortunio sul lavoro. Le norme ci sono e vanno rispettate: tutti dovrebbero rispettarle. Ma tante, troppe aziende non lo fanno. Serve più sicurezza! Non mi stancherò mai di dirlo!” spiega.
“Ora tutti noi familiari guardiamo con fiducia al processo. Siamo stanchi, andiamo tutti i giorni al cimitero, ma siamo pronti a combattere per avere giustizia!” spiega ancora Antonino Laganà. “E quando si avvicina l’anniversario della strage (di Brandizzo, ndr) sono giorni duri, molto duri. Tutti lo sono, ma quando arriva il 30 agosto è peggio. Vorrei spegnermi e riaccendermi una settimana dopo. È un giorno maledetto il 30 agosto, per me, per la famiglia Laganà e per tutte le alte famiglie coinvolte. E sarà sempre così. Il dolore non passerà mai. Aspetto sempre che mio fratello torni a casa. Non ho mai visto il suo corpo. Abbiamo aspettato un mese per fare il funerale, ma non lo abbiamo più rivisto” spiega ancora il fratello di Kevin.
“Davanti alla sua tomba non abbiamo parole. Cerchiamo risposte, che ancora oggi non abbiamo. Viviamo giorno per giorno e chiediamo una sola cosa: giustizia! Per Kevin e per tutte le vittime sul lavoro. Ogni morte sul lavoro è straziante, la gente deve capire quanto soffriamo: la morte di mio fratello e degli altri ragazzi deve essere da monito per tutti” conclude.
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