Ci innamoreremo mai del beauty sostenibile?

Il concetto di sostenibilità, oggi, non è più solo un semplice argomento di conversazione: è diventato un tema importante e di assoluta priorità, anche nel mondo beauty. Un imperativo che non si esaurisce con un packaging in plastica riciclata o una promessa di compensazione delle emissioni, ma che coinvolge ogni aspetto della filiera, dalla produzione all’uso quotidiano dei prodotti.

E, se da un lato è vero che il settore della bellezza abbia ancora tanta strada davanti, dall’altro è anche uno dei territori più fertili per sperimentare, innovare e provare a cambiare davvero le cose.
In questo momento così complesso, bisognerebbe comunque pensare a un sistema che sia più giusto, consapevole e rispettoso.
Sostenibilità: cosa sta succedendo nel beauty?
Negli ultimi anni, la sostenibilità nel beauty ha cominciato a prendere una direzione più concreta. Non più solo dichiarazioni d’intenti, ma investimenti veri in ricerca, packaging innovativi e tracciabilità delle materie prime. Alcuni brand stanno puntando su formule waterless per ridurre l’impatto idrico, altri su refill system pensati per ridurre al minimo gli sprechi.

Foto Getty Images
C’è chi lavora con coltivazioni rigenerative e chi punta sulla biodegradabilità delle texture. Il cambiamento c’è, si vede, e in certi casi si tocca con mano. Le certificazioni si moltiplicano, ma al tempo stesso cresce l’interesse verso una trasparenza reale, fatta di numeri, report e dati accessibili. Una sostenibilità che prova a diventare misurabile, per essere davvero credibile.
Ma soprattutto, in un mondo come il settore della bellezza di oggi, è importante saper comunicare in modo deciso ed essere sempre trasparenti. «Troppe volte i brand comunicano messaggi fuorvianti: basti pensare al concetto di clean skincare, che per anni è stato usato senza alcun fondamento normativo», racconta Niki Shilling, Direttore Innovazione & Sostenibilità di Rituals, ad Amica.it. «Dovremmo tutti impegnarci a comunicare ciò che fa davvero la differenza, come l’uso di packaging ricaricabili o la riduzione dell’impatto carbonico. Se tutti adottassimo la stessa chiarezza, anche la percezione dei consumatori cambierebbe».
Sì, possiamo innamorarci anche della sostenibilità
C’è un altro aspetto, forse meno raccontato, che merita spazio in questa riflessione: la sostenibilità può essere anche bella. Non è solo una responsabilità, ma un valore estetico, creativo, culturale. Il design dei prodotti sostenibili ha fatto un salto in avanti enorme, spingendo molti brand a ripensare tutto: dalle forme agli accessori, dai materiali alle texture.
Una formula solida non è solo più pratica e sostenibile, ma può diventare un oggetto del desiderio. E questo è un passo fondamentale: rendere la sostenibilità un valore aspirazionale, non un sacrificio. Se la bellezza vuole davvero contribuire a un cambiamento, deve farlo anche attraverso il desiderio.
Quali sono i limiti da superare?
Eppure, nonostante gli sforzi, ci sono ancora molte aree grigie. «Stiamo sottovalutando innanzitutto la potenza del lavorare insieme. Cambiare la percezione dei consumatori richiede uno sforzo collettivo. Prendiamo ad esempio i refill per il sapone per le mani: noi li abbiamo introdotti, ma se lo facessero tutti diventerebbero la normalità. Solo così potremo innescare un cambiamento vero», ci racconta Niki Shilling.
Un altro esempio? Le microplastiche. Sono ancora presenti in più prodotti di quanto si immagini. Il greenwashing è sempre in agguato e spesso è difficile per i consumatori orientarsi tra promesse e realtà. Inoltre, il tema del fine vita del prodotto è ancora troppo trascurato: cosa succede al pack una volta finito? E i sistemi di raccolta e riciclo sono davvero accessibili a tutti? In molti casi manca ancora una visione sistemica, capace di andare oltre l’azione singola e affrontare l’intero ciclo di vita del prodotto.
Ma per cambiare davvero, bisogna accettare questo: la sostenibilità non è (più) un’azione isolata, è una responsabilità collettiva.
Parola alla Generazione Z
Per la Gen Z, il tema non è più negoziabile. Chi ha tra i venti e i trent’anni oggi cerca brand trasparenti, coerenti e davvero impegnati. «La Generazione Z apprezza le aziende che uniscono creatività, innovazione e impatto. Per loro, oggi, il profitto ha senso solo se è legato a uno scopo». La sostenibilità non è solo una questione etica, ma anche identitaria. I consumatori più giovani non si accontentano di un’etichetta green, vogliono sapere tutto: da dove arriva un ingrediente, quanto consuma un pack, chi lo ha prodotto.
Ma attenzione: non si tratta solo di rigore. La Generazione Z ama sperimentare, giocare con nuovi formati e concept. Ed è qui che il beauty può (e deve) innovare, con formule che sappiano essere sostenibili ma anche stimolanti, inclusive ed emozionali.
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