Death Stranding 2 Recensione

Giugno 24, 2025 - 13:30
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Death Stranding 2 Recensione

Death Stranding 2 - Sam attraversa lo specchio"Il futuro è sì la somma di tutti i presenti, ma il domani comunque non appartiene a oggi" , o "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò". Che valore ha il domani per qualcuno che non può morire, in un mondo bloccato nel suo incedere quotidiano ed evolutivo? Che significato ha il domani in un mondo in cui la pioggia è in grado di accelerare violentemente il ciclo vitale di ogni cosa vivente tocchi, e entità oltreterrene ti possono letteralmente trascinare verso la morte? Se il primo Death Stranding aveva insegnato, a noi e Sam, a provare qualcosa, dei sentimenti, dei legami, delle connessioni, Death Stranding 2 usa quelle connessioni prestabilite per creare una ferita, e poi si prende - e ci dà - il tempo di guarire, in un percorso sull'elaborazione del lutto e, magistralmente, anche su tutto quello che siamo in grado di sacrificare per un domani che non vedremo. Death Stranding 2 ha un rapporto molto interessante con il passato: se Death Stranding 1 offriva al mondo di gioco una risposta all'instabilità del presente con un Sam in grado di fornirsi in sacrificio per dare solidità all'oggi, Death Stranding 2 va più in là nel passato per combatterlo e dall'altro lato chiarirlo, e più nel futuro, per abbracciarlo e proteggerlo. C'è un mondo prima Death Stranding 2 e uno dopo. Death Stranding 2 farà discutere, esattamente come il primo, e io non sono qui per convincerti che ti piacerà. Ti posso però promettere che qualcosa ti lascerà, che sia domani, fra un mese o fra 5 anni. Una premessa: questa recensione toccherà solo collateralmente le spiegazioni meccaniche e tecniche di cosa Death Stranding 2 ha da offrire. Se sei qui il primo gioco lo conosci, e posso dirti subito che il secondo capitolo esalta ciò che già era buono nel primo, e migliora le sue parti più deboli. Ci sono mille altre penne che sono in grado di offrirti una recensione tecnica, ma se mi stai leggendo probabilmente cerchi altro, ed è qui che ti offro... altro. È una recensione che toccherà più le note emotive dell'opera di Kojima Productions: con il primo gioco abbiamo stabilito che nessuno prima d'ora aveva reso così importante la parte del "camminare" di un walking simulator, e doveva arrivare Kojima Productions a farci ragionare su ogni sasso, ogni pendio, ogni colle, e ogni metro del nostro, incespicando, camminare. Se cerchi una risposta alla domanda "Se mi è piaciuto il primo Death Stranding mi piacerà Death Stranding 2?" la risposta è assolutamente sì. ll messaggio è un altro, però, e ho bisogno che, prima ancora di leggere la mia disamina, tu prenda questa lezione e la porti con te. Quanto stiamo ancora discutendo sul fatto che Joel potesse avere ragione o meno nella sua scelta? Quanto stiamo ancora ripensando a quel finale di Mass Effect 3? Quanto abbiamo inizialmente odiato la lentezza dei movimenti di Arthur Morgan in Red Dead Redemption II? I videogiochi migliori non sono quelli che piacciono subito, ma quelli che creano un conflitto dentro di te, e soprattutto un conflitto fra il modo in cui tu hai vissuto quell'esperienza e il modo in cui qualcun altro l'ha vissuta. Ecco, Death Stranding 2, anzi Death Stranding Parte 2, usa ciò che già sappiamo, la confidenza con il mondo narrativo e con le meccaniche di presa degli ordini, di consegna, di utilizzo dei mezzi, per permetterci un viaggio persino più contemplativo del primo, più introspettivo del precedente in affascinante contrasto con una landa - anzi due - da riconnettere che ha spazi ancora più ampi fra i suoi estremi, e biomi ancora più diversi e affascinanti da srotolare come proverbiali matasse. [caption id="attachment_1099342" align="aligncenter" width="1400"]Nuove corde e nuovi bastoni rendono il gameplay più solido Nuove corde e nuovi bastoni rendono il gameplay più solido[/caption]

Mortalità e genitori

La mortalità è qualcosa con cui abbiamo a che fare spesso, oggi. Non ricordo precisamente quando sono passato dagli occhiali rosa dell'infanzia, quella in cui i tuoi genitori sono supereroi immortali e tutto nel mondo va bene e tuo nonno vivrà per sempre, all'arcobaleno ora brillantissimo ora cupo dell'età adulta, quella nel quale tuo padre è morto che neanche avevi un anno e, più cresci e senti di voler diventare padre, più ti rendi conto di quanto avresti bisogno del tuo, di padre, a guidarti attraverso questa vita, anche solo con un consiglio o un insegnamento. Non so nemmeno perché, ma con ogni esclusiva single player PlayStation, da una generazione e mezza a questa parte, mi ritrovo sempre catturato dalle sue parentesi narrative - ben più aperte e d'impatto sulla quotidianità oltre il videogioco di quanto pensi, almeno per quel che riguarda me - e, quasi sempre, si va a parare lì: sulla genitorialità. Tutte le IP PlayStation, in un certo senso, sono cresciute e stanno crescendo, e per assoluta coincidenza astrale lo stanno facendo con me, assieme a me. Forse assieme anche a molte e molti di voi, ma concedimi un po' di egocentrismo. Per parlarti di Death Stranding 2 ho bisogno di parlare del Tempo, e voglio partire proprio dalla natura genitoriale di molti dei protagonisti dei titoli first party Sony. Così forse riesco a spiegarti perché Death Stranding 2 On The Beach sia molto più una Parte 2 che un vero 2. [Piccola parentesi spoiler per God of War del 2018, God of War Ragnarok, The Last of Us Part I e The Last of Us Part II, Uncharted 4 e per Returnal. Ovviamente ci sono anche spoiler per Death Stranding 1.]

"To all the words that I won’t get to say"

Joel, Kratos, Nathan, Selene. La genitorialità, il diventare un genitore, un padre, una madre, permea l'intera linea di giochi "maturi" di PlayStation Studios. Partiamo da Joel. L'abbiamo rivisto di recente con la trasposizione HBO della prima metà del secondo gioco: 20 annidopo aver perso Sarah, il texano ha trovato qualcosa di nuovo per cui combattere, quella Ellie che non è geneticamente sua figlia ma che è impossibile non considerare una copia di Joel, in moltissime cose. La tranquillità del nuovo rapporto genitoriale e la sicurezza di Jackson gli fanno abbassare la guardia e inevitabilmente ce lo strappano dalle mani, e quindi via, si parte alla ricerca di vendetta, a prescindere dal costo. Magari nel frattempo si perde anche quel poco di buono che ci era rimasto nella vita (aka, Dina e JJ) e ci trasformiamo nei pessimi genitori che Joel non avrebbe mai voluto fossimo. Joel ci avrebbe voluto migliori di così, e forse The Last of Us Parte III servirà davvero a lasciarsi indietro gli ultimi di "loro", e iniziare a pensare ai primi dei "prossimi", come JJ stesso. Kratos ha passato 3 e più giochi a massacrare mitologie, in un ennesimo percorso di vendetta, prima contro una figura paragenitoriale (Ares) che aveva sfruttato il dolore del suo lutto per trasformarlo in un'arma, poi contro il vero genitore, quello Zeus che l'aveva allontanato per paura di venire tradito esattamente come Zeus aveva tradito suo padre Cronos. Da padre di una figlia uccisa, a figlio in cerca di vendetta, a di nuovo padre, stavolta di un figlio destinato a cose altrettanto grandi. La lezione parentale di God of War Ragnarok è quella del distacco: Kratos deve arrivare a capire che quello che poteva insegnare ad Atreus l'ha insegnato, e ora è il momento che il figlio vada per la sua strada. [caption id="attachment_1099341" align="aligncenter" width="1400"]Il buio in DS2 è davvero buio Il buio in DS2 è davvero buio[/caption] Nathan si rivela padre solamente negli ultimi momenti di Uncharted 4, ed è un rivelazione straordinariamente calibrata nel modo in cui ci viene fatto capire come l'essere genitore sia stato l'effettivo punto di rottura di Drake con il suo passato, sempre alla ricerca di un nuovo tesoro e sempre perennemente in fuga da qualche forza che persegue lo stesso obbiettivo. Ora Cassie è il tesoro più grande e più importante, e tutto il resto finisce in un armadio, fra diari, foto e reperti. Gli Uncharted forse continueranno proprio con Cassie, lasciandosi Nathan alle spalle e sottolineando ancora di più come questa generazione sia stata quella degli adulti diventati genitori, e la prossima possa essere quella della prossima - perdonami il gioco di parole - generazione. Con Returnal il discorso si fa più complesso, dato che man mano, lungo il gioco, Selene si rivela essere un personaggio non troppo sincronizzato con il benessere emotivo e morale che ci aspettiamo da una protagonista, tanto che arriva addirittura a gioire (in una registrazione che possiamo recuperare nel gioco) dell'incidente successo alla madre, quello che ha obbligato la sua genitrice ad una sedia a rotelle. La violenza psicologica subita da Selene è solo accennata, ma la trasforma in modo così indelebile da farla sentire libera quando il suo stesso figlio muore in un incidente d'auto che invece risparmia lei. Non il miglior esempio di genitore modello, ma la vita non è fatta solo di buoni genitori. E poi, c'è Sam. Sam e la sua Lou. Per codificare il ruolo di Sam, bisogna passare dal concetto di metamorfosi, nell'ottica del viaggio orrorifico. Mi spiego meglio.

Trauma come metamorfosi

L'autore Simon Strantzas, fra le altre cose 4 volte finalista dei Shirley Jackson Awards, è la penna dietro un editoriale che cerca, come tutti i grandi editoriali sanno fare, di rispondere ad una domanda: "è possibile che le storie d'orrore siano in fondo storie felici?". Sembra una domanda assurda, finché non si ripensa - cosa che l'autore cita nell'editoriale - al finale di Midsommar. In particolare alla frizione fra la scena alla quale stiamo assistendo, una sempre splendida Florence Pugh agghindata in una corona di fiori ma nel contesto di un culto che l'ha appena proclamata "Madre", e come Dani (la Pugh appunto) sta vivendo quella scena. Da fuori, è una scena orrorifica: Dani ha perso tutti i suoi amici e in particolare l'uomo che amava e che non l'amava, uccisi in modi più o meno barbari, e ora è intrappolata per sempre fra i cultisti, che persino la osannano a "musa", in un certo senso. Per Dani, però, è una scena liberatoria, quasi quanto quella di poco prima, stesa a terra e circondata dalle donne del villaggio. È quasi una trance, un percorso verso l'estrazione di - e l'estraniazione da - un dolore che si è tenuta sin troppo dentro, l'omicidio suicidio della sorella che, in preda a pensieri depressivi sconosciuti al personaggio interpretato dalla Pugh, ha portato con sé nella tomba anche entrambi i genitori, lasciando Dani completamente da sola. L'orrore in Midsommar è metamorfosi. Dani, alla fine di quel viaggio, è in un posto migliore. L'orrore del Death Stranding è metamorfosi. Sam, dopo il viaggio di riconnessione dell'America, è in un posto migliore.

L'ascensione è rivelazione

Sam, nelle prime ore di Death Stranding 1, è solo. Non sembra mai soffrire troppo di questa solitudine, tanto che la sua aptofobia (la paura del contatto umano) è la perfetta estensione del ripudio fisiologico verso tutto ciò che implichi una connessione. Persino stringere la mano di Deadman è troppo, per Sam, all'inizio di Death Stranding. [caption id="attachment_1099340" align="aligncenter" width="1400"]DS2 ha da offrire momenti di piaceevolezza estetica impossibili da non notare anche nei piccoli dettagli DS2 ha da offrire momenti di piaceevolezza estetica impossibili da non notare anche nei piccoli dettagli[/caption] Poi, come ben sai, c'è il viaggio di riconnessione dell'America, c'è il confronto con il distruttivo nichilismo di Higgs, e infine, attraverso i flashback di Cliff (Mads Mikkelsen), l'accettazione del bisogno di una nuova paternità, dopo aver perso moglie e figlio prima degli eventi del gioco in un voidout che ha portato con sé migliaia di vite. La connessione emotiva con BB-28 - aka Lou - diventa la crisalide dalla quale sorge un nuovo Sam, non più impaurito dei contatti umani, anzi pronto a legarsi emotivamente e fisicamente con qualcuno. La connessione è vita, nel mondo di Death Stranding quanto in quello in cui io e te viviamo, e la minaccia più grande dell'estinzione promossa dal Death Stranding non è la morte, ma è sempre stata il dividere, l'allontanare i vivi dalla vita. Sam nel riconnettere l'America unisce le persone e nell'affrontare i propri traumi riconnette sé stesso al mondo, sconfiggendo - o almeno rimandando - l'estinzione attraverso la connessione. Connessione è ovviamente una parola chiave essenziale nel design del primo Death Stranding. Non solo la connessione della Rete Chirale che Sam porta da bunker a bunker, ma anche la connessione fra gli esseri umani attraverso il gioco. Giocare il primo titolo in periodo review è un'esperienza che porterò con me finché avrò respiro. Io come Sam davanti ad un mondo esplorabile ma inesplorato, stupito dinanzi a tutte le nuove opportunità che ogni nuova connessione sbloccava, sbalzato intellettivamente ogni volta che un ostacolo che fino a poco prima avrei definito insuperabile ma che ero riuscito a lasciarmi alle spalle (una montagna, uno stralcio innevato, un fiume troppo largo per non arrivare con la stamina ad un millimetro dall'esaurirsi) diventava "facile", grazie ad una scala, un piolo, una moto lasciata da un misterioso altro giocatore o giocatrice, compagno d'avventura che mai saprà quanto il suo gesto mi ha facilitato la vita. Se la narrazione è la mia forza motrice principale (non unica) nel godimento di un videogioco come Death Stranding, c'è il livello aggiuntivo della sinergia fra messaggio e meccaniche a favorire invece il mio approccio più da tecnico del settore. Poche volte, come in Death Stranding, il personaggio persegue costantemente lo stesso obbiettivo di chi gioca. Cercare il percorso più semplice per attraversare il colle che ho davanti è un calcolo meccanico che faccio io, per arrivare prima al mio traguardo, ma è anche un calcolo che sta facendo Sam. La confusione di Sam di fronte a molti avvenimenti è anche la mia. La voglia di evitare i BT per evitarmi un combattimento è anche la mia. Il respiro di sollievo di Sam quando dopo una difficile consegna possiamo stenderci sul letto di uno dei rifugi sotterranei è anche il mio. E non mi sfugge il contrasto essenziale fra la bellezza del mondo esterno, fatto di viste splendide ma anche di esseri oltreterreni che vogliono trascinarci alla Spiaggia e di corrieri rimasti mentalmente intrappolati nei loop di recupero dei pacchi, a costo di attaccare altri e rubarli, e il senso di prigionia di quei rifugi, di quei luoghi di consegna, angusti spazi senza finestre ma illuminati di schermi, digitali quanto la Rete Chirale che stiamo costruendo e altrettanto intangibili. Perchè ti sto parlando così tanto di tutto fuorché di Death Stranding 2? Perché, come nel primo gioco, "connessione" è di nuovo la parola chiave, ma stavolta il suo posizionamento nella struttura di gioco è dislocato rispetto al primo Death Stranding: non stiamo più cercando una connessione, ma stiamo cercando di proteggere quelle che abbiamo creato, anche al costo del diniego di un legame che ci è stato per sempre tolto.

Un nuovo continente da connettere, tra rimandi e migliorie

L'aver connesso l'America era solo l'inizio e ora Drawbridge, ente non governativo creato da un misterioso finanziatore, chiede l'aiuto di Sam per connettere anche il Messico e l'Australia. Drawbridge ha il volto di Fragile (Léa Seydoux) e a lei si unisce un gruppo di personaggi completamente nuovo: Tarman, il capitano della DHV Magellan (la nave che, sfruttando le correnti di catrame, Drawbridge riesce ad usare per spostarsi di location in location); Dollman, un ex medium ora intrappolato in una marionetta; Rainy, una giovane ragazza incinta con un potere in grado di creare e distruggere. Di Tomorrow, il personaggio interpretato da Elle Fanning, e di Neil, quello interpretato invece da Luca Marinelli, non ti dirò nulla, perché voglio lasciarti il piacere di scoprire questi 2 personaggi. [caption id="attachment_1099337" align="aligncenter" width="1200"]L'attraversamento del terreno è ancora il centro del loop ed è persino più divertente del primo, farlo L'attraversamento del terreno è ancora il centro del loop ed è persino più divertente del primo, farlo[/caption] Se la missione è la stessa del primo gioco, Death Stranding 2 è prima di tutto un passo avanti grafico: i titoli di testa sono oltre il limite del fotorealismo, e gli ambienti con i quali avremo a che fare sono semplicemente straordinariamente belli da vedere, tanto da domandarsi come sia possibile rendere tutto in modo così vero. Catene montuose ripide e appuntite, fiumi in piena, piccole foreste lussureggianti ai piedi di colli verdi con sprazzi di neri, enormi laghi di catrame. È in particolare l'illuminazione ad essere la punta di diamante di questo exploit di Decima Engine, con alcune scene in Messico che è impossibie non definire incredibili, tra fuochi d'artificio e candele. Di nuovo il mondo di gioco rappresenta un rebus al quale dovremo trovare soluzione, e rimane intatto il senso di sfida del primo gioco quando si tratta di attraversare gli splendidi ambienti che il Decima Engine mette a schermo. Il piacere di "risolvere" l'ambiente è persino più forte qui che nella prima incursione videoludica di Kojima Productions, con nuovi ostacoli di cui tenere conto, come inondazioni improvvise o scosse telluriche, e nemici sempre pronti a metterci i bastoni fra le ruote, siano essi umani, BT o i nuovi mech - che tra l'altro costringono ad approcci ben diversi rispetto agli altri ostili. Sotto questo aspetto, devo riconoscere il lavoro fatto da Kojima Productions nel rendere il combattimento non solo meno legnoso rispetto a prima, ma persino soddisfacente, al punto da farmi quasi storcere il naso per il modo eccellente e arrogante con il quale si è voluto dare priorità ad un miglioramento meccanico che ora contrasta con forza con il messaggio relativamente pacifista di fondo del gioco. Death Stranding 2 però, c'è da dirlo, è anche e soprattutto un gioco di bastoni tanto quanto il primo lo era di corde, per citare Kobo Abe. Ciò che costruiamo va protetto, in fin dei conti, e i bastoni che Death Stranding 2 ci mette in mano servono a questo. Death Stranding 2 ci regala sicuramente nuove "corde", nella forma di esoscheletri più sviluppati, coperture per lo zaino, nuovi mezzi di trasporto alquanto bizzarri e tanto altro, ma non è da meno nel numero di "bastoni" che piazza nel nostro arsenale: la potenza di fuoco di Sam è di molto maggiore, in DS2, tanto da includere armi piuttosto potenti e adattissime a rispondere alle nuove minacce del mondo di gioco. È stato anche di molto migliorato il risvolto pratico dell'aumentare il rapporto di fiducia con i prepper, ottima scusa e motivo per sbloccare nuove "corde" o nuovi "bastoni".

Da soli insieme

Il prezzo della connessione dell'America era un prezzo negativo, che a Sam ha dato più di quello che ha apparentemente tolto: l'uomo sì ha perso una madre con cui non aveva mai avuto un vero legame, e l'Amelie che l'aveva salvato da infante si era rivelata un meccanismo capace di distruggere ma che infine ha scelto di salvare, di rimandare l'ultima fermata dell'umanità. Alla fine del viaggio di Death Stranding, Sam ci aveva guadagnato dei legami, in particolare quello con Fragile e quello con BB-28, Lou. Si era riconnesso al genere umano. Death Stranding 2 non può ricominciare da zero, e non lo fa: i legami del primo gioco sono il punto di partenza di Sam e di noi con lui, e serve tutta la forza d'animo del mondo per convincerci - e convincere Sam - che portare la Rete Chirale al Messico e all'Australia sia il prossimo necessario passo per sconfiggere davvero il Death Stranding. Serve un motivatore più forte, però, e, senza spoiler, Sam ne avrà uno. Ne parleremo in un contenuto full spoiler che pubblicherò a metà Luglio. [caption id="attachment_1099339" align="aligncenter" width="1400"]L'equipaggio della Drawbridge sono tutti volti nuovi, ma ci sono anche facce note L'equipaggio della Drawbridge sono tutti volti nuovi, ma ci sono anche facce note[/caption] Uno dei legami di Sam si romperà e il viaggio verso l'Australia assume esplicitamente i contorni di un percorso di guarigione, per Sam, aiutato dagli altri membri di Drawbridge (in particolare da un Dollman a sorpresa più centrale di quanto pensassi) e dalla continua presenza di una prossima destinazione da connettere. Sam forse così avrà il tempo di guarire, e noi di accettare ciò che è successo e di capire cosa ci aspetta... oltre. All'inizio del mio discorso dicevo che Death Stranding 2 aggiusta ciò che scricchiolava del primo gioco, ed è qui che ho notato di più il Kojima post-pandemia, quello al quale l'isolamento fisico constrastato all'immediatezza dei contatti digitali durante il Covid ha "preso più male". Uno degli aspetti più criticati del primo titolo erano le mille interruzioni dovute alle chiamate sul Cuff-link e l'utilizzo eccessivo di ologrammi per qualsivoglia comunicazione: erano infatti pochissime le cutscene che vedevano Sam fisicamente in presenza di qualcun altro. Con la "scusa" della Magellan, la nave della Drawbridge sulla quale andremo a riposare praticamente dopo ogni consegna principale legata al proseguimento della storia, ora solamente il contatto con i vari prepper avverrà via ologramma, mentre la maggior parte delle situazioni narrative che vedranno Sam protagonista saranno in presenza fisica di altri, solitamente altri membri della Drawbridge. È un tipo di interazione immediatamente più dinamica e viva, umana, con personaggi che cambiano posizione, compiono azioni mentre parlano, così che quando si concedono silenzi, questi pesano come macigni. Volti ed espressioni hanno fatto grandi passi in avanti, e risultano un 1:1 con la realtà. A livello di interpretazioni siamo ovviamente fuori scala, con in particolare i personaggi di Fragile (Léa Seydoux), Tomorrow (Elle Fanning) e Rainy (Shioli Kutsuna) a rubare la scena, in un sequel fortunatamente molto più equilbrato nel mettere a schermo tante "eroine" quanti "eroi". C'è un secondo aspetto che mi ha molto colpito della struttura narrativo-meccanica di questo Death Stranding 2: come nel primo, scopriamo le cose con Sam, ma mentre nel primo titolo insieme a Sam le scoprivano praticamente tutti gli altri personaggi, tranne il cattivone Higgs - che da antagonista deve ovviamente sempre essere avanti di almeno due passi -, qui ci sono cose che sì sono precluse a Sam e a noi, ma che non lo sono agli altri personaggi. È l'amore che dà la forza di tenere stretti a sé i segreti in Death Stranding 2, ed è un pugno emotivo dannatamente forte quando finalmente il vetro tra la realtà che Sam ha deciso di vivere e ciò che si cela nelle sue ombre s'infrange senza possibilità di ripararsi. Se pensi di aver capito che intendo, ti assicuro che stai sottovalutando la capacità di prestidigitazione di Kojima.

Ruggiti bassi e ragazzi di legno

Lo sappiamo tutti: una titanica parte dell'identità del primo titolo è legata alla sua colonna sonora. Low Roar, il compositore multistrumentista islandese, ha prodotto brani che, durante tutta la durata del primo titolo, ci hanno accompagnato alla scoperta di un mondo grigio nel contesto cromatico ma rigoglioso nel potenziale connettivo umano, pronto ad essere riallacciato. Purtroppo Ryan Karazija, il vero nome di Low Roar, è morto nel 2022 per una polmonite, e l'eredità musicale di Death Stranding è stata data al compositore francese Yoann Lemoine, aka Woodkid. Non avevo particolari dubbi sull'abilità di Yoann, avendolo già incrociato più volte in passato, in particolare in quel famosissimo trailer di Assassin's Creed Revelations, ma ero anche consapevole del peso enorme dell'eredità lasciata da Low Roar. Presa nella sua collettività, la colonna sonora di Death Stranding 2 non è potente come quella del primo titolo, ma i brani di Woodkid sono potentissimi nell'esprimere un senso di coralità maggiore rispetto al sisifeo viaggio di Death Stranding 1. Questa è una colonna sonora che non solo mi ha portato alle lacrime più volte ma che, riascoltata, rivela significanti inizialmente invisibili ma ora, alla fine del viaggio, profondamente notabili, quasi premonitori. [caption id="attachment_1099338" align="aligncenter" width="1500"]L'aggiunta della possibilità di scegliere alcuni dialoghi rispetto ad altri ci permette di approfondire alcune conversazioni solo se lo vorremo L'aggiunta della possibilità di scegliere alcuni dialoghi rispetto ad altri ci permette di approfondire alcune conversazioni solo se lo vorremo[/caption]

Death Stranding 2 - Conclusioni

Death Stranding 2 è la parte 2 di Death Stranding, non il suo sequel. La struttura ludica si sposta verso una maggior immediatezza d'utilizzo di ogni feature, aspetto e meccanica, in particolare con un combat system molto più solido - che tende a Metal Gear Solid-izzare questa IP - e una maggior coralità dei personaggi, meno isolati fra loro e più parte di un tantum in lotta con il passato, nel presente, in nome del futuro. Sam e noi attraversiamo insieme lo specchio per esplorare al di là di ricordi e memorie, in un titolo un po' deja-vu e un po' seduta di terapia, potente quanto e più del primo, con la sua narrazione affilata ma non senza i soliti kojimiani istrionismi, e un messaggio di fondo amaro ma non pessimista, perché "il futuro è sì la somma di tutti i presenti, ma il domani comunque non appartiene a oggi".

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Redazione Redazione Eventi e News