Palestina. Si muove l’Arabia Saudita, mentre l’Ue resta al palo
di Giuseppe Gagliano –
Il principe Faisal bin Farhan, ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, ha messo piede a Ramallah, segnando la prima visita ufficiale di un alto rappresentante saudita in Cisgiordania da oltre mezzo secolo. Un gesto carico di simbolismo che rompe il silenzio strategico mantenuto da Riad nei confronti della Palestina sin dalla Guerra dei Sei Giorni e che potrebbe rappresentare una svolta nei rapporti arabo-israeliani come anche una rinnovata pressione verso l’occidente, sempre più incapace di uscire dalle sabbie mobili della retorica umanitaria.
Il principe saudita guida una delegazione araba composta dai ministri degli Esteri di Egitto, Giordania e altri Paesi della Lega Araba, segno che questa iniziativa non è un’azione isolata ma parte di una strategia diplomatica regionale concertata, volta a riposizionare la questione palestinese al centro dell’agenda politica araba, dopo anni in cui la normalizzazione con Israele, dal Bahrein agli Emirati, fino al Marocco, sembrava relegare Ramallah all’oblio.
L’iniziativa saudita è giunta con tempismo chirurgico: appena ventiquattr’ore dopo l’annuncio da parte del governo israeliano dell’approvazione di 22 nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata. Alcuni saranno legalizzati ex post, altri sono nuove fondazioni. La mossa, denunciata da Peace Now come la più ampia degli ultimi trent’anni, ha l’evidente scopo di consolidare una presenza ebraica permanente e irreversibile nei territori destinati teoricamente a uno Stato palestinese. Un’occupazione che il ministro della Difesa Israel Katz ha rivendicato esplicitamente, definendola risposta alle “organizzazioni terroristiche” e messaggio chiaro al presidente francese Emmanuel Macron: “Riconoscerete la Palestina sulla carta, ma noi costruiremo Israele sul terreno”.
Le parole di Katz non lasciano spazio a equivoci: Israele prosegue nella sua strategia dei fatti compiuti, mentre l’Europa continua ad affidarsi a gesti simbolici senza costrutto geopolitico.
Il capo del think tank israeliano T-Politography, Shaul Arieli, ha definito la visita “senza precedenti”. E ha ragione. Perché se da un lato Riad ribadisce la centralità della soluzione a due Stati, con i confini del 1967 e Gerusalemme Est capitale, dall’altro segnala con crescente determinazione la disponibilità a sostenere direttamente il bilancio dell’Autorità Palestinese. Un passaggio cruciale, che implica la volontà saudita di giocare un ruolo autonomo, persino antagonista a quello israeliano, in un momento in cui la guerra a Gaza ha profondamente intaccato la credibilità della comunità internazionale.
Il consigliere del ministro saudita, Manal Radwan, ha sottolineato che il riconoscimento della Palestina non può essere più un atto simbolico, ma una necessità strategica per ristabilire un ordine minimo in Medio Oriente. Parole dure, pronunciate anche nel quadro della conferenza ONU di New York del 17-20 giugno, organizzata proprio da Arabia Saudita e Francia, che punta a rilanciare il riconoscimento dello Stato palestinese come leva diplomatica multilaterale.
Se la diplomazia saudita agisce sul piano regionale e multilaterale, l’Europa resta al palo, incapace di trasformare le dichiarazioni di principio in strumenti di pressione reale. Parigi, pur ribadendo la volontà di riconoscere la Palestina, si limita a parole che non scalfiscono il processo coloniale israeliano. E le capitali europee, divise e disarticolate, sembrano ormai accomunate solo dalla loro irrilevanza geopolitica.
L’Arabia Saudita invece gioca su più tavoli: da un lato mantiene i canali aperti con Tel Aviv (nel contesto del processo di normalizzazione sospeso dopo il 7 ottobre), dall’altro cerca di rilanciare la sua leadership islamica e panaraba attraverso il dossier palestinese, sfidando apertamente la narrazione che vuole la causa palestinese definitivamente archiviata.
Non è un caso che il diplomatico saudita Nayef al-Sudairi, nominato ambasciatore non residente in Palestina già nel 2023, sia stato tra i precursori di questo cambio di passo. La visita attuale si innesta in una dinamica più ampia, che vede l’Arabia Saudita cercare di recuperare legittimità presso le opinioni pubbliche arabe scosse dalle stragi a Gaza, ma anche di preparare il terreno a una nuova configurazione di sicurezza regionale. Una configurazione in cui Riad vuole essere protagonista e non comprimario, negoziatore e non spettatore.
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