Andrea Borello e il video su Mussolini: “Minacciato perché ho smontato i falsi miti, ora denuncio tutti”

In occasione dell’ultima Festa della Liberazione, il 25 aprile, Andrea Borello, 25 anni, segretario del Partito Democratico di Caselle e figura popolare sui social media con oltre 20 mila follower, ha deciso di pubblicare un video con l’intento di “smontare i falsi miti su Mussolini”. Un’iniziativa volta a contrastare le fake news che ancora circolano sul regime fascista e a promuovere una corretta informazione storica. Tuttavia, la reazione al suo video è stata tutt’altro che pacifica, trasformandosi rapidamente in una vera e propria tempesta mediatica.
“In pochissimo tempo sono stato sommerso da insulti: oltre 600 commenti carichi d’odio e nostalgia per il fascismo”, racconta Borello al Corriere.it, descrivendo la violenza verbale inaudita che lo ha colpito. Di fronte a questa ondata di diffamazione e apologia di fascismo, Borello ha maturato una decisione ferma: “Ora, però, passerò alle denunce. L’impunità sul web non è giusta”. Questa scelta lo ha portato a chiedere aiuto ai carabinieri, raccogliendo meticolosamente 13 pagine di nomi e profili degli utenti responsabili delle offese. Oggi, si presenterà in caserma per sporgere denuncia formale, determinato a far valere i principi di legalità anche nell’ambiente digitale.
Minacce, apologia e la dura lezione del web
La natura degli attacchi subiti da Andrea Borello non è stata solo generica, ma ha toccato corde molto personali e preoccupanti. “C’è chi mi ha minacciato o addirittura chi ha detto che dovevo ammazzarmi. C’è persino chi mi ha scritto in privato per insultarmi,” rivela Borello, evidenziando la gravità e la pervasività dell’odio. Oltre alle minacce dirette, una parte significativa dei commenti era caratterizzata da una chiara apologia di fascismo, con frasi come “W il duce” e “onore a Mussolini”.
Di fronte a questa escalation, la reazione di Borello è stata di profonda rabbia e determinazione. “Questa cosa mi ha fatto arrabbiare, sono abituato al fatto che quando ti esponi sui social qualche insulto può arrivare. Se a offenderti è una sola persona puoi anche passarci sopra; quando invece si muove un gruppo di cinquecento utenti che ti bersagliano senza sosta, la storia cambia. È un atteggiamento che deve essere segnalato alle autorità,” ha spiegato, sottolineando la differenza tra il singolo insulto e un’azione coordinata di “haters”. La violenza verbale non si è limitata a lui; ha colpito anche coloro che tentavano di difendere Borello o di esprimere un’opinione diversa. Nonostante la sua “pelle dura”, Borello ha riconosciuto il rischio per gli altri: “Personalmente non l’ho presa troppo male – racconta – ma tra quei post c’erano parole pesantissime rivolte anche ad altri iscritti. Mi sono detto che non tutti hanno la pelle dura come la mia: c’è chi una simile ondata di offese potrebbe non riuscire a reggerla.” Da qui la sua scelta di agire e di raccogliere meticolosamente le prove degli attacchi.
L’impunità online e la richiesta di giustizia
La battaglia di Andrea Borello si scontra con una realtà complessa del sistema giudiziario italiano per quanto riguarda i reati online: il rischio concreto di archiviazione. “Non è così semplice dimostrare che la tale persona ha scritto quel commento, anche quando si firma con nome e cognome. Questi casi spesso finiscono archiviati,” ammette Borello. Questa difficoltà contribuisce a creare un senso di impunità diffuso tra gli utenti del web, alimentando l’idea che sui social “si possa dire qualsiasi cosa senza conseguenze”.
Tuttavia, Borello è convinto che un cambiamento sia possibile e necessario. “Ma se qualcuno iniziasse davvero a pagare per quello che scrive, forse le cose comincerebbero a cambiare,” ha osservato, indicando come la mancanza di sanzioni concrete rafforzi comportamenti scorretti. Ha poi citato un caso di cronaca recente per sottolineare la disparità di trattamento: “Il professore che ha insultato la figlia di Giorgia Meloni ha sbagliato ed è giusto che paghi. Quando questo capita ad un povero cristo spesso non succede niente”.
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