Così Putin giustifica l’imperialismo russo in diretta tv

Steven Barnett Rosenberg, per gli amici Steve, è il caporedattore per la Russia della Bbc. Da ventidue anni, tranne una parentesi di quattro in Germania, invia i suoi resoconti da Mosca: insomma, Vladimir Putin lui lo conosce bene. Venerdì scorso durante l’annuale, straripante, linea diretta gli ha chiesto senza un briciolo di riverenza: «Che tipo di futuro state progettando per il vostro Paese e per il vostro popolo? La caccia ai nemici in patria e all’estero sarà accelerata? Ci saranno nuove operazioni speciali?». E qui, in verità, sarebbero da aggiungere delle virgolette a “operazioni speciali”.
Lo Zar Vlad senza scomporsi ha risposto al giornalista britannico: «Non ci saranno operazioni se tratterete noi con rispetto, se rispetterete i nostri interessi, proprio come noi abbiamo cercato di rispettare i vostri. Se non ci ingannerete come ci avete ingannato con l’espansione della Nato verso est». Una risposta che varrà la pena di leggere e rileggere: tanto apparentemente affettata, quanto nel concreto minacciosa.
Qualcun altro che lo conosce bene, come i volontari della Ong ucraina Euromaidan Press, ha subito intravisto non solo in quella risposta, ma nell’intero intervento di Putin, uno schema logico identico a quello del discorso pronunciato il 16 marzo del 2015 nell’anniversario dell’annessione della Crimea. Solo che quel discorso di dieci anni fa, a sua volta, aveva mostrato incredibili coincidenze con le parole usate da Adolf Hitler il 1° settembre 1939, pochi giorni prima dell’invasione tedesca della Polonia. La cosa scatenò polemiche nella stessa Russia da parte degli oppositori di Putin. Poi sappiamo com’è andata a finire, uno dopo l’altro sono stati messi a tacere come “agenti stranieri”, incarcerati o costretti alla fuga all’estero.
Anche stavolta sarebbero riscontrabili assonanze con quel famoso e rovinoso discorso davanti al Reichstag che aprì la strada alla Seconda guerra mondiale. Euromaidan Press ha individuato sette punti cruciali che permettono di documentare una sorta di sequenza. Mostrare intenzioni pacifiche, accusare la controparte di aver respinto ogni accordo ragionevole, giustificare l’intervento con la necessità di difendere il proprio popolo dalle persecuzioni, infine la frase chiave con cui attribuire l’invasione all’aggredito.
«La Polonia ha rifiutato la pacifica risoluzione delle relazioni che desideravo e ha fatto appello alle armi (…) Per porre fine a questa follia, non ho altra scelta che rispondere alla forza con la forza» disse Hitler ottantasei anni fa e qualcosa di simile ha sostenuto Putin in diretta tv: «Dopo essere stati ingannati e non aver rispettato gli accordi di Minsk, siamo stati costretti a usare le nostre forze armate per porre fine alla guerra iniziata dal regime di Kyjiv».
Psicologi e criminologi la chiamano teoria della neutralizzazione. Uno schema comportamentale teorizzato già nel 1957 da David Matza e Gresham Sykes nel saggio “A Theory of delinquency”. I due sociologi americani osservando la devianza giovanile – e sappiamo quanto fu complicata l’infanzia del piccolo Vladimir – conclusero che i criminali non rifiutano le regole morali ma le aggirano con espedienti retorici. Le neutralizzano, appunto, per convincere se stessi e gli altri che la violazione che hanno compiuto era giustificata, se non necessaria.
Utile riassumere: negazione della responsabilità, poi del danno compiuto, ribaltamento dei ruoli aggressore-aggredito. Infine il riferimento a un’entità superiore e assolutoria. Hitler chiamò in causa la Provvidenza e la necessità di difendere la Germania cristiana da ebrei e bolscevichi, Putin indica l’Katéchon caro alla teologia ortodossa, l’entità che impedisce l’avvento dell’Anticristo e che in mano alla macchina della propaganda è diventato un tutt’uno con l’Occidente satanista.
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