Indie Soul – Episodio #23

Per qualcuno di voi le vacanze stanno finendo – oibò – ma non tutto è perduto: la redazione di GameSoul arriva in vostro soccorso con un un nuovo episodio di Indie Soul, la rubrica di GameSoul.it dedicata ai titoli indipendenti, che ogni volta ci offre diverse proposte tutte da scoprire. Il terzetto di oggi abbandona ogni velleità di follia per concentrarsi su mistero, crudezza e un respiro nostalgico che non guasta mai.
Si comincia tra il folklore norreno con Vessels of Decay, che promette una grande avventura e ficcanti puzzle da superare. Si continua con il tosto Chronicles of the Wolf, ispirato ai grandi classici metroidvania, e si chiude con un’ode alle classiche avventure punta e clicca con The Drifter.
Vi ricordiamo che questi giochi sono disponibili solo in digitale, ma che da gamelife potete acquistare credito per PlayStation Store, Nintendo eShop, Microsoft Store e Steam, in negozio e online.
Ora è tempo di scoprire questo terzetto di indie, con il ventitreesimo appuntamento di Indie Soul!
In una Scandinavia post-apocalittica, in cui la natura e le creature del folklore locale hanno preso il sopravvento sulla civiltà umana, Vessels of Decay accompagna i giocatori in un’avventura ricca d’azione d’ispirazione retro.
Freja e Mud sono due sorelle alla ricerca di un modo per riportare in vita la loro defunta madre. Tra foreste e vecchi edifici ormai in rovina, popolati da oscure creature, le due protagoniste cercano i Vessels of Decay, personaggi mitici in grado di diffondere e controllare la morte. Purtroppo, durante il loro viaggio vengono separate, ed ognuna seguirà la propria strada per appropriarsi del potere necessario a sopravvivere in questo mondo pieno di pericoli e strappare la madre dalle grinfie della morte.
Vessels of Decay è un classico action-adventure: per combattere le creature che infestano il mondo, Freja e Mud avranno a disposizione le loro spade ed una serie di abilità, che sbloccheranno nel corso dell’avventura attraverso un albero. I combattimenti non hanno una grande difficoltà di per sé, purtroppo però dopo qualche scontro diventano un po’ ripetitivi e frustranti: un po’ per la generale legnosità dei comandi, un po’ per la scarsa variabilità di nemici. Anche le crude mosse “finish”, alla God of War, dall’indubbia bellezza scenografica, vengono attivate con una facilità troppo elevata finendo per perdere la loro particolarità dopo pochissimi minuti di gioco.
Come tutti gli action-adventure che si rispettano, anche Vessels of Decay presenta i suoi puzzle da risolvere per proseguire nella storia. Questi non richiedono grandi utilizzi di materia grigia, ma basterà esplorare la zona in questione per trovare l’oggetto-chiave da infilare nell’apposita serratura. Il gioco, quindi, consiste di fatto in un’interminabile sequenza di esplorazione, condita da combattimenti non troppo brillanti.
Le nuove abilità acquisite non fanno molto per aumentare la variabilità e non sono nemmeno presenti grandi cutscene o dialoghi che avrebbero potuto spezzare un po’ la monotonia e regalare un senso di realizzazione alla fine di una zona. Questo significa anche che l’interessante setting non viene mai approfondito, né viene data la possibilità di conoscere meglio le protagoniste.
Vessels of Decay risulta accattivante a prima vista: la pixel art si sposa magnificamente con i paesaggi scandinavi riconquistati dalla natura; l’ambientazione promette uno scenario post-apocalittico affascinante, portato non da zombie o alieni, ma dalle mitiche creature delle leggende nordiche; il sound design fatto di semplici suoni ambientali e colonne sonore sommesse dà un alto senso di immersione. Purtroppo, queste ottime premesse non trovano riscontro a livello di gameplay e progressione, e nel complesso il titolo di Simon Jakobsson e Aurora Punks ha l’aria di una grossa occasione sprecata e rovinata da innumerevoli bug che spesso costringono il giocatore a chiudere il gioco e ripartire dall’ultimo checkpoint.
Vessels of Decay è disponibile su Steam, PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series e Nintendo Switch.
A cura di Giada Mattiolo
Sviluppato da Migami Games ed edito da PQube, Chronicles of the Wolf omaggia i metroidvania sia in termini di atmosfera – che tende verso quella di Castlevania, sia per l’impianto ludico che mette sul piatto tutto quello che ha caratterizzato il genere. Il gioco racconta la storia di Mateo Lombardo, giovane novizio dell’Ordine della Croce di Rosa che, mandato assieme ai suoi fratelli a cacciare la leggendaria Bestia del Gévaudan, dopo un agguato che ha massacrato l’intero gruppo a eccezione di lui si ritrova l’unico a poter portare a termine la missione.
Aiutato da una donna misteriosa dopo essersi faticosamente trascinato lontano dal pericolo, Mateo si risveglia in un villaggio dal quale riprenderà la caccia per la quale è stato mandato lì: da solo, dovrà affrontare tutti gli orrori circoscritti alla presenza della Bestia, compresi gli umani che hanno deciso di voltare le spalle ai loro simili. Il primo elemento a balzare all’occhio è la realizzazione dei filmati, che non sono propriamente animati ma costituiti da singole illustrazioni molto ben realizzate, in grado di restituire la sensazione di mistero, orrore e soprannaturale che avvolge quelle terre.
Dal punto di vista del gameplay, Chronicles of the Wolf è un metroidvania nel senso più puro del termine: l’esplorazione è una componente fondamentale, e ogni area del vasto mondo di gioco è un labirinto di pericoli e segreti da sbloccare. Il combattimento è impegnativo e gratificante, poiché richiede non solo rapidità ma anche una certa dose di strategia. I boss, in particolare, hanno schemi d’attacco leggibili ma a mano a mano sempre più complessi, da memorizzare con attenzione per capire quando avvantaggiarsene e quando invece optare per un approccio più cauto. Nuove abilità e potenziamenti, anche sotto forma di spiriti che vi offriranno il loro concreto supporto, andranno lentamente ad ampliare le possibilità esplorative di Mateo, influenzando di riflesso anche quelle di combattimento affinché sia il più possibile alla pari con le minacce che cercheranno di sopraffarlo.
Il gioco si avvale di una progressione a livelli per il personaggio e una gestione dell’equipaggiamento che comprende soprattutto il pratico uso di arma principale ed eventuali secondarie senza soluzione di continuità: tra le armi primarie possono anche esserci quelle da fuoco, ottime per eliminare i nemici dalla distanza, ma la loro efficacia dev’essere valutata caso per caso e in diverse occasioni una spada (anche a due mani) si è rivelata migliore di un proiettile ben piazzato. Gli altri equipaggiamenti, che comprendono corpo, testa, gambe/piedi e due accessori, aiutano sia nella difesa fisica per sé sia nella resistenza di Mateo alle alterazioni di stato. In certi casi, a parità di difesa, può essere utile passare da un accessorio all’altro a seconda dei nemici o del boss che stiamo affrontando, per cui aspettate prima di vendere oggetti all’apparenza in eccesso: potrebbero essere essenziali per aiutarvi nei vari combattimenti.
L’esplorazione, nemmeno a dirlo, è la colonna portante dell’esperienza. La mappa è chiara nel suggerire quali percorsi si potrebbe aver mancato ed è di semplice consultazione per chi è abituato al mondo dei metroidvania; presenta inoltre una percentuale di completamento fondamentale per capire di aver rivoltato da cima a fondo un’area senza perdere del tempo prezioso a cercare percorsi segreti che in realtà non esistono. La distribuzione dei punti di salvataggio mi è parsa un po’ punitiva, in certi casi, quantomeno in relazione alle minacce che si trovano tra l’uno e l’altro e spesso portano a doversi rifare lunghi percorsi soprattutto nelle fasi iniziali dell’avventura.
Dall’altro lato, ci si può avvantaggiare di alcune reazioni nemiche inducendoli ad attaccare, in particolare quelli a lungo raggio, per poi approfittare del breve stallo in cui si trovano prima del successivo attacco. Sono approcci che, come sempre, si possono conoscere se si ha dimestichezza con il genere ma si impara comunque piuttosto presto a gestire, anche in base all’arma che si sta impugnando.
Infine, l’attenzione ai dettagli è ciò che distingue davvero questo titolo. L’estetica in pixel art è magnifica, ricca di dettagli e animazioni che danno vita a un mondo visivamente affascinante e al contempo inquietante, mentre la colonna sonora, composta da Jeffrey Montoya, è un elemento essenziale dell’atmosfera, con melodie che spaziano da pezzi ambientali a brani più epici che si fondono perfettamente con l’azione su schermo. Per me, però, il tocco di classe più inaspettato è la presenza di Robert Belgrade, la voce originale di Alucard da Symphony of the Night, che arricchisce la narrazione con la sua interpretazione iconica. Un altro omaggio che non passa inosservato è l’apparizione di Bloodless, personaggio di Bloodstained: Ritual of the Night, a dimostrazione di quanto questo gioco sia un vero e proprio tributo al genere.
Chronicles of the Wolf riesce a bilanciare con successo un’esperienza di gioco che omaggia il passato pur mantenendo una propria identità, offrendo un’avventura gotica e accattivante che saprà soddisfare tanto i puristi dei metroidvania quanto i giocatori meno avvezzi. Questo anche in virtù di una trama particolare, perché a memoria non ricordo videogiochi che abbiano utilizzato il mito della Bestia del Gévaudan per imbastire la propria storia. L’unico aspetto criticabile è che pur essendo tradotto in italiano, alcune parti si sono perse la localizzazione e risultano ancora in inglese; nulla di catastrofico e che un’eventuale patch non possa risolvere, ma è opportuno segnalarlo.
Chronicles of the Wolf è disponibile su Steam, PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series e Nintendo Switch.
A cura di Alessandra Borgonovo
Da fan di lunga data del genere, non potevamo non notare The Drifter, avventura punta e clicca in pixel-art che sembra uscita direttamente da un PC degli anni ‘90. Il bello è che chi ha vissuto quell’epoca ed il momento d’oro “LucasArts & co.”, si ritroverà tra le mani un gioco che sembra appartenere al passato, ma che è allo stesso tempo proiettato nel futuro. Facciamo però un passo alla volta.
The Drifter narra la storia di Mick Carter, uomo segnato da un passato di promesse infrante e relazioni difficili, che torna nella città natale per un funerale. Fin dall’inizio la vicenda assume toni noir e misteriosi: un omicidio su un treno, minacce da parte di sconosciuti, sparizioni inspiegabili e visioni inquietanti. Nonostante si passi molto velocemente ad un contesto fantascientifico, il filo conduttore resta sempre lo stesso: Mick che vuole ricongiungersi con la sua famiglia. Ed è proprio questo lato umano/personale che dona solidità alla trama, nonostante qualche svolta diciamo “eccentrica”.
Non ci piace andare a fondo nel parlare della trama, soprattutto nei giochi spiccatamente narrativi; infatti ci fermeremo qui. Ma c’è da sottolineare che il massimo punto di forza di The Drifter è proprio la sua storia, graziata da un ritmo che farà sì che l’avventura scorra velocemente senza mai annoiare. E, parlando di avventure grafiche punta e clicca, il rischio di trovarsi a girovagare senza un perché, facendo sopraggiungere la frustrazione, c’è sempre.
The Drifter riesce a bilanciare perfettamente i tempi narrativi, alternando fasi di dialogo a momenti d’azione, enigmi elementari (tanti) a quelli più complessi ed appaganti (pochi). A far sì che il tutto scorra fluidamente c’è l’inventario che praticamente si svuota tra un capitolo e l’altro, ed un menù in alto che ci ricorda sempre quali sono i nostri obiettivi. Come dicevamo, la maggior parte degli enigmi risultano estremamente lineari, e questa rappresenta un’ulteriore scelta narrativa: piccoli passaggi di gameplay destinati a scandire il tutto senza rallentare il ritmo. Al contrario, le poche sfide più ampie offrono una gratificazione maggiore e introducono varietà.
Ed a proposito di gameplay, l’interfaccia è particolarmente fruibile, non solo per i giocatori più “datati”, ma anche per le nuove generazioni. Esiste tra l’altro una seconda interfaccia pensata per i controller, magari anche in ottica di una futura release per console? Noi ovviamente siamo puristi e non abbiamo nemmeno pensato di provarla, scorrere il mouse in ogni punto della scena in cerca di punti di interazione ha un sapore, ed una naturalezza, unici. Il feeling che abbiamo avuto è proprio quello delle vecchie avventure grafiche, nonostante appunto un’interfaccia decisamente più snella ed intuitiva: per quanto possa apparire scontato questo aspetto per il genere, non lo è. Ci è capitato più volte di provare avventure punta e clicca moderne che si rifacevano ai classici del passato, e possiamo garantirvi che non basta mettere insieme gli elementi per ottenere un buon risultato, ma ci vogliono anche gli elementi giusti.
Nel caso di The Drifter è proprio l’insieme a renderla un’ottima avventura. La trama, ma soprattutto il ritmo con cui viene proposta, traina un gameplay solido (seppur elementare) mentre a consolidare il tutto troviamo un comparto artistico eccezionale. Non è solo questione di pixel-art, ma anche di scelte di design, di regia, di animazione ed illuminazione: sotto l’aspetto grafico The Drifter riesce a riportarci negli anni ‘90, ma anche a lasciarci stupiti per capacità artistica ed espressiva. Alcuni effetti speciali non erano di fatto possibili all’epoca, ma restano comunque ben contestualizzati con lo stile grafico, rendendolo a dir poco “esplosivo”. E la colonna sonora non è da meno, sintetizzatori vintage e un mood prevalentemente synthwave si alternano a tracce ambient, sottofondi cupi, capaci di enfatizzare dall’inizio alla fine il susseguirsi di avvenimenti.
Difetti ne abbiamo? Potremmo citare la mancanza dei sottotitoli in italiano, ma dobbiamo dire che anche in inglese i dialoghi sono davvero comprensibili, per cui invitiamo anche chi non è particolarmente a proprio agio con l’inglese, a tuffarsi in quest’avventura.
Per il resto The Drifter fa quello per cui è stato pensato: offrire una (fantastica) avventura in una chiave classica, riuscendo al contempo ad essere moderna ed accessibile a chiunque oggi. E lo ribadiamo, poche altre volte negli ultimi anni ci siamo sentiti trasportati indietro nel tempo, con un gioco simile. Ai tempi in cui al posto delle sedie gaming e degli schermi OLED panoramici c’erano la sedia della cucina e gli ingombranti schermi a tubo catodico a 256 colori, quando al posto della precisione laser dei mouse odierni, c’era una pallina che girava delle rotelline all’interno del mouse. Quando tutto era più semplice, quando tutto era (forse) più bello.
The Drifter è disponibile per PC, Mac e Linux (Steam), anche in bundle con la colonna sonora. Se amate il genere, fatevi questo regalo, non ve ne pentirete.
A cura di Pasquale Lello
Al prossimo appuntamento con Indie Soul!
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