Roopkund è il lago degli scheletri, custode di un incredibile segreto

Lug 5, 2025 - 18:00
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Roopkund è il lago degli scheletri, custode di un incredibile segreto

Sospeso a oltre cinquemila metri d’altezza, incastonato tra le vette severe dell’Himalaya indiano, c’è un piccolo specchio d’acqua che custodisce un enigma senza tempo.

Si tratta del lago glaciale Roopkund, nella remota regione dell’Uttarakhand, un cimitero silenzioso, dove il ghiaccio ha conservato per secoli i resti di centinaia di persone. Ma chi erano? E cosa li ha condotti fin lassù, a morire nel cuore delle montagne?

La scoperta che sconvolse il mondo

Era il 1942 quando un ranger britannico, nel corso di una spedizione di routine, si imbatté in qualcosa di sconcertante.

Sulle rive ghiacciate del Roopkund, a 5.029 metri sul livello del mare, affioravano teschi, femori, costole: scheletri umani, tanti, troppi per essere il frutto di una semplice coincidenza. Il gelo aveva conservato persino brandelli di pelle e capelli. Quando il ranger tornò con una squadra di esploratori, il conteggio ufficiale arrivò a circa duecento individui.

Da quel momento, il lago ha attratto studiosi, ricercatori e appassionati di misteri. E mentre le leggende locali iniziavano a sovrapporsi con ipotesi sempre più affascinanti, la scienza ha cercato, con alterne fortune, di dare risposte concrete.

Le prime ipotesi: guerra, suicidio o malattia?

La prima teoria avanzata, in piena epoca coloniale, era figlia del contesto storico: i britannici pensarono subito a soldati giapponesi in fuga durante la Seconda Guerra Mondiale. Il timore di un’invasione fece scattare un’indagine ufficiale, ma bastò un’analisi preliminare per escludere che quei resti potessero essere così recenti.

In mancanza di strumenti di datazione avanzati, presero piede interpretazioni di ogni genere: da un’epidemia improvvisa a un suicidio rituale, fino a una frana o qualche evento naturale catastrofico.

Il mistero si infittiva, alimentato da un luogo che per undici mesi all’anno è completamente inaccessibile, coperto da neve e ghiaccio, come se volesse nascondere i suoi segreti.

La teoria della grandinata assassina e il colpo di scena

Il Lago Roopkund in una giornata invernale
iStock
Il lago degli scheletri

Solo nel 2004, una spedizione sponsorizzata dal National Geographic sembrò mettere un punto fermo sulla vicenda: gli scienziati, dopo aver effettuato la datazione al radiocarbonio, stabilirono che tutti i corpi risalivano a un unico periodo: circa l’anno 800 d.C. Le analisi genetiche rivelarono che i defunti appartenevano alla regione dell’Asia meridionale. Non si trattava di soldati, né di invasori, ma di pellegrini, uomini e donne, armati di bastoni, vestiti con sandali e tuniche leggere, forse accompagnati da guide locali lungo un sentiero sacro.

Ma il dettaglio più agghiacciante sono le ferite sui crani, spaccature tonde, profonde, ma prive dei tagli tipici da armi: come se quei crani fossero stati colpiti da qualcosa di tondo e pesante, caduto dall’alto. Gli impatti erano presenti anche sulle spalle e sulle scapole: forse una grandinata, una tempesta di ghiaccio con chicchi grandi come palle da baseball, capace di uccidere all’istante. Senza un riparo, a oltre cinquemila metri d’altezza, fu una condanna.

Questa teoria trovava un’eco inquietante nelle leggende locali: da secoli, le popolazioni della zona cantano una ballata che narra di una dea infuriata, Nanda Devi, che avrebbe scatenato “una pioggia dura come ferro” contro coloro che avevano profanato il suo santuario. La mitologia e la scienza, per una volta, sembravano andare a braccetto.

Tutto sembrava risolto, ma nel 2019 un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha rimesso in discussione quasi tutto: un team internazionale è tornato sul Roopkund con nuove tecnologie, analizzando 38 scheletri attraverso il DNA antico e i risultati sono stati sorprendenti. Non solo hanno rilevato tre gruppi genetici distinti, ma uno di questi non aveva nulla a che fare con l’Asia.

Alcuni individui, infatti, mostravano chiari tratti genetici del Mediterraneo orientale: Grecia, Creta, Iran. Un altro corpo aveva invece origini che rimandano all’Asia orientale. Ciò significa che il lago Roopkund non è stato teatro di un’unica tragedia e i decessi si sono verificati in momenti diversi, a distanza anche di mille anni l’uno dall’altro.

Il gruppo dell’Asia meridionale sarebbe morto per primo, tra il VII e il X secolo, forse proprio nella famosa grandinata. I resti “mediterranei” e asiatici orientali, invece, risalgono a un periodo molto più recente, tra il XVII e il XX secolo.

I nuovi enigmi: cosa ci facevano dei greci in Himalaya?

Che dei pellegrini sudasiatici raggiungessero il lago Roopkund lungo il sentiero sacro del Nanda Devi non è sorprendente. Ma cosa ci faceva un gruppo di uomini e donne originari del Mediterraneo tra quei ghiacci, a migliaia di chilometri da casa, e a un’altitudine estrema?

Le fonti storiche tacciono e le teorie abbondano: missionari, esploratori, mercanti o forse pellegrini stranieri attirati dal fascino spirituale dell’Himalaya? Nessuna risposta è definitiva.

Di certo, il fatto che vi siano tre gruppi genetici distinti e separati nel tempo rende impossibile l’idea di un unico evento mortale. Il lago Roopkund, dunque, non è il teatro di un massacro, ma piuttosto un “magnete mortale” che ha attirato per secoli gruppi di viaggiatori diversi, i cui destini si sono spezzati tra le sue nevi.

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Redazione Redazione Eventi e News