Il mio pranzo di Natale a Rebibbia, con uno chef stellato

Dicembre 24, 2025 - 08:48
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Il mio pranzo di Natale a Rebibbia, con uno chef stellato

C’è Tony, un omone di un metro e novanta con tanti tatuaggi e pochi denti, che si scioglie in lacrime ascoltando una canzone di Lucio Dalla. Luciano fa finta di suonare la chitarra con le mani, mentre con gli occhi chiusi sorride, anche lui ha pochi denti e dice che gli manca molto poter suonare qui dentro. Karim non vede l’ora di riabbracciare i suoi figli, ha gli occhi lucidi mentre pensa a loro: dopo tanti anni, tra qualche mese potrà rivederli. Fausto mangia il pollo e dice che gli ricorda quando lo cucinava sua madre per Natale. Alfonso sparecchia e intanto chiede chi vuole il bis del dolce. Tonino ha tante rughe ma un’età indefinita, potrebbe avere 50 anni portati male come 65, barba e cappello di lana in testa, batte le mani felice come un bambino. Mauro è appena tornato dalla “pausa sigaretta”, lui lavora nella torrefazione del carcere e torna a preparare i caffè per gli ospiti.

È proprio nello spazio della torrefazione del Nuovo Complesso di Rebibbia, a Roma, che alcune decine di detenuti hanno partecipato al pranzo di Natale. Come ogni anno, prima delle festività natalizie, il progetto “L’altra cucina… per un pranzo d’amore” è entrato negli istituti penitenziari italiani. Sono state 56 in totale le carceri coinvolte nell’iniziativa, promossa dall’associazione Prison Fellowship Italia, che opera da anni all’interno degli istituti di pena, insieme al Rinnovamento nello Spirito SantoFondazione Alleanza del Rns, in collaborazione con il ministero della Giustizia e con il patrocinio del Coni – Comitato regionale Lazio.

Il caffè galeotto

Ivan, barba marrone e capelli radi, dice che, per poter svolgere questo pranzo, il giorno prima lui e i suoi colleghi hanno dovuto liberare lo spazio dai macchinari, ma che ne vale la pena per una giornata come questa. È dispiaciuto perché sono stati solo una cinquantina i detenuti a partecipare, ne erano previsti più del doppio e lui avrebbe voluto condividere con più persone questa giornata di festa: purtroppo, se gli ultimi giorni ci sono assenze per vari motivi, non si fa in tempo a rimpiazzare le defezioni con altri detenuti. Indossa la maglia verde con scritto Caffè Galeotto, è così che si chiama la torrefazione tra le mura della casa circondariale Rebibbia Nuovo Complesso.

Filippo La Mantia (foto di Paolo Zunino)

È contento di lavorare qui, insieme ad altri sette colleghi, preparano vari tipi di caffè. Ma gli ordini potrebbero essere di più, provengono soprattutto dai privati di zona. Ivan dice che c’è stato un picco quando il programma Propaganda Live de La7 ha trasmesso un servizio in tv e hanno lavorato 20 giorni a ritmi molto serrati per poter rispettare tutte le consegne. Dice che poca gente ancora conosce quest’attività. Come tutti gli ospiti bevo il loro caffè, veramente buono.

Chef stellati dietro ai fornelli

A preparare il pranzo con le loro brigate sono stati, come ogni anno, chef stellati e cuochi dell’alta cucina provenienti da tutta Italia. A servire a tavola, volti noti del mondo dello spettacolo, della cultura, del giornalismo e dello sport. A Rebibbia maschile hanno preparato il pranzo Massimiliano Ossini e Filippo La Mantia. Entrambi hanno conosciuto la detenzione (La Mantia è stato poi dichiarato non colpevole) ed entrambi hanno trasformato questa esperienza negativa in un futuro nuovo, seguendo la passione per la cucina, nata dietro le sbarre, e diventando stimatissimi cuochi dell’alta cucina italiana.


Il pranzo che fa sentire a casa

Filippo La Mantia ha preparato «il pranzo che fa sentire a casa. Il cibo è famiglia, unione. A prescindere dalla pena che devono scontare queste persone, dobbiamo essere loro vicino. Tutti noi dovremmo essere accanto a chiunque», dice lo chef palermitano. Il menu preparato: anelletti con ragù e pollo con patate. «Io vivo questa situazione come se fossi a casa. Ho avuto per sbaglio un’esperienza di carcere. Da 22 anni cerco di portare negli istituti di pena una tavola imbandita, la tradizione, l’amore, da 12 anni con “L’Altra cucina… per un pranzo d’amore” insieme a Prison Fellowship Italia ho portato i miei piatti a Regina Coeli, Perugia, Volterra, Bologna. Questo progetto è come la fiaccola olimpica, tante persone sono unite da Nord a Sud, coinvolgo amici di tutta Italia». Poi mi saluta e va a suonare l’armonica.

Benedetta Rinaldi, in piedi, e Nunzia De Girolamo, seduta (foto di Paolo Zunino)

«Da tre-quattro anni partecipo a quest’iniziativa, servo i patti a tavola, scambio due parole. Chi è qui ha scelto la strada dell’illegalità, noi dobbiamo cercare di lasciare a queste persone almeno un sorriso», dice Nunzia De Girolamo, conduttrice televisiva ed ex ministra. «Ho salutato un detenuto che sta dentro da 40 anni, si è messo a piangere, ha tirato fuori l’umanità che c’è in ognuno di noi. Venendo qui il vero atto di generosità è verso noi stessi». «Per me è la prima volta in un carcere, fa un po’ impressione entrare in un mondo che non si conosce. Quando tocchi con mano certi posti e vivi certe situazioni, ne parli poi in una maniera che si spoglia dei pregiudizi», dice Benedetta Rinaldi, giornalista e conduttrice televisiva.

Giuseppe Contaldo, presidente nazionale Rinnovamento nello Spirito Santo (foto di Lara Piccinini)


Una speranza testimoniata

«Noi oggi portiamo la “casa” dentro il carcere, andiamo noi a trovarli in modo che sia Natale per tutti e nessuno rimanga escluso», dice Marcella Reni, presidente di Prison Fellowship Italia. «Soprattutto perché in questo Giubileo che sta per finire abbiamo invocato per un anno intero la speranza: ma la speranza deve essere non solo invocata, ma anche testimoniata». «Questo è il dodicesimo anno che organizziamo quest’iniziativa. Attraverso questo pranzo trova significato la parola amore. Nelle varie carceri italiane, sono oltre 1.500 i volontari del Rinnovamento dello Spirito Santo che portano oggi il loro sostegno», dice Giuseppe Contaldo, presidente nazionale Rinnovamento nello Spirito Santo. Una testimonianza concreta di speranza.

Tutti i nomi delle persone detenute utilizzati nell’articolo sono di fantasia.
Le foto sono dell’ufficio stampa Rinnovamento nello Spirito Santo (in apertura foto di Lara Piccinini, per le altre credits nelle didascalie)

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