Death Stranding 2 Recensione


"Il futuro è sì la somma di tutti i presenti, ma il domani comunque non appartiene a oggi" , o "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò".
Che valore ha il domani per qualcuno che non può morire, in un mondo bloccato nel suo incedere quotidiano ed evolutivo? Che significato ha il domani in un mondo in cui la pioggia è in grado di accelerare violentemente il ciclo vitale di ogni cosa vivente tocchi, e entità oltreterrene ti possono letteralmente trascinare verso la morte?
Se il primo Death Stranding aveva insegnato, a noi e Sam, a provare qualcosa, dei sentimenti, dei legami, delle connessioni, Death Stranding 2 usa quelle connessioni prestabilite per creare una ferita, e poi si prende - e ci dà - il tempo di guarire, in un percorso sull'elaborazione del lutto e, magistralmente, anche su tutto quello che siamo in grado di sacrificare per un domani che non vedremo.
Death Stranding 2 ha un rapporto molto interessante con il passato: se Death Stranding 1 offriva al mondo di gioco una risposta all'instabilità del presente con un Sam in grado di fornirsi in sacrificio per dare solidità all'oggi, Death Stranding 2 va più in là nel passato per combatterlo e dall'altro lato chiarirlo, e più nel futuro, per abbracciarlo e proteggerlo.
C'è un mondo prima Death Stranding 2 e uno dopo. Death Stranding 2 farà discutere, esattamente come il primo, e io non sono qui per convincerti che ti piacerà. Ti posso però promettere che qualcosa ti lascerà, che sia domani, fra un mese o fra 5 anni.
Una premessa: questa recensione toccherà solo collateralmente le spiegazioni meccaniche e tecniche di cosa Death Stranding 2 ha da offrire. Se sei qui il primo gioco lo conosci, e posso dirti subito che il secondo capitolo esalta ciò che già era buono nel primo, e migliora le sue parti più deboli. Ci sono mille altre penne che sono in grado di offrirti una recensione tecnica, ma se mi stai leggendo probabilmente cerchi altro, ed è qui che ti offro... altro. È una recensione che toccherà più le note emotive dell'opera di Kojima Productions: con il primo gioco abbiamo stabilito che nessuno prima d'ora aveva reso così importante la parte del "camminare" di un walking simulator, e doveva arrivare Kojima Productions a farci ragionare su ogni sasso, ogni pendio, ogni colle, e ogni metro del nostro, incespicando, camminare.
Se cerchi una risposta alla domanda "Se mi è piaciuto il primo Death Stranding mi piacerà Death Stranding 2?" la risposta è assolutamente sì. ll messaggio è un altro, però, e ho bisogno che, prima ancora di leggere la mia disamina, tu prenda questa lezione e la porti con te. Quanto stiamo ancora discutendo sul fatto che Joel potesse avere ragione o meno nella sua scelta? Quanto stiamo ancora ripensando a quel finale di Mass Effect 3? Quanto abbiamo inizialmente odiato la lentezza dei movimenti di Arthur Morgan in Red Dead Redemption II? I videogiochi migliori non sono quelli che piacciono subito, ma quelli che creano un conflitto dentro di te, e soprattutto un conflitto fra il modo in cui tu hai vissuto quell'esperienza e il modo in cui qualcun altro l'ha vissuta.
Ecco, Death Stranding 2, anzi Death Stranding Parte 2, usa ciò che già sappiamo, la confidenza con il mondo narrativo e con le meccaniche di presa degli ordini, di consegna, di utilizzo dei mezzi, per permetterci un viaggio persino più contemplativo del primo, più introspettivo del precedente in affascinante contrasto con una landa - anzi due - da riconnettere che ha spazi ancora più ampi fra i suoi estremi, e biomi ancora più diversi e affascinanti da srotolare come proverbiali matasse.
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Nuove corde e nuovi bastoni rendono il gameplay più solido[/caption]
Mortalità e genitori
La mortalità è qualcosa con cui abbiamo a che fare spesso, oggi. Non ricordo precisamente quando sono passato dagli occhiali rosa dell'infanzia, quella in cui i tuoi genitori sono supereroi immortali e tutto nel mondo va bene e tuo nonno vivrà per sempre, all'arcobaleno ora brillantissimo ora cupo dell'età adulta, quella nel quale tuo padre è morto che neanche avevi un anno e, più cresci e senti di voler diventare padre, più ti rendi conto di quanto avresti bisogno del tuo, di padre, a guidarti attraverso questa vita, anche solo con un consiglio o un insegnamento. Non so nemmeno perché, ma con ogni esclusiva single player PlayStation, da una generazione e mezza a questa parte, mi ritrovo sempre catturato dalle sue parentesi narrative - ben più aperte e d'impatto sulla quotidianità oltre il videogioco di quanto pensi, almeno per quel che riguarda me - e, quasi sempre, si va a parare lì: sulla genitorialità. Tutte le IP PlayStation, in un certo senso, sono cresciute e stanno crescendo, e per assoluta coincidenza astrale lo stanno facendo con me, assieme a me. Forse assieme anche a molte e molti di voi, ma concedimi un po' di egocentrismo. Per parlarti di Death Stranding 2 ho bisogno di parlare del Tempo, e voglio partire proprio dalla natura genitoriale di molti dei protagonisti dei titoli first party Sony. Così forse riesco a spiegarti perché Death Stranding 2 On The Beach sia molto più una Parte 2 che un vero 2. [Piccola parentesi spoiler per God of War del 2018, God of War Ragnarok, The Last of Us Part I e The Last of Us Part II, Uncharted 4 e per Returnal. Ovviamente ci sono anche spoiler per Death Stranding 1.]"To all the words that I won’t get to say"
Joel, Kratos, Nathan, Selene. La genitorialità, il diventare un genitore, un padre, una madre, permea l'intera linea di giochi "maturi" di PlayStation Studios. Partiamo da Joel. L'abbiamo rivisto di recente con la trasposizione HBO della prima metà del secondo gioco: 20 annidopo aver perso Sarah, il texano ha trovato qualcosa di nuovo per cui combattere, quella Ellie che non è geneticamente sua figlia ma che è impossibile non considerare una copia di Joel, in moltissime cose. La tranquillità del nuovo rapporto genitoriale e la sicurezza di Jackson gli fanno abbassare la guardia e inevitabilmente ce lo strappano dalle mani, e quindi via, si parte alla ricerca di vendetta, a prescindere dal costo. Magari nel frattempo si perde anche quel poco di buono che ci era rimasto nella vita (aka, Dina e JJ) e ci trasformiamo nei pessimi genitori che Joel non avrebbe mai voluto fossimo. Joel ci avrebbe voluto migliori di così, e forse The Last of Us Parte III servirà davvero a lasciarsi indietro gli ultimi di "loro", e iniziare a pensare ai primi dei "prossimi", come JJ stesso. Kratos ha passato 3 e più giochi a massacrare mitologie, in un ennesimo percorso di vendetta, prima contro una figura paragenitoriale (Ares) che aveva sfruttato il dolore del suo lutto per trasformarlo in un'arma, poi contro il vero genitore, quello Zeus che l'aveva allontanato per paura di venire tradito esattamente come Zeus aveva tradito suo padre Cronos. Da padre di una figlia uccisa, a figlio in cerca di vendetta, a di nuovo padre, stavolta di un figlio destinato a cose altrettanto grandi. La lezione parentale di God of War Ragnarok è quella del distacco: Kratos deve arrivare a capire che quello che poteva insegnare ad Atreus l'ha insegnato, e ora è il momento che il figlio vada per la sua strada. [caption id="attachment_1099341" align="aligncenter" width="1400"]
Trauma come metamorfosi
L'autore Simon Strantzas, fra le altre cose 4 volte finalista dei Shirley Jackson Awards, è la penna dietro un editoriale che cerca, come tutti i grandi editoriali sanno fare, di rispondere ad una domanda: "è possibile che le storie d'orrore siano in fondo storie felici?". Sembra una domanda assurda, finché non si ripensa - cosa che l'autore cita nell'editoriale - al finale di Midsommar. In particolare alla frizione fra la scena alla quale stiamo assistendo, una sempre splendida Florence Pugh agghindata in una corona di fiori ma nel contesto di un culto che l'ha appena proclamata "Madre", e come Dani (la Pugh appunto) sta vivendo quella scena. Da fuori, è una scena orrorifica: Dani ha perso tutti i suoi amici e in particolare l'uomo che amava e che non l'amava, uccisi in modi più o meno barbari, e ora è intrappolata per sempre fra i cultisti, che persino la osannano a "musa", in un certo senso. Per Dani, però, è una scena liberatoria, quasi quanto quella di poco prima, stesa a terra e circondata dalle donne del villaggio. È quasi una trance, un percorso verso l'estrazione di - e l'estraniazione da - un dolore che si è tenuta sin troppo dentro, l'omicidio suicidio della sorella che, in preda a pensieri depressivi sconosciuti al personaggio interpretato dalla Pugh, ha portato con sé nella tomba anche entrambi i genitori, lasciando Dani completamente da sola. L'orrore in Midsommar è metamorfosi. Dani, alla fine di quel viaggio, è in un posto migliore. L'orrore del Death Stranding è metamorfosi. Sam, dopo il viaggio di riconnessione dell'America, è in un posto migliore.L'ascensione è rivelazione
Sam, nelle prime ore di Death Stranding 1, è solo. Non sembra mai soffrire troppo di questa solitudine, tanto che la sua aptofobia (la paura del contatto umano) è la perfetta estensione del ripudio fisiologico verso tutto ciò che implichi una connessione. Persino stringere la mano di Deadman è troppo, per Sam, all'inizio di Death Stranding. [caption id="attachment_1099340" align="aligncenter" width="1400"]
Un nuovo continente da connettere, tra rimandi e migliorie
L'aver connesso l'America era solo l'inizio e ora Drawbridge, ente non governativo creato da un misterioso finanziatore, chiede l'aiuto di Sam per connettere anche il Messico e l'Australia. Drawbridge ha il volto di Fragile (Léa Seydoux) e a lei si unisce un gruppo di personaggi completamente nuovo: Tarman, il capitano della DHV Magellan (la nave che, sfruttando le correnti di catrame, Drawbridge riesce ad usare per spostarsi di location in location); Dollman, un ex medium ora intrappolato in una marionetta; Rainy, una giovane ragazza incinta con un potere in grado di creare e distruggere. Di Tomorrow, il personaggio interpretato da Elle Fanning, e di Neil, quello interpretato invece da Luca Marinelli, non ti dirò nulla, perché voglio lasciarti il piacere di scoprire questi 2 personaggi. [caption id="attachment_1099337" align="aligncenter" width="1200"]
Da soli insieme
Il prezzo della connessione dell'America era un prezzo negativo, che a Sam ha dato più di quello che ha apparentemente tolto: l'uomo sì ha perso una madre con cui non aveva mai avuto un vero legame, e l'Amelie che l'aveva salvato da infante si era rivelata un meccanismo capace di distruggere ma che infine ha scelto di salvare, di rimandare l'ultima fermata dell'umanità. Alla fine del viaggio di Death Stranding, Sam ci aveva guadagnato dei legami, in particolare quello con Fragile e quello con BB-28, Lou. Si era riconnesso al genere umano. Death Stranding 2 non può ricominciare da zero, e non lo fa: i legami del primo gioco sono il punto di partenza di Sam e di noi con lui, e serve tutta la forza d'animo del mondo per convincerci - e convincere Sam - che portare la Rete Chirale al Messico e all'Australia sia il prossimo necessario passo per sconfiggere davvero il Death Stranding. Serve un motivatore più forte, però, e, senza spoiler, Sam ne avrà uno. Ne parleremo in un contenuto full spoiler che pubblicherò a metà Luglio. [caption id="attachment_1099339" align="aligncenter" width="1400"]
Ruggiti bassi e ragazzi di legno
Lo sappiamo tutti: una titanica parte dell'identità del primo titolo è legata alla sua colonna sonora. Low Roar, il compositore multistrumentista islandese, ha prodotto brani che, durante tutta la durata del primo titolo, ci hanno accompagnato alla scoperta di un mondo grigio nel contesto cromatico ma rigoglioso nel potenziale connettivo umano, pronto ad essere riallacciato. Purtroppo Ryan Karazija, il vero nome di Low Roar, è morto nel 2022 per una polmonite, e l'eredità musicale di Death Stranding è stata data al compositore francese Yoann Lemoine, aka Woodkid. Non avevo particolari dubbi sull'abilità di Yoann, avendolo già incrociato più volte in passato, in particolare in quel famosissimo trailer di Assassin's Creed Revelations, ma ero anche consapevole del peso enorme dell'eredità lasciata da Low Roar. Presa nella sua collettività, la colonna sonora di Death Stranding 2 non è potente come quella del primo titolo, ma i brani di Woodkid sono potentissimi nell'esprimere un senso di coralità maggiore rispetto al sisifeo viaggio di Death Stranding 1. Questa è una colonna sonora che non solo mi ha portato alle lacrime più volte ma che, riascoltata, rivela significanti inizialmente invisibili ma ora, alla fine del viaggio, profondamente notabili, quasi premonitori. [caption id="attachment_1099338" align="aligncenter" width="1500"]
Death Stranding 2 - Conclusioni
Death Stranding 2 è la parte 2 di Death Stranding, non il suo sequel. La struttura ludica si sposta verso una maggior immediatezza d'utilizzo di ogni feature, aspetto e meccanica, in particolare con un combat system molto più solido - che tende a Metal Gear Solid-izzare questa IP - e una maggior coralità dei personaggi, meno isolati fra loro e più parte di un tantum in lotta con il passato, nel presente, in nome del futuro. Sam e noi attraversiamo insieme lo specchio per esplorare al di là di ricordi e memorie, in un titolo un po' deja-vu e un po' seduta di terapia, potente quanto e più del primo, con la sua narrazione affilata ma non senza i soliti kojimiani istrionismi, e un messaggio di fondo amaro ma non pessimista, perché "il futuro è sì la somma di tutti i presenti, ma il domani comunque non appartiene a oggi".L'articolo Death Stranding 2 Recensione proviene da GameSource.
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