Nuova legge sul maltrattamento degli animali: pene più dure, ma nessun piano per educare o prevenire

Perché la nuova legge sul maltrattamento degli animali non basta: servono educazione, prevenzione e controlli seri
La nuova legge sul maltrattamento degli animali, approvata in Senato, ha ufficialmente introdotto pene più severe per chi commette reati contro gli animali: si passa da 2 a 4 anni di carcere e da 15.000 a 30.000 euro di multa. Un cambiamento che sulla carta appare come una conquista importante, ma che in realtà non tocca il nodo centrale del problema.
Perché se è giusto e necessario punire chi maltratta cani, gatti e altri esseri viventi, non si può continuare a ignorare ciò che avviene prima della violenza: l’assenza di educazione, di consapevolezza, di strumenti culturali e sociali che insegnino il rispetto verso gli animali. Questa legge, come molte altre, arriva troppo tardi e interviene solo dopo che il danno è stato fatto.
Non propone soluzioni concrete per prevenire l’abbandono, il maltrattamento, la superficialità con cui troppo spesso si adottano o acquistano animali. E così l’abbandono continua, cambiando forma ma non sostanza. Oggi non si vedono più solo cani legati a pali: la via legale più comoda è la rinuncia di proprietà, con cui si consegna un animale a un canile senza violare la legge. È diventata prassi. Ma questo dimostra che anche la nuova legge sul maltrattamento degli animali, se non accompagnata da una strategia educativa, rischia di restare solo un deterrente apparente.
Maltrattamento animali: cosa manca davvero nella nuova legge?
Il testo approvato in Senato è l’ennesima legge scritta per accontentare l’opinione pubblica, non per cambiare la realtà. Si concentra su divieti e sanzioni, ma è totalmente privo di strumenti di prevenzione. Nessuna menzione all’inserimento di programmi educativi nelle scuole. Nessun piano nazionale per la formazione dei volontari nei rifugi. Nessun sistema organizzato che aiuti le persone a capire cosa significa davvero vivere con un cane, un gatto o qualsiasi altro animale.
Eppure, le misure utili sono note e già richieste da anni da chi si occupa seriamente di tutela animale. Tra quelle più urgenti:
- Un registro nazionale delle persone ritenute inidonee a vivere con animali, accessibile a enti, canili, veterinari e associazioni.
- Percorsi obbligatori per adottanti e acquirenti, per valutare compatibilità e garantire responsabilità.
- Formazione certificata per operatori e volontari nei rifugi, per gestire correttamente adozioni e inserimenti.
- Regolamentazione degli allevatori, con l’obbligo di seguire i proprietari anche dopo la vendita.
La nuova legge sul maltrattamento degli animali ignora tutto questo. Preferisce raddoppiare le pene, lasciando però intatto un sistema disfunzionale dove chi non è idoneo può comunque continuare ad adottare. Dove chi lavora nei rifugi spesso lo fa senza alcuna formazione. Dove l’adozione consapevole è lasciata alla sensibilità di singoli operatori, non a un protocollo condiviso.
Educazione, prevenzione e rispetto: l’unica strada per cambiare davvero
La legge Brambilla è, in fondo, una risposta di facciata. Non nasce da una visione etica, ma da un bisogno politico di mostrarsi “dalla parte degli animali”. E infatti riceve consensi da chi “ama” i propri animali, ma spesso li tratta come pupazzi da vestire o prolungamenti di sé da mostrare sui social.
La verità è che non basta non fare del male agli animali. Serve capire che sono esseri senzienti, con bisogni e diritti, e che relazionarsi con loro richiede competenza, empatia e formazione. Senza una cultura diffusa e condivisa, senza partire dalle scuole, dai contesti familiari, dai media e dai professionisti, la nuova legge sul maltrattamento degli animali sarà solo un’occasione persa.
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Ci vuole una riforma culturale profonda, non solo un aumento delle sanzioni. Solo allora frasi abusate come quella di Gandhi – “La grandezza di una nazione si misura da come tratta gli animali” – potranno finalmente diventare realtà, e non solo slogan da usare in campagna elettorale.
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