Timothée Chalamet prima e dopo: metamorfosi di stile

Dicembre 10, 2025 - 19:27
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Timothée Chalamet prima e dopo: metamorfosi di stile

Da quando è apparso sul grande schermo Timothée Chalamet è stato il volto internazionale di una nuova estetica maschile: fragile ma consapevole, androgina ma non artificiosa, capace di far convivere romanticismo e sex-appeal in un equilibrio che nessuno, prima di lui, aveva saputo rendere così naturale. Era il ragazzo con la schiena nuda alla Mostra del Cinema di Venezia, il protagonista dei film di Guadagnino, il simbolo di una nuova mascolinità. Poi qualcosa è cambiato.

Timothée Chalamet e Kylie Jenner coordinati in arancio Marty Supreme

Con l’arrivo del ruolo di Marty Supreme, il guardaroba di Chalamet si è ribaltato come un personaggio in piena riscrittura: dai completi di velluto si è passati ai coordinati fluo, dagli outfit poetici al monocromo arancione. Il “vecchio” Timothée al quale i fan erano abituati  non c’è più: al suo posta una versione più pop, y2k, a tratti camp.

Timothée Chalamet: gli ultimi, irriconoscibili look

Il punto di non ritorno è stato il total look arancione della première di Marty Supreme, indossato solo qualche giorno fa accanto a Kylie Jenner. Un monocromo saturo, tanto assurdo da far pensare ai fan di essere realizzato con l’intelligenza artificiale e firmato Chrome Hearts. Giacca, pantaloni, stivali, tutto nella stessa tonalità da “cono stradale” (come è stato scherzosamente soppranominato online) che ha riempito i feed social in pochi minuti. Un gesto stilistico che non ammicca più alla sensibilità estetica della Gen Z romantica, ma alla cultura pop dell’eccesso. La stessa che ha ispirato gli outfit degli screening del nuovo film, dove ha indossato tute, coordinati in pelle, felpe logate, completi oversize dai colori sgargianti e dalle vestibilità over. Un guardaroba volutamente più rumoroso, meno etereo, più vicino alle logiche delle celebrità di Los Angeles che alla poesia del menswear europeo.

Alla gara 6 delle Eastern Conference Finals NBA con Kylie Jenner.

A completare il quadro, la copertina di Vogue più criticata degli ultimi anni, accusata da alcuni di averlo trasformato in un personaggio da teen-magazine degli anni Duemila. Il contrasto con l’immaginario dei tempi di Call Me By Your Name, fatto di camicie morbide, ricami, silhouette fluide e romanticismo sospeso, non potrebbe essere più netto.

I momenti di stile che lo hanno reso un’icona

Prima della sua svolta virile, Chalamet è stato il ragazzo che cambiava le regole del red carpet senza nemmeno sforzarsi. Nel 2019 Lyst lo aveva eletto “uomo più influente nella moda”, e non per caso: ogni suo outfit generava ricerche, conversazioni, imitazioni. Tra i momenti indimenticabili c’è il completo Louis Vuitton con harness, la pettorina ricamata di Virgil Abloh che ha rivoluzionato l’idea di ornamento maschile. E c’è il completo nero con back cut-out della première di Bones and All (2022): un altro gesto di vulnerabilità sartoriale, non più sensualità elegante ma un taglio netto, quasi carnale, perfettamente in linea con il film di Guadagnino.

Timothée Chalamet

Venezia 2022. Alla Mostra del cinema in Laguna in Haider Ackermann.

Il picco assoluto resta Venezia 2022, quando con il top rosso a schiena nuda di Haider Ackermann ha firmato uno dei look più iconici del decennio: sensuale ma mai provocatorio, audace con grazia. Poi è arrivata la promozione di Dune, con completi in pelle, maglieria ricercata e silhouette scolpite che lo hanno avvicinato alla fantascienza più couture. I brand che lo hanno definito? Ackermann in testa, poi Prada, Bottega Veneta e Celine Homme: eleganza, sperimentazione e un tocco rock calibrato. Insieme, questi momenti hanno costruito l’immagine di un uomo fluido, raffinato, emotivo, lontano da qualsiasi stereotipo virile. Tutto il contrario di quello che è oggi.

Timothée Chalamet

Nel 2022 con giacca animalier e pantaloni in pelle, Celine.

Nuovo personaggio, nuovo look

Osservando la parabola del suo guardaroba appare chiaro. Timothée Chalamet non ha smarrito lo stile: ha smarrito la versione di sé che ci si era costruito addosso. Per anni è stato trattato come un principe dell’estetica fragile, salvo poi scoprire che era solo un capace trasformista. Ogni ruolo gli ha riscritto il guardaroba: l’acquerello di Guadagnino, la candy couture di Wonka, il grunge sporco di Bones and All, il folk poetico di Dylan, fino al pop vitaminico di Marty Rose. Non c’è incoerenza, c’è metodo. Anzi, method dressing. E se oggi appare più Y2K, più massimalista, più da “Los Angeles era”, forse è solo perché sta raccontando un personaggio nuovo, e per lui i vestiti sono sempre stati la prima battuta di copione.

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Redazione Redazione Eventi e News