La globalizzazione: criticità, opportunità e prospettive

Maggio 15, 2025 - 02:30
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La globalizzazione: criticità, opportunità e prospettive

di Giuseppe Lai

“Può essere il momento di ripensare la globalizzazione come la conosciamo”. Sono le parole pronunciate dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti in occasione dell’assemblea annuale dell’Asian development bank, tenutasi alcuni giorni fa a Milano. Tra i punti salienti del suo intervento la necessità di definire nuove regole che possano coniugare la liberalizzazione economica con una distribuzione più equa dei suoi potenziali benefici. Dichiarazioni che riportano il focus sulla globalizzazione, uno dei temi cruciali della storia contemporanea che negli ultimi anni ha evidenziato non poche criticità. Tra queste, la crisi finanziaria del 2008 e l’epidemia di Covid-19, che hanno generato non poche preoccupazioni sul fatto che una illimitata apertura internazionale di mercati, frontiere e individui possa costituire un rischio.
In merito a tale visione è tuttavia opportuno, quale premessa, un chiarimento innanzitutto concettuale. La globalizzazione è un processo evolutivo complesso, multidimensionale, comprensivo di vari aspetti dai quali possono derivare effetti diretti o indiretti, positivi o negativi. L’approccio al fenomeno, pertanto, implica l’approfondimento del tema nella sua articolazione e dovrebbe trascendere da una visione generica e superficiale dello stesso. Se ad esempio si considera l’aspetto della diffusione su larga scala delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, è oggettivo che la globalizzazione abbia sortito una molteplicità di effetti positivi. Nell’ultimo mezzo secolo l’incidenza della malnutrizione a livello mondiale si è ridotta dal 34 al 13 percento, a fronte di un raddoppio della popolazione globale nello stesso periodo.
Sul piano economico la ricchezza complessiva (almeno quella misurata in PIL) è costantemente cresciuta per trentanove anni negli ultimi quaranta (con l’eccezione del 2009, l’anno della crisi finanziaria internazionale). Questo ha permesso ad ampie fasce della popolazione mondiale di accedere a cibo e acqua potabile e di usufruire di efficienti servizi sanitari, con un aumento considerevole dell’aspettativa di vita.
Solo tra il 1990 e il 2015, secondo la Banca Mondiale, oltre un miliardo di persone è uscita da condizioni di estrema povertà. Inoltre l’apertura agli scambi commerciali ha consentito a giganti demografici come la Cina e l’India di diventare giganti anche economici, con elevati tassi di crescita e la possibilità di sedersi a pieno titolo al tavolo della governance internazionale.
Negli ultimi anni tuttavia la corsa all’integrazione economica sembra perdere terreno, diffondendosi l’idea dell’economia globalizzata non come vettore di maggior benessere per tutti ma come fattore di competizione e di conflitto tra i Paesi. La crisi finanziaria e la pandemia, prima menzionate, mettevano in crisi i capisaldi della globalizzazione, evidenziando le criticità dei flussi di beni, capitali e persone sulla lunga distanza. Sul piano delle relazioni internazionali, l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha messo in discussione la convivenza pacifica tra nazioni entro confini riconosciuti, alimentando in molti Paesi la ricerca dell’autonomia e la chiusura delle frontiere. Una critica emblematica che alimenta il dibattito tra i detrattori della globalizzazione riguarda la sua correlazione con l’aumento delle diseguaglianze sul piano economico e sociale. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il progresso tecnologico e la sua diffusione avrebbe infatti ridotto la domanda di mansioni professionali a bassa qualifica a favore di quelle a più alto contenuto di conoscenza, determinando un incremento salariale del lavoro più qualificato e un conseguente allargamento dei differenziali retributivi. Si ritiene che proprio l’emergere di questi differenziali sia una delle cause principali dell’aumento di diseguaglianze non solo tra paesi ma anche al loro interno.
Si deve però considerare che l’impatto della globalizzazione sul mercato del lavoro non è stato lo stesso dappertutto e un fattore discriminante è rappresentato dal livello di protezione sociale che ogni Stato ha offerto ai lavoratori, in primis a quelli con bassa qualifica. Una variabile che trascende la distinzione tra paesi ricchi ed economie emergenti, se si pensa che gli Stati Uniti hanno registrato un forte incremento di diseguaglianza salariale per effetto di scarse tutele a favore dei lavoratori. Una rete di sostegno sociale è dunque imprescindibile ma è altresì necessario implementare, a livello statale, un’istruzione che prepari i lavoratori a diventare protagonisti del progresso in corso. Lo sviluppo tecnologico nell’era contemporanea, denominato fino a qualche tempo fa la “seconda età delle macchine”, ha posto notevoli sfide a livello economico e sociale.
La digitalizzazione, l’automazione della produzione e l’avvento di processi completamente nuovi basati sull’intelligenza artificiale stanno rivoluzionando le economie e le società. La nuova “società della conoscenza” offre promettenti opportunità in termini di produttività, efficienza e benessere individuale nel lungo termine, sia nei paesi avanzati sia in quelli emergenti. Cogliere appieno le potenzialità positive di tali cambiamenti significa tuttavia creare le condizioni affinchè i benefici siano equamente distribuiti tra gruppi sociali e di reddito, al fine di evitare asimmetrie nelle opportunità. E questo implica l’intervento statale. In merito al ruolo statale in rapporto alla ricchezza e alle diseguaglianze, sono interessanti le parole di Dani Rodrik, professore di politica economica ad Harvard: le nazioni ricche sono tali perché dotate di solide istituzioni a sostegno del mercato, capaci di legittimarlo, stabilizzarlo e regolamentarlo; le nazioni più povere, che sono riuscite ad emergere, lo hanno fatto adottando un mix intelligente tra apertura economica e intervento pubblico.
Gli Stati tuttavia non possono fronteggiare singolarmente la sfida della globalizzazione; è necessaria una governance globale con regole internazionali condivise. Sotto questo aspetto un tema dibattuto è la riforma della WTO, l’organizzazione mondiale del commercio che ha svolto in passato un ruolo cruciale nella liberalizzazione degli scambi ma che è ritenuta inadeguata rispetto alle dinamiche attuali del commercio internazionale. Tra le accuse più gravi che hanno minato la sua autorevolezza quella di non aver saputo limitare con le sue regole i massicci interventi statali della Cina che distorcono il commercio. L’Europa, in particolare, auspica un’importante riforma del WTO in materia di commercio e clima, nuove norme per il digitale e regole rafforzate contro le pratiche sleali. Potrebbe essere un passo importante nella direzione di un multilateralismo più forte in grado di ostacolare le spinte centrifughe verso una frammentazione dei rapporti economici internazionali.

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