Riforma a scatola chiusa, referendum al buio
Magistratura democratica e la sua rivista “Questione giustizia” hanno presentato ieri in Cassazione il volume dedicato a “La riforma costituzionale della magistratura”. Pubblichiamo un estratto dell’intervento del direttore di QG, Nello Rossi.
La riforma è nata – già vestita e armata di tutto punto – dalla testa di Meloni e Nordio – e io aggiungo – del sottosegretario Mantovano, come Minerva dalla testa di Giove. Era così perfetta da non aver bisogno di alcuna modifica, integrazione o correzione sulla base delle indicazioni dei tanti studiosi che hanno partecipato alle audizioni parlamentari o al dibattito pubblico nel Paese. E nessuna modifica è stata possibile – non c’è bisogno di dirlo – da parte dei parlamentari, chiamati solo a votare il testo predisposto dal Governo come se si trattasse della conversione di un decreto legge.
La campagna referendaria
Ci aspetta ora una campagna referendaria che si preannuncia molto aspra al termine della quale il testo della riforma sarà sottoposto al giudizio di Dio del referendum confermativo. Naturalmente in vista della campagna c’è un gran parlare di comunicazione in magistratura e tra le associazioni e le forze politiche che saranno impegnate nel referendum. Per parte nostra, più che farci coinvolgere in questo abbastanza vuoto esercizio di retorica della comunicazione, abbiamo ritenuto utile pubblicare il Focus ISTAT del 17 settembre di quest’anno, intitolato La partecipazione politica in Italia. Vi si leggono dati precisi ed allarmanti sul calo generalizzato della c.d. partecipazione invisibile (consistente nell’informarsi e discutere di politica) dal 2003 al 2024, sulle differenze di genere, di età e territoriali nelle forme di tale partecipazione e sull’incidenza del titolo di studio sulla propensione ad informarsi.
Sono poi passati in rassegna ed analizzati nella loro consistenza quantitativa i diversi canali informativi. La televisione, ancora al primo posto, anche se in calo di 10 punti percentuali dal 2003 (dal 94 all’84,7%). Al secondo posto i quotidiani, anche se calati dal 2003 dal 50,3 al 25,4% e, a seguire, le fonti informali come amici e parenti e i social network utilizzati da un cittadino sui cinque. Al di là di questi gruppi di popolazione, relativamente informati, si stende la grande terra di nessuno di quanti non si informano e non discutono “mai” di politica, per disinteresse o sfiducia. Bisognerà studiarlo attentamente questo rapporto se si vuole fondare su basi solide ogni discorso sulla comunicazione relativa al referendum costituzionale. Ma già da una prima lettura emerge con chiarezza che l’opinione pubblica coinvolta nella campagna risulterà divisa in due grandi fasce, sia pure con molte sfumature al loro interno.
Da un lato una consistente minoranza maturerà i suoi convincimenti con l’attenzione rivolta ai temi oggetto della revisione costituzionale: separazione delle carriere, formazione per sorteggio dei due CSM e scorporo della Corte disciplinare. Sull’opposto versante una corposa maggioranza sarà più propensa ad orientarsi sulla base di percezioni e giudizi complessivi sullo stato della giustizia, sulla lunghezza dei processi, sull’immagine della magistratura. Ci saranno perciò due campagne referendarie parallele. La vera sfida sarà parlare, con linguaggi diversi anche se coerenti, all’una ed all’altra componente dell’opinione pubblica. In particolare sottraendo la parte meno informata alle suggestioni che verranno profuse a piene mani dalla potente armata dell’informazione di destra.
Le incognite della riforma
Detto questo, per chiarire che non siamo ciechi di fronte ad una realtà così inquietante, voglio concentrarmi brevemente su di un aspetto squisitamente giuridico che attiene insieme alla campagna referendaria ed alla legge di revisione ormai approvata dal parlamento. Parlo dell’esistenza di una pluralità di incognite e di grandi, a volte clamorose, lacune, nel corpo della legge di riforma. Vuoti e lacune che producono un singolare effetto: nel referendum gli elettori – informati o meno che siano – dovranno fare una scelta in gran parte al buio. Vedranno lo scheletro in cemento armato del nuovo edificio costituzionale ma non disporranno di nessuna indicazione sulle caratteristiche degli appartamenti e sulla funzionalità e vivibilità del nuovo ambiente della giurisdizione. Su una base di informazioni così scarna nessuno comprerebbe un appartamento “nuovo”.
Ma questa è la prospettiva che i cittadini avranno di fronte per i due Consigli Superiori separati e ancor più per la Corte disciplinare. La riforma si preoccupa solo di separare i Csm e di attuarne la provvista tramite sorteggio. Ma nulla dice sul “numero” dei componenti togati dei due Consigli e le “procedure” da adottare per il sorteggio. Sarà dunque il legislatore ordinario a dover dare risposte che saranno assolutamente decisive per definire la reale fisionomia dei due organi di governo autonomo. Sarà garantita – e in che termini? – una qualche parità di genere tra i consiglieri togati?
Quando, poi, si passa all’esame delle norme riguardanti il nuovo giudice disciplinare e l’assetto della giurisdizione disciplinare le incognite, i silenzi, i vuoti sono se possibile ancora maggiori. Si dà vita ad un “nuovo” giudice speciale – perché è indiscutibile la funzione giurisdizionale della Corte disciplinare – in contraddizione se non in rotta di collisione con l’art. 102 della Costituzione che vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali. Si separa la giurisdizione disciplinare dall’amministrazione della giurisdizione, con una divaricazione che non esiste per nessun’ altra autorità di vigilanza e di garanzia (Banca d’Italia, Consob, Autorità garanti) o per altri corpi professionali (tra cui avvocati, notai). Questa Corte , che si definisce enfaticamente alta, ha ancora una volta una composizione affidata al sorteggio, con l’aggiunta di un vistoso difetto: una legittimazione diseguale al suo interno tra i membri nominati dal presidente della Repubblica e gli altri membri tutti sorteggiati.
Il destino del pubblico ministero
Se è vero che nel testo del ddl di revisione costituzionale non è intaccata l’autonomia dall’Esecutivo del corpo dei pubblici ministeri, è legittimo temere che, una volta approvata la riforma, la sorte dei magistrati dell’accusa sarà subito al centro di forti tensioni. L’attrazione dell’ufficio del pm nell’orbita dell’esecutivo potrebbe giungere alla fine di una stagione di dure polemiche sull’operato degli uffici di Procura e su di una loro presunta irresponsabilità. Stagione di cui non è difficile immaginare i contenuti ed i contorni nel contesto italiano caratterizzato da anni da furibonde polemiche verso “tutti” gli attori del giudiziario autori di provvedimenti sgraditi alle forze politiche di maggioranza.
C’è però una seconda prospettiva – non meno insidiosa e già coltivata in passato: quella che condurrebbe alla negazione del potere di iniziativa del pubblico ministero, al quale sarebbe attribuita la diversa funzione di avvocato della polizia. In quest’ottica il pubblico ministero dovrebbe attendere che siano le forze di polizia (tutte dipendenti da diversi Ministeri) a comunicargli la notizia di reato e i risultati delle indagini svolte, mettendo in campo la sua capacità tecnica solo per sostenere l’iniziativa autonomamente assunta dagli apparati di sicurezza. Una opzione, questa, attuabile senza introdurre modifiche costituzionali, intervenendo solo sulle norme del codice di procedura penale, che consegnerebbe all’esecutivo la leva dell’azione penale e non si tradurrebbe certo in maggiori garanzie per i comuni cittadini.
Effetti collaterali.
Venendo meno l’investitura democratica e la rappresentatività dei membri togati, non più eletti ma sorteggiati, sarebbero minori la legittimazione e il peso istituzionale dei due organi di governo autonomo che sostituirebbero il Consiglio superiore unitario. Inoltre, la minore forza istituzionale dei due Consigli separati e dimidiati potrebbe recare con sé una diminuita capacità di difesa dell’autonomia e dell’indipendenza delle magistrature. Già oggi la relativa debolezza istituzionale del Consiglio superiore, frutto di una pluriennale e incessante campagna di stampa denigratoria, si è tradotta nella minore propensione a promuovere “pratiche a tutela” dei magistrati, anche quando sono oggetto di durissimi attacchi e di vere e proprie intimidazioni da parte della politica. Nei Consigli dei sorteggiati le timidezze potrebbero essere ancora maggiori, tanto sulla tutela dell’indipendenza quanto sulla meditata e rigorosa difesa della libertà di manifestazione del pensiero di giudici e pubblici ministeri. Al minore impegno per la salvaguardia dell’indipendenza potrebbe poi fare da pendant una ridotta attitudine dei Consigli scaturiti dalla casualità del sorteggio, a promuovere l’innovazione istituzionale.
Il futuro dell’associazionismo
Non c’è dubbio che la riforma – recidendo il legame storico tra associazionismo dei magistrati e governo autonomo della magistratura realizzato attraverso le elezioni del Csm – abbia l’obiettivo di frammentare e atomizzare la magistratura e di privare di vigore la sua vivace realtà associativa. Interrogarsi sul futuro di un associazionismo “dissociato” – per effetto del sorteggio – dall’amministrazione della giurisdizione apre un inedito campo di problemi che è prematuro affrontare oggi, mentre la vicenda legislativa della riforma è ancora in itinere ed è incerto l’esito dell’eventuale referendum confermativo.
Ma si può dire sin d’ora che sono malriposte le speranze di chi pensa di infliggere – con la separazione delle carriere e con il sorteggio – un colpo duro e decisivo all’associazionismo dei magistrati, che dalla sua storia e dalle sue radici ideali saprà comunque trarre la linfa necessaria a vivere anche in un mutato ambiente istituzionale. E certamente non scomparirà né sarà indebolita Magistratura democratica che nelle idee, nelle idealità, nella cultura giuridica ed istituzionale della democrazia ha la sua linfa vitale e il suo collante. Possiamo garantire ai tanti detrattori e calunniatori di Magistratura democratica che non riusciranno a cancellare questa realtà viva e feconda che, contro ogni verità, si ostinano a considerare una “mala pianta” da estirpare.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




