Europa 2027: Meloni, Le Pen e gli altri: il possibile assalto della destra a Bruxelles
Bruxelles – Nel calendario sempre eterno delle elezioni politiche europee, l’anno che verrà potrebbe essere un anno di transizione, ma non è certo, perché uno stato non grande, non influente ma spesso fastidioso, andrà ad un voto che potrebbe non essere scontato. I principali Stati europei, a meno di clamorosi colpi di scena, non saranno invece chiamati alle urne. Ad esaltare l’animo dei cronisti europei è però il 2027, lontanissimo nel tempo ma già portatore di importanti elezioni nel continente. In quei 365 giorni, i cinque principali Stati europei dovranno affrontare rilevanti elezioni, che potrebbero dare un volto nuovo all’Unione Europea.
Quello che verrà
In Italia scadrà il mandato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni; in Francia, il presidente Emmanuel Macron dovrà abbandonare l’Eliseo dopo due mandati, mentre in Spagna finirà la seconda legislatura del primo ministro Pedro Sánchez. In Germania poi, Friedrich Merz si è appena messo nei panni del cancelliere, ma nel 2027 dovrà far eleggere un nuovo Bundespräsident (presidente della Repubblica federale). Anche i polacchi andranno alle urne per mettere in discussione le loro due camere (Sejm e Senato), ad oggi la maggioranza la detiene l’europeista Donald Tusk.
Elezioni che potrebbero e novità in sede di Consiglio Europeo. A fare gli onori di casa sarà ancora, la coppia von der Leyen-Costa, anche se per il presidente del Consiglio europeo, che dovrà vedersela con una rielezione dopo la sua naturale scadenza dopo due anni e mezzo, qualcuno non metterebbe la mano sul fuoco oggi. Al tavolo dei 27 poi sarà prossima la presenza, per chi la vede con ottimismo, di Albania e Montenegro, che dal 2028 potrebbero sedersi come membri dell’Unione, anche se provvisoriamente senza diritti di voto, in attesa delle ratifiche nazionali.
Facendo un passo indietro all’anno che verrà, il cerchio rosso è segnato per aprile, quando sono certe le elezioni ungheresi. Dopo quindici anni di governo, Viktor Orbán rischia per la prima volta di perdere il potere. A sfidarlo l’ex adepto Péter Magyar, più europeista e meno amante delle avance di Mosca. Magyar non solo dovrà convincere gli elettori di essere pronto a governare, ma lo scontro più importante sarà contro un establishment filo-Orban al potere da 15 anni.

Adieu Macron
La sfida più rilevante datata 2027 è quella per l’Eliseo. Ad oggi Emmanuel Macron è uno dei presidenti meno amati dal suo popolo. Secondo Gallup, monsieur le Président ha un tasso di approvazione del 28 per cento, il più basso da quando è in carica. A suonare la riscossa è invece il partito fin qui sempre sconfitto di Marine Le Pen, il Rassemblement National (RN), al 33 per cento nei sondaggi. Rassemblement National è sempre stata una formazione conservatrice ed euroscettica, anche se, come spesso accade quando ci si avvicina al potere, le posizioni più estreme si ammorbidiscono un po’.
La grande incognita è però chi saranno i candidati. Le Pen è, al momento, ineleggibile, visto che è stata condannata in primo grado per l’uso improprio di fondi del Parlamento europeo a beneficio del partito nazionale. A guardare con attenzione la sentenza di appello del 2026 è il discepolo Jordan Bardella, capogruppo dei Patrioti europei e possibile candidato presidente. A sfidare la destra, forse il populista di sinistra Jean-Luc Mélenchon, forse l’ex primo ministro centrista Édouard Philippe.
Con ogni probabilità, i francesi nel 2027 cambieranno anche l’Assemblea Nazionale: se non la scioglierà Macron prima delle elezioni, lo potrebbe fare il nuovo presidente eletto. L’attuale composizione non garantisce stabilità visto che in tre anni si sono avvicendati cinque primi ministri. Le Pen come presidente potrebbe rimpolpare il gruppo dei Patrioti in Europa, capace di creare un fronte solido contro una maggiore integrazione europea.

Meloni rimane?
In Italia, la permanenza al governo della destra fino al 2027 sembra solida. Qualche scossone tra i quattro partiti di maggioranza è poca cosa per far cadere Giorgia Meloni, che nel viaggio fino a fine mandato deve superare la prova finale del referendum sulla giustizia, previsto per l’anno prossimo. Se dovesse riuscirci, il governo di Fratelli d’Italia sarebbe un cigno nero nell’instabile storia italiana recente: solo il Berlusconi II (2001-2006) è riuscito a rimanere unito fino a fine legislatura.
A contrastare lo strapotere della presidente del Consiglio potrebbe esserci il “Campo largo”, che dal centro all’estrema sinistra conta quattro o cinque partiti a seconda delle configurazioni. I numeri per battere Meloni l’opposizione li avrebbe, ma dovrebbe rimanere “testardamente unitaria”, per usare un aforisma della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. Dalle parti dell’opposizione, però, rimangono dubbi su leadership e agenda di governo; senza contare che alle urne si potrebbero rafforzare la destra, sia di centro (Forza Italia) sia più estremista (Lega).
Meloni in questi tre anni ha dato prova di non essere una mina vagante nell’Unione, ma è certo che una sua eventuale nuova presidenza potrebbe dare maggior forza a tutti gli altri partiti conservatori. L’Europa con lei nelle stanze che contano sarebbe sempre meno federale, sempre più confederata.

Hasta luego Sánchez
Nella penisola iberica la situazione è più congeniale alla sinistra. In Spagna il primo ministro Pedro Sánchez è in carica dal 2018. Formalmente potrebbe ricandidarsi per le elezioni del 2027 e in teoria lo farà. Anche se gli scandali di corruzione nel suo partito, il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo), stanno intaccando la fiducia degli elettori, i risultati economici molto positivi fanno però ben sperare i socialisti.
Il problema del premier è quello di non riuscire a trovare alleati abbastanza forti per garantirsi continuità in Parlamento. Ad oggi, il PSOE governa grazie all’appoggio della coalizione progressista Sumar e al sostegno esterno di piccoli partiti regionali. Secondo i sondaggi, se dovesse affrontare elezioni anticipate perderebbe: l’estrema destra di Vox è ai massimi storici (17 per cento) e il Partido Popular (PP, PPE) rimane stabilmente il primo partito, intorno al 30 per cento delle preferenze.
Difficile capire cosa succederà nei prossimi mesi, figuriamoci nel 2027. Quello che è certo è che i socialisti di tutta Europa non vorrebbero vedere cadere Pedro Sánchez: uno degli ultimi baluardi della sinistra socialista nell’Unione. Nel caso dovesse cadere prima del previsto i socialisti potrebbero scaricare i popolari all’interno del Parlamento e stabilirsi una volta per tutte all’opposizione.

Germania in attesa della crisi
A Berlino lo sussurrano e basta, ma l’AfD, il partito più a destra dello scacchiere politico, è il più gradito dai tedeschi. Secondo i sondaggi di Politico, la forza nazionalista è al 26 per cento, un punto sopra la CDU del cancelliere Friedrich Merz. Tra i seggi del Bundestag, gli estremisti sono però fuori dalle decisioni che contano, relegati all’opposizione dato che a governare sono CDU e SPD. Il mandato di Merz durerà fino al 2029, ma se economia e proiezioni elettorali continueranno ad andare male sarà difficile rimanere in sella fino alla fine.
Nel 2027, poi, il cancelliere dovrà trovare un’intesa per eleggere il presidente della Repubblica: dalle parti di Berlino il meccanismo è simile a quello italiano, con i parlamentari che votano a camere unite. In caso di clamorosi litigi tra socialisti e cattolici in poche ore potrebbe scoppiare una crisi dagli esiti molto incerti.

Tusk sommerso dai veti
A fianco alla Germania potrebbe tornare euroscettica anche la Polonia. A Varsavia, fino a fine mandato nel 2027, sarà in carica il centrista Donald Tusk. Nel 2023 Tusk era riuscito nell’impresa di creare una coalizione capace di battere il partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS). L’anno scorso però il suo mandato è diventato “zoppo”, vista la vittoria elettorale dello storico ed ex pugile Karol Nawrocki (PiS) come presidente della Repubblica. In Polonia il presidente ha rilevanti poteri come la possibilità di mettere il veto su leggi, nomine e trattati internazionali. Nawrocki sta utilizzando questo meccanismo per bloccare l’agenda riformista di Tusk, mettendo in difficoltà l’esecutivo. In ogni caso, la strategia può funzionare nelle stanze del potere ma non convince la popolazione: da quando è stato eletto Nawrocki i sondaggi vedono in decrescita il PiS.
Ad oggi infatti la Coalizione Civica (KO) di Tusk sembra stabile con un sostegno del 34 per cento dei polacchi, grazie a una crescita economica solida al 3 per cento annuo circa. In ogni caso nel 2027 comunque si rimetterà tutto in gioco e non si può oggi escludere anche una nuova vittoria elettorale del PiS. Dalle parti di Bruxelles sanno già cosa vuol dire, l’ultimo premier conservatore è stato Mateusz Morawiecki, in carica dal 2017 al 2023. In quel periodo la Polonia ha consolidato il sodalizio a quattro con Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, detto Visegrád (V4). In diverse occasioni i quattro leader hanno messo i bastoni tra le ruote ai leader europei, soprattutto quando si è parlato di immigrazione. Il rischio è poi quello che nel 2027 il V4 dell’Europa centrale possa avere alleati più forti. Questa volta capaci non più solo di opporsi alle riforme proposte ma di dettare la linea imponendo un’agenda sovranista.
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