Morte dopo l’uso del taser: è polemica sul suo utilizzo da parte delle forze dell'ordine
lentepubblica.it
Due casi di morte in pochi giorni, a Olbia e a Genova, entrambe successive all’uso del taser da parte delle forze dell’ordine, hanno acceso una polemica nell’opinione pubblica.
La domanda che resta sospesa è infatti questa: cosa deve prevalere, l’efficienza immediata dell’intervento o il rispetto assoluto della vita? Ma se il prezzo della sicurezza diventa la morte di chi dovrebbe essere protetto, allora non si parla più di ordine pubblico: si parla di abuso di potere.
Morte dopo l’uso del taser da parte delle forze dell’ordine: due casi in pochi giorni
A Olbia, Gianpaolo Demartis, 57 anni, originario di Sassari, è deceduto dopo essere stato colpito con la pistola elettrica dei carabinieri, intervenuti per placare la sua furia notturna nel quartiere Santa Mariedda.
A Genova, nell’entroterra di Sant’Olcese, un cittadino albanese di 41 anni ha perso la vita in circostanze analoghe: tre tentativi di scarica, la caduta a terra e il decesso durante il trasporto in ospedale.
Due episodi ravvicinati che mettono al centro della scena uno strumento introdotto ufficialmente nel 2022, presentato come alternativa “non letale” alle armi da fuoco, ma che ora solleva più di un interrogativo.
Lo strumento “meno che letale” che può uccidere
Il taser viene spesso descritto come un dispositivo di contenimento, un mezzo per immobilizzare persone in stato di forte agitazione o potenzialmente pericolose senza ricorrere a soluzioni più drastiche. In teoria, dovrebbe ridurre i rischi sia per gli agenti sia per i cittadini. Ma la realtà ci mostra un quadro diverso. Le due morti recenti dimostrano che, soprattutto in presenza di fragilità fisiche, patologie cardiache o situazioni di abuso di sostanze, la scarica elettrica può trasformarsi da strumento di difesa a detonatore di tragedie.
E qui nasce il problema: chi stabilisce quando e come usarlo? Chi decide se il rischio è proporzionato alla minaccia? Non basta un addestramento tecnico a premere un grilletto diverso da quello di una pistola: serve una formazione culturale, sanitaria e giuridica che consenta di valutare le circostanze, riconoscere i limiti, e rispettare il principio cardine della tutela della vita.
I doveri delle forze dell’ordine
L’utilizzo del Taser da parte delle forze dell’ordine in Italia è regolato da procedure molto precise, pensate per limitarne l’impiego solo in situazioni di reale necessità. L’arma, diventata parte dell’equipaggiamento ordinario dopo una lunga fase di sperimentazione, non può essere usata liberamente ma richiede il rispetto di principi come proporzionalità e adeguatezza rispetto al pericolo. Prima di arrivare alla scarica vera e propria, gli agenti devono seguire un percorso graduale: avvisare la persona, mostrare l’arma, eventualmente produrre una scarica a vuoto come deterrente e solo in ultima istanza colpire.
Il ricorso al Taser deve inoltre tener conto delle condizioni del soggetto coinvolto: l’uso è fortemente sconsigliato su minori, donne incinte o persone con problemi di salute evidenti, e non può essere giustificato semplicemente dalla fuga, se non in casi in cui vi sia un rischio concreto per terzi. Dopo ogni intervento, è obbligatorio garantire un controllo medico immediato alla persona colpita, poiché la scarica elettrica, seppur limitata, può comportare conseguenze per chi soffre di patologie o ha assunto sostanze.
L’azione di polizia ha un limite invalicabile: la protezione dei cittadini. Fermare una persona in stato di agitazione non significa annientarla, ma riportarla a condizioni di sicurezza. Il taser, invece, rischia di trasformarsi in una scorciatoia rapida, un gesto meccanico che evita il confronto, la mediazione, l’uso di strategie non violente.
Le forze dell’ordine hanno il dovere di agire con proporzionalità. Non si può trattare un uomo in preda a un malore o a un crollo psichico come un criminale armato. La cronaca di Olbia ricorda che Demartis soffriva di cardiopatie. È un dettaglio che non può essere archiviato come “fatalità”: rappresenta la linea di confine tra un intervento legittimo e un potenziale abuso.
I diritti del cittadino
Quando un cittadino si trova davanti a un intervento delle forze dell’ordine in cui viene usato il Taser, conserva comunque i suoi diritti fondamentali.
In primo luogo quello alla tutela della salute, che impone agli agenti di richiedere subito assistenza medica dopo la scarica. Rimane intatto anche il diritto alla dignità e all’integrità fisica, per cui l’uso della forza deve essere strettamente proporzionato alla situazione e non può trasformarsi in abuso.
Infine, ogni persona ha diritto a un controllo successivo di legalità: l’impiego del Taser deve poter essere verificato, documentato e, se necessario, contestato davanti a un giudice. In sostanza, il cittadino non perde le proprie garanzie solo perché viene fermato o colpito, e lo Stato è obbligato ad assicurare che ogni intervento resti nei confini della legge.
Ogni individuo, anche nel pieno di un comportamento violento, conserva diritti inalienabili: il diritto alla vita, alla dignità, alla salute. Non può essere accettato che lo Stato – custode della legalità – diventi la causa diretta della morte di chi avrebbe dovuto proteggere.
Il cittadino ha diritto a essere fermato senza rischiare la vita. Questo principio dovrebbe guidare ogni intervento armato, soprattutto quando si impiegano strumenti che la stessa comunità internazionale non considera privi di rischi.
Le critiche internazionali
Non è un caso che diverse organizzazioni abbiano da tempo messo in guardia sull’uso del taser. Amnesty International ha più volte denunciato il carattere “tutt’altro che innocuo” di questo strumento, sottolineando come le scariche elettriche possano provocare gravi conseguenze su persone con problemi cardiaci, anziani o soggetti vulnerabili. Secondo l’organizzazione, negli Stati Uniti centinaia di decessi sono stati collegati direttamente o indirettamente all’uso dei taser negli ultimi vent’anni.
Anche l’ONU, attraverso il Comitato contro la tortura, ha espresso preoccupazioni, invitando gli Stati a limitarne l’impiego e a monitorarne costantemente gli effetti. La raccomandazione è chiara: il taser non deve diventare un mezzo ordinario di controllo, ma un’arma da impiegare solo in circostanze eccezionali, quando tutte le altre possibilità sono esaurite.
Cosa non deve fare lo Stato
Lo Stato non può delegare la gestione del disagio sociale a uno strumento che rischia di diventare letale. Non deve usare il taser come risposta istintiva al disordine urbano. Non deve scaricare la responsabilità sulle vittime attribuendo i decessi a patologie pregresse, come se la fragilità individuale giustificasse la morte.
Ignorare i richiami internazionali significa isolare l’Italia e minare la credibilità delle istituzioni. Ma soprattutto significa rompere il patto di fiducia tra cittadini e Stato, che si fonda sull’idea che la legge protegge, non colpisce indiscriminatamente.
Il confine sottile tra sicurezza e abuso
Il vero nodo sta nella soglia di utilizzo: quando un agente ritiene legittimo premere il grilletto elettrico? Nei casi di Olbia e Genova, non si parla di individui armati con pistole o coltelli, ma di persone in evidente stato di alterazione, probabilmente bisognose più di un supporto medico che di una scossa ad alta tensione.
Se il taser diventa routine, rischiamo una deriva pericolosa: trasformare cittadini fragili in bersagli, legittimando l’idea che la violenza elettrica sia un mezzo di gestione quotidiana. Una logica che contrasta con le regole della democrazia.
Le responsabilità della Pubblica Amministrazione
La Pubblica Amministrazione non può lavarsene le mani. Deve fissare protocolli chiari, formare gli operatori e predisporre controlli indipendenti. Ogni morte legata al taser deve essere indagata con trasparenza, non solo per stabilire eventuali colpe, ma per dimostrare che lo Stato sa vigilare sui propri strumenti coercitivi.
Serve un registro pubblico degli utilizzi del taser, con dati accessibili a media e cittadini: quante volte risulta usato, in quali situazioni, con quali conseguenze. Solo così il dibattito potrà superare la logica della polemica episodica e radicarsi nella trasparenza democratica.
Una riflessione collettiva
Le morti di Olbia e Genova non sono semplici incidenti, ma segnali d’allarme. Interrogano il modello di sicurezza che vogliamo costruire: uno fondato sulla rapidità del contenimento o uno basato sul rispetto della vita, anche quando chi la mette in pericolo è in preda al disordine?
Il taser, presentato come via di mezzo tra arma da fuoco e manganello, si rivela uno strumento che può cancellare in pochi secondi il diritto più elementare: quello a vivere. Amnesty e ONU lo dicono da anni, ma il rischio è che la politica faccia spallucce, mentre i cittadini finiscono per vedere nello Stato non più un garante, ma un potenziale carnefice.
The post Morte dopo l’uso del taser: è polemica sul suo utilizzo da parte delle forze dell'ordine appeared first on lentepubblica.it.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




