Raggiunta l’intesa Stati Uniti-Ue sui dazi: tariffa base al 15%. Trump: “È il più grande accordo di tutti i tempi”

Lug 28, 2025 - 23:30
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Raggiunta l’intesa Stati Uniti-Ue sui dazi: tariffa base al 15%. Trump: “È il più grande accordo di tutti i tempi”
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Dopo mesi di braccio di ferro, è arrivata l’intesa sui dazi tra Stati Uniti e Unione europea. Un accordo che prevede un livellamento al 15% per la maggior parte delle esportazioni europee, lasciando fuori acciaio e alluminio (che patiranno una tassazione al 50 per cento).

Un deal universalmente auspicato, se si considera che il suo mancato raggiungimento avrebbe significato una scure tariffaria sul Vecchio Continente al 30%: un rischio la cui sola prospettiva aveva trascinato al ribasso i listini azionari di tutti i principali titoli del lusso, spaventato all’idea di vedere eroso un mercato fondamentale per il settore.

Nell’ambito dell’accordo raggiunto, la Ue si è impegnata, per i prossimi tre anni, ad acquistare prodotti energetici dagli Usa per circa 750 miliardi (pari a 643 miliardi di euro) e forniture dall’industria militare americana e investire negli States fino a 600 miliardi di dollari, da sommarsi a quelli già in atto, oltre a garantire flessibilità sul mondo tech, IA e criptovalute. E, soprattutto, non imporrà dazi sulle importazioni di merci statunitensi. Prevedibilmente ritirata, dunque, la ‘minaccia’ di imporre una tassa sulle merce che arriva da oltreoceano dal valore complessivo di 93 miliardi di dollari.

“È il più grande accordo di tutti i tempi”, ha commentato il presidente a stelle e strisce Donald Trump. Fa eco Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea: “Ci siamo riusciti. È una buona intesa, un’intesa enorme, che porterà stabilità e chiarezza a imprese e cittadini”. Sottolineando poi l’importanza dell’azzeramento dei dazi su una serie di prodotti strategici, quali “aeromobili e componenti, alcuni prodotti chimici, alcuni farmaci generici, apparecchiature e semiconduttori, alcuni prodotti agricoli, risorse naturali e materie prime essenziali”.

In linea di massima il nuovo protocollo, incognite a parte (tra cui le sorti del settore farmaceutico), sembra essere stata accolta come una ‘vittoria di Pirro’: la tassa generale del 15% è indubbiamente la metà di quanto profetizzato in origine da Trump, ma è anche superiore al 10% che Bruxelles sperava di spuntare e, soprattutto, più che tripla rispetto ai precedenti dazi medi, che si attestavano al 4,8 per cento.

L’Unione europa ha dunque, sì, evitato lo scenario peggiore, evitando un regime tariffario stellare e insostenibile, ma accusando comunque quello che rischia di essere un duro colpo per l’economia dei Paesi membri, portando a casa un risultato che è stato diffusamente percepito come deludente. Con piglio critico il Financial Times ha scritto che la Ue si è sostanzialmente “arresa” alle richieste di Trump, il quale “ha ottenuto quello che voleva”. Ovvero un accordo asimmetrico e penalizzante per l’Europa.

Allo stesso tempo ha accettato comunque un accordo molto penalizzante e asimmetrico, che prevede per l’Unione condizioni molto diverse che per gli Stati Uniti. Dietro l’esito della vicenda, un approccio cauto e conservativo da parte di Bruxelles, orientato a evitare il peggio, e la frammentazione che caratterizza la stessa Ue, alle prese con 27 Paesi membri dalle economie e dagli orientamenti molto diversi: se alcuni Governi, come la Francia, auspicavano un approccio più duro contro le pretese trumpiane, altri, come la Germania, particolarmente preoccupata dal peso che le esportazioni Usa hanno per l’economia nazionale, concordavano su approccio improntato alla prudenza.

L’Italia stessa e la presidente Meloni hanno fatto della cautela il proprio strumento per negoziare. Meloni che all’indomani dell’accordo sottolinea l’urgenza di “lavorare sulle esenzioni per salvaguardare i settori più colpiti”.

Quello che indubbiamente l’accordo ha ottenuto è stata la tanto auspicata stabilità: la fine, almeno per il momento, del clima di incertezza che, come una ‘spada di Damocle’, stava contribuendo a compromettere gli equilibri commerciali.

La moda, in particolare, dal lusso al fast fashion, ha vissuto con patimento gli ultimi mesi vissuti a colpi di contrattazioni e repentini cambi di rotta, nell’ambito di uno scenario macroeconomico e geopolitico già complesso.

“Oggi, i nuovi dazi promettono di cambiare radicalmente le regole del gioco”, osserva Maurizio Catellani, CEO Dispell Magic (Competitoor), Gruppo Deda. Che prosegue: “L’aumento dei costi lungo la filiera estesa rischia di colpire duramente la fiducia dei consumatori e di comprimere le vendite. A livello di numeri, uno studio di Joor stima un aumento medio dei prezzi al consumo del 20%, con potenziali rincari che si traducono inevitabilmente in pressioni dirette sui bilanci aziendali”.

Fondamentale, su questo sfondo, “il valore strategico dei dati in tempo reale: il monitoraggio continuo del mercato, delle mosse della concorrenza e delle reazioni dei consumatori non è più soltanto una semplice opportunità, ma una vera esigenza per scongiurare il rischio di rimanere indietro”.

Riguardo ai segmenti più vulnerabili, tra questi ci sono il tessile, le calzature e gli accessori, “dipendenti dalle importazioni”. Per questi comparti, spiega Catellani, “anche un incremento apparentemente contenuto cpuò diventare cruciale in presenza di margini già compressi, rendendo ogni punto percentuale un fattore di costo notevole. A complicare questo quadro, le regole commerciali possono mutare da un giorno all’altro, trasformando la pianificazione in una sfida continua”.

Una sfida anche necessaria, se si pensa che i dati dicono che la moda – seppur responsabile solo del 5% dell’import totale negli Stati Uniti – pesa per il 25% sui dazi totali, con tariffe medie per abbigliamento e calzature fino a cinque volte superiori rispetto alla media sulle importazioni.

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Redazione Redazione Eventi e News