Quando l’amore diventa un prodotto nell’era della competitività

Al Teatro Franco Parenti, dal 2 al 7 dicembre, arriva Secondo Piano, una produzione CollineFar, ideata, scritta e interpretata da Michele Eburnea, Sara Mafodda e Andrea Giovalè, con la regia di Eburnea. Un titolo asciutto per un’operazione che vuole interrogare l’intimità della coppia nella stagione della concorrenza emotiva, quando anche l’amore finisce nella griglia dei prodotti valutabili. Il lavoro mette in gioco tre artisti che appartengono a una generazione che tenta di sottrarre il teatro alla retorica e ai sentimentalismi, intercettando con sguardo clinico le nevrosi del presente.
La storia si apre su un appartamento qualunque. Mumu e Muma vivono insieme da anni. Si definiscono “sposati per esigenze narrative”: non sono più due persone distinte, sono un corpo unico, appiattito nella routine. Una coppia-divano. La scenografia li mostra mimetizzati con il blu del mobilio, stessa tinta, stessi abiti, lo spazio domestico che li ha inglobati. Stanno per fare colazione quando una voce esterna, pubblicitaria, invita a considerare una possibilità imperdibile: divorziare.
Da qui si innesta il motore drammaturgico. Il divorzio non è considerato un crollo sentimentale, ma una procedura consigliata da un servizio clienti che lavora come un tour operator. Una promozione, un upgrade, un cambio di offerta. La coppia è convocata da un funzionario che gestisce la pratica con la freddezza di chi risolve un disguido telefonico. I due devono valutare il proprio indice di compatibilità, compilare moduli, rispondere a test motivazionali, affrontare varie consulenze di coppia smistate a un call center remoto. Non c’è tragedia, ma una procedura, e nel meccanismo la relazione si smonta pezzo dopo pezzo.
Il testo sviluppa una satira senza moralismi. L’amore – schiacciato tra algoritmi e performance – ha assunto parametri di efficienza. Restare insieme non è più una scelta privata: è una decisione di mercato. Se si trova un modello più adatto, la sostituzione è incentivata. Il sogno non è più l’anima gemella: è il profilo giusto, l’accoppiamento che genera un valore aggiunto. Tinder appare come scorciatoia di promozione sociale. L’upgrade emotivo è un imperativo che spinge tutti a riconsiderare costantemente ciò che provano. Se non è ottimale, si cambia.
Mumu e Muma si ritrovano così a dover difendere un’unione che hanno smesso di sentire. La simbiosi che li ha tenuti insieme li ha resi invisibili l’uno all’altro. La regia lavora su questo aspetto con un dispositivo scenico che evolve: al momento della separazione, il divano si divide in due poltrone, i vestiti assumono nuovi colori, la coppia riguadagna un’identità individuale. La frattura fisica diventa un passaggio obbligato per tornare a vedersi.
Lo spettacolo alterna registri senza preavviso: situazioni che ricordano il teatro dell’assurdo, gesti slapstick, nonsense, e poi improvvise fenditure di realismo. Questo dislivello continuo evita la rassicurazione e costringe a restare dentro un limbo emotivo che rispecchia l’incertezza contemporanea. I dialoghi, costruiti su una lingua che gioca con l’insensatezza quotidiana, mettono a nudo come la comunicazione di coppia sia spesso slogan, tutorial, automatismo.
La comicità diventa così uno strumento d’indagine. Fa sorridere scoprire quanto sia irragionevole affidare al mercato il destino privato. Ma fa anche intuire che la realtà è già invasa da quell’assurdo. La coppia che si sottopone a un audit sentimentale non è così lontana da quella che aggiorna il proprio stato online, confronta il numero dei like, teme la concorrenza dell’offerta migliore. Sotto la risata emerge la domanda: quanto siamo ancora liberi di scegliere chi amare, senza doverlo giustificare?
MUMU e MUMA affrontano una crisi tanto assurda quanto plausibile. Separandosi, si riconoscono. Perdendo l’integrità del divano, tornano a essere persone visibili l’una all’altra.
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