La questione africana che il G20 non ha potuto ignorare (anche perché c’è tanto da fare)

Il vertice di Johannesburg, il primo G20 organizzato in Africa, è l’occasione per fare il punto sulla situazione attuale e prospettica del continente considerato il più antico del mondo. Nel maggio 2019 entrò in vigore l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) che prevedeva l’eliminazione, nel continente africano, di dazi e quote sul 90 per cento delle merci che ne attraversano i confini interni, permettendo il mantenimento per una fase transitoria solo sul restante 10% ritenuto “sensibile” dagli Stati che prendono parte al progetto.
Un passo fondamentale per la costruzione dell’Agenda 2063 The Africa We Want deciso nel 2015 ad Addis Abeba dall’Unione Africana che riunisce i 55 Paesi del continente. Una sorta di “Rinascimento africano” basato su sette punti cardine: unità, pace, democrazia, sviluppo sostenibile, rispetto dei diritti umani, difesa e valorizzazione del ruolo delle donne e dei giovani. Oggi, a distanza di sei anni, possiamo misurare meglio che cosa è cambiato e quali nodi restano aperti.
L’accordo è stato ratificato da quasi tutti i Paesi dell’Unione Africana e sono oltre 45 gli Stati che hanno completato le procedure per partecipare pienamente al mercato unico. Dal 2022 è attiva una Guided Trade Initiative che consente scambi reali a dazio ridotto tra un numero crescente di Paesi; nel 2024 vi aderiscono quasi 40 Stati, inclusi giganti come Nigeria e Sudafrica.
Secondo Afreximbank, mentre il commercio complessivo dell’Africa si è contratto nel 2023, gli scambi intra-africani sono comunque cresciuti del 3,2%. Nel 2024 il rimbalzo è stato ancora più netto: il valore del commercio dentro il continente ha raggiunto circa 220 miliardi di dollari, in aumento di oltre il 12% rispetto all’anno precedente, sebbene ancora un dato insufficinete se paragonato a quello asiatico o europeo. L’AfCFTA sta quindi cominciando a funzionare, ma la piena integrazione economica rimane un obiettivo di lungo periodo, frenato da infrastrutture carenti, procedure doganali lente e importanti barriere non tariffarie.
In questo quadro si inserisce il tema demografico: il continente conta oggi circa 1,56 miliardi di abitanti (dati Worldmeter). Le proiezioni della United Nations Population Division indicano che la popolazione africana potrebbe superare 2,5 miliardi entro il 2050, rappresentando oltre un quarto della popolazione mondiale. La fascia della popolazione in età lavorativa (20-64 anni) è stimata aumentare da circa 883 milioni nel 2024 a 1,6 miliardi entro il 2050. Questo andamento demografico da un lato offre un potenziale “dividendo demografico”, ovvero una popolazione giovane che può favorire crescita, innovazione e mercato interno. Dall’altro pone sfide considerevoli: per tradurre questo potenziale in sviluppo servono grandi risorse in istruzione, formazione, salute, lavoro e infrastrutture.
E’ vero che, secondo l’African Development Bank, l’Africa resta una delle regioni a crescita più rapida: il Pil reale è stimato in aumento del 3,7% nel 2024 e del 4,3% nel 2025, con una performance media superiore a quella globale, ma si tratta di una crescita ancora insufficiente per assorbire una popolazione giovane in forte aumento e per ridurre povertà e disuguaglianze. La carenza di energia elettrica, per esempio, che nel 2019 appariva già come uno dei principali ostacoli allo sviluppo, resta ancora oggi un limite strutturale. Nel 2023 circa 666 milioni di persone nel mondo non avevano accesso all’elettricità: oltre l’85% di loro vive nell’Africa subsahariana, dove quasi la metà della popolazione resta al buio (fonte World Bank-giugno 2025).
La Banca Mondiale e la Banca Africana di Sviluppo, per colmare almeno in parte questo divario, hanno lanciato l’iniziativa “Mission 300” con l’obiettivo di portare l’elettricità a 300 milioni di africani entro il 2030, mobilitando fino a 90 miliardi di dollari. Senza un’accelerazione massiccia su infrastrutture elettriche, digitali ed energie rinnovabili, anche i benefici della digitalizzazione e del libero scambio resteranno limitati. Il rapporto “African Trade in a Digital World”del 2019 vedeva nella digitalizzazione un motore di trasformazione economica. Questo potenziale si è confermato, ma la diffusione delle tecnologie resta fortemente diseguale e comunque insufficiente. Nel 2024 solo il 38% degli africani risulta connesso a Internet, contro una media globale del 68%.
La penetrazione del mobile, invece, è molto più avanzata: a fine 2023 nell’Africa subsahariana oltre 520 milioni di persone erano abbonate a un servizio mobile, pari a circa il 44% della popolazione. Soprattutto, il continente resta l’epicentro globale del mobile money: nel 2024 l’Africa subsahariana conta più di un miliardo di conti registrati, oltre la metà del totale mondiale, e circa un quinto degli adulti usa un portafoglio mobile. Secondo stime GSMA, il mobile money ha contribuito per circa 190 miliardi di dollari al Pil della regione nel 2023, favorendo pagamenti, risparmio e credito per milioni di persone altrimenti escluse dal sistema bancario. Accanto a questo, si sono moltiplicate le piattaforme di e-commerce e i servizi digitali per agricoltura, salute, istruzione, trasporti, spesso sviluppati da start-up locali. Nel solo 2022 le start-up tech africane hanno raccolto oltre 3,3 miliardi di dollari, con più di 600 operazioni censite secondo il “The African Tech Startups Funding Report” (2022).
L’accesso al credito, però, per molti giovani imprenditori, rimane un ostacolo, soprattutto nelle fasi iniziali. Combinare mobile money, strumenti di microcredito e piattaforme fintech con politiche pubbliche che riducano il rischio percepito dalle banche è sicuramente un’altra priorità. Ma le priorità sono diverse e assai impegnative. Dagli investimenti in reti infrastrutturali (tlc, energia, acqua, eccetera) agli investimenti in energie rinnovabili, dall’investire in formazione (digitale e non) soprattutto per giovani e donne, agli investimenti nell’ agroalimentare e manifattura leggera. Tanto da fare e tanto di nuovo. Come ricordava Plinio il Vecchio ex Africa semper aliquid novi: la sfida dei prossimi anni è fare in modo che questo “nuovo” si traduca in benessere per una quota sempre più ampia della popolazione africana.
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