Arrestato Mohammed Hannoun, il referente di Hamas in Italia

Dicembre 27, 2025 - 22:58
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Arrestato Mohammed Hannoun, il referente di Hamas in Italia

Per anni abbiamo raccontato in solitudine le vicende che riguardavano Mohammed Hannoun, i suoi rapporti con Hamas, le campagne di raccolta fondi che mettevano al centro la beneficenza ma che, in realtà, rappresentavano un sostegno continuativo all’organizzazione terroristica. Una solitudine e un silenzio, da parte dei più, che è stato il terreno migliore per permettere all’architetto milanese e alla sua organizzazione di raccogliere oltre sette milioni di euro.

Oggi quei nostri articoli trovano una conferma giudiziaria piena nell’inchiesta coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo e condotta dalla Digos e dalla Guardia di Finanza. Non si tratta di un’indagine episodica, ma di un lavoro investigativo lungo, stratificato, che ha seguito i flussi finanziari prima ancora dei nomi, restituendo la certezza di una rete stabile, organizzata, pienamente inserita nello spazio pubblico italiano ed europeo.

Mohammed Hannoun non era una figura laterale. Secondo gli atti giudiziari, svolgeva un ruolo di dirigente politico-organizzativo di Hamas in Europa, con funzioni di coordinamento della raccolta fondi e di collegamento con il comparto estero dell’organizzazione. Era lui il punto di snodo tra le strutture associative italiane e i vertici del movimento. Il fatto che fosse già stato sanzionato dagli Stati Uniti per il suo ruolo all’interno di Hamas non ne aveva interrotto l’attività pubblica in Italia, proseguita anche dopo fogli di via, atti di antisemitismo conclamati, querele temerarie a chi, come noi, ha osato raccontare i suoi traffici illeciti.

Attorno a Mohammed Hannoun si muoveva una rete con ruoli definiti. Ra’Ed Hussny Mousa Dawoud era il referente operativo della filiale milanese dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese, l’ABSPP, ed era incaricato della gestione locale delle iniziative e dei contatti. Riyad Abdelrahim Jaber Albustangi e Yaser Elasaly risultavano coinvolti nella promozione delle campagne di raccolta fondi e nell’organizzazione di eventi presentati come umanitari. Raed Al Salahhat, membro del comparto estero di Hamas e figura di vertice della European Palestinians Conference, rappresentava il collegamento diretto con la dimensione europea della rete. Osama Alisawi, ex ministro dei Trasporti del governo di fatto di Hamas a Gaza, veniva indicato dagli investigatori come uno dei destinatari finali delle somme raccolte in Italia.

Una struttura che pianificava, agiva e tesseva alleanze, poggiando su associazioni formalmente legittime, capaci di raccogliere fondi e di operare senza attirare attenzioni immediate. L’ABSPP era il perno principale, ma non l’unico. Accanto ad essa operavano anche La Cupola d’Oro e La Palma, realtà associative utilizzate come snodi di raccolta, comunicazione e trasferimento delle risorse. Tutte parlavano il linguaggio della solidarietà, tutte utilizzavano la causa palestinese come cornice, tutte beneficiavano della difficoltà di distinguere, sul piano pubblico, tra aiuto civile e sostegno politico.

Seguendo i conti correnti, le donazioni, i trasferimenti e le triangolazioni, l’inchiesta ha ricostruito una raccolta complessiva superiore a 7,2 milioni di euro, avviata nei primi anni Duemila e cresciuta nel tempo. Non un picco isolato, ma una continuità. Le somme venivano raccolte attraverso donazioni spesso di piccolo importo, eventi pubblici, campagne umanitarie. Una parte consistente di quel denaro non rimaneva in Italia. Secondo la magistratura, oltre il settanta per cento delle risorse confluiva, direttamente o indirettamente, nel circuito di Hamas.

Il dato centrale non è solo quantitativo, ma qualitativo. Le donazioni frammentate, l’uso di associazioni formalmente irreprensibili, i trasferimenti indiretti verso l’estero non erano anomalie, ma elementi strutturali di un sistema pensato per durare e per rendere complessa la tracciabilità complessiva. L’Italia non emerge come un terminale isolato, ma come uno dei nodi di una rete europea che coinvolgeva Germania, Francia, Belgio e Spagna, secondo un modello già emerso in altre indagini continentali.

Il lavoro della Digos e della Guardia di Finanza ha ricostruito questa filiazione senza forzature: non esiste, per Hamas, una separazione reale tra ala sociale, politica e militare. Il sostegno alle attività assistenziali è parte integrante del sistema di controllo, consenso e sopravvivenza dell’organizzazione. È su questa base che l’inchiesta inquadra le attività italiane come finanziamento strutturato, non come deviazione occasionale, che avrebbe consentito di incrementare l’apparato economico e militare di Hamas.

Oltre il dato investigativo – fondamentale – c’è anche un risvolto politico. Mohammed Hannoun e la sua galassia hanno ricevuto sostegno e supporto di esponenti del Partito Democratico (Laura Boldrini in primis), del Movimento Cinque Stelle come Stefania Ascari e Gaetano Pedullà, e di Alessandro Di Battista, oltre che di una valanga di personalità e associazioni che hanno sempre sostenuto le sue organizzazioni e creato campagne apposite di delegittimazione di chi, sia politicamente sia giornalisticamente, ha con rigore raccontato quanto emerso anche da questa inchiesta.

Questa inchiesta e questi arresti segnano la fine di una stagione di complicità e omissioni, storicamente inquadrata come «lodo Moro», che ha permesso, nel corso dei decenni, alle organizzazioni terroristiche pro-pal e di stampo islamista di transitare sul nostro territorio, di vivere di impunità e di zone grigie. Ne va dato atto, oltre che alla magistratura e alle forze dell’ordine, anche al Governo e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Bisognerà capire dove porterà questa nuova stagione.

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Redazione Redazione Eventi e News