Amedeo Iasci e la sfida di rendere gli italiani investitori

Dicembre 28, 2025 - 17:30
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Amedeo Iasci e la sfida di rendere gli italiani investitori

Nato a Pavia e cresciuto nel mondo, Amedeo Iasci, che appartiene “a ovunque e a nessuna parte”, incarna una generazione senza confini. La sua carriera è cominciata nell’automotive, ma ha poi preso la strada dell’imprenditoria, l’immobiliare e la divulgazione finanziaria come strumenti di emancipazione personale e collettiva. Oggi vive tra Italia e USA e con The JASHI Project lavora per creare un ponte culturale ed economico tra i due Paesi: da una parte, aiutare gli italiani a investire, emigrare e pensarsi in grande, dall’altra rendere l’America più accessibile e comprensibile. Un’intervista sul Sogno Americano, sulla finanza come atto culturale e sul valore – spesso sottovalutato – dell’essere italiani nel mondo.

Raccontami le tue origini: dove sei nato, dove sei cresciuto, e com’è evoluta la tua carriera.

Appartengo a ovunque e a nessuna parte. Sono nato a Pavia. Da lì la mia famiglia si è spostata ad Amburgo, poi a Milano, poi ad Hong Kong e in Australia e infine di nuovo in Italia… fino a quando siamo approdati negli Stati Uniti. Ho studiato in Italia e poi in Virginia. In America volevo restare poco, ma poi ci sono rimasto otto anni: me ne sono innamorato.

La mia passione erano le auto e la mia carriera, infatti è partita da lì, dall’automotive. Il mio sogno era lavorare in Volkswagen: ho iniziato nelle vendite e nel marketing, passando da Fiat a Bugatti, per finire poi, grazie alla forza del network, in Lamborghini. Parallelamente, poiché ho un mentor della finanza da quando ho 8 anni, investivo nell’immobiliare,  e a un certo punto, andando sempre meglio anche grazie al boom dell’immobiliare durante gli anni del Covid, ci sono entrato al 100%. Poi su consiglio del mio fratellino ho cominciato a postare sui social, prima in inglese, e poi diventato quasi una piccola istituzione in America, ho cominciato anche in Italia con contenuti sulla finanza personale. In Italia, su questo, siamo molto indietro, siamo rimasti ai soldi sotto il materasso. Sul profilo americano insegno la cultura italiana, come questa mi ha aiutato ad avere successo, mentre su quello italiano insegno i concetti americani tra finanza e geopolitica.

Cosa ti ha insegnato il settore automotive?

Mi ha insegnato l’importanza del team e di delegare. Sono lezioni che poi ho portato ovunque, in tutti i settori di cui mi occupo: dalla finanza, all’immigrazione, passando per la ristorazione e il lavoro con le aziende italiane che vogliono entrare nel mercato americano.

Quando hai capito che volevi fare qualcosa di più grande – non solo un lavoro, ma che volevi costruire un percorso tuo? C’è stato uno scatto”?

Sì: quando ho comprato la mia prima casa, a 24 anni, in Virginia. Era una catapecchia, ma con due mesi di lavoro – ho fatto tutto da solo – l’ho completamente rivalutata. È lì che ho capito che qualcosa poteva cambiare. Poi, durante il Covid, ho deciso di fare il salto definitivo: avevo messo da parte un anno e mezzo di risparmi come backup e mi sono lanciato. Ho capito che le auto dovevano rimanere una passione per me, il lavoro era altro.

Gli Stati Uniti dovevano essere di passaggio, quando e perché hai deciso di restare, di cosa ti sei innamorato?

Quando ho scoperto di avere una possibilità concreta lato imprenditoria, che ero bravo e potevo farcela. Qui è molto più semplice: le persone ti aiutano, lo Stato non ti ostacola e le opportunità arrivano. In Italia non è così, poi ci sono affezionato e ci torno spesso: mi ricorda che sono umano e radicato. Ma se vuoi metterti in proprio, gli USA sono il luogo perfetto, soprattutto per chi ha voglia, energia e ambizione.

Com’è stato adattarsi – da italiano – alla realtà americana?

Sono stato avvantaggiato perché la mia famiglia era già qui. La difficoltà più grande è stata il mondo del lavoro: totalizzante. Diventi una macchina. A un certo punto ho lasciato il lavoro che stavo facendo, senza un piano B, e mi sono ripreso la vita. Mi ha salvato mio cugino, che dopo essersi trasferito anche lui in Virginia, mi ha fatto conoscere una comunità di artisti, DJ, musicisti ed è lì che ho ritrovato un equilibrio. La cosa più difficile è costruirti una nuova comunità ma una volta che ci riesci, la vita va bene. Ora vivo tra Italia e America e prendo il meglio da entrambi.

C’è stato un momento preciso in cui hai deciso di condividere il tuo percorso sui social?

Già postavo a 16 anni, su YouTube, per un progetto scolastico. Questi video, in inglese, facevano centinaia di migliaia di visualizzazioni e monetizzavano, poco però questa cosa mi divertiva. Poi con il tempo ho abbandonato questa cosa perché non riuscivo a essere costante finché nel 2020 mio fratello piccolo mi mostra TikTok. Tante visualizzazioni, contenuti ghiotti ma ero diffidente. Quando ho lasciato Lamborghini per l’immobiliare ho iniziato a postare, proprio da TikTok e in tre mesi ho fatto 100 mila follower. Da lì l’ho presa sul serio: in inglese monetizzavo a tal punto da comprare case. Poi, per questioni di algoritmo, mi hanno tolto la monetizzazione americana, quindi ho separato i canali, uno solo in italiano e uno solo in inglese iniziato anche in italiano e così nel 2024 nasce “The JASHI Project”.

Cos’è oggi The JASHI Project” e cosa vuoi trasmettere?

Era nato come azienda di abbigliamento, ed è stato un fallimento totale. L’idea era bella: usare il 90% dei profitti per reinvestire in case popolari americane. Oggi JASHI ha un’altra missione. Sono convinto che gli italiani potrebbero essere il popolo più ricco del mondo, ma non investono, tengono i soldi sotto al materasso quindi l’obiettivo è mettere la finanza alla portata degli italiani. Voglio creare un popolo di investitori, un popolo internazionale. Io nella mia carriera ho avuto successo grazie all’essere italiano. La nostra formazione, educazione ci porta a distruggere la competizione, ci allena “al peggio” ma gli italiani, specialmente quelli che entrano nel mondo del lavoro italiano, non si rendono conto di questo potenziale. Vorrei che gli italiani tornassero a esportare il nostro valore nel mondo e a riportare poi il know-how in Italia. Voglio creare un ponte Italia-America, due Paesi che, ognuno in un modo, mi ha dato tantissimo. Voglio aiutare gli italiani ad avere benessere finanziario e una mentalità più cosmopolita e gli americani per accedere in maniera meno esosa all’assicurazione sanitaria. JASHI è più cose, ha a che fare con il benessere finanziario delle persone e creare un circolo virtuoso in cui gli italiani tornano a essere protagonisti cosmopoliti.

Se potessi dare un consiglio a un giovane italiano che sogna gli USA, cosa diresti?

L’America costa tanto all’inizio ma poi diventa sostenibile: serve un gruzzoletto all’inizio. Negoziare sempre. Fare subito credit score e usare la carta di credito per costruirlo, perché serve per tutto: auto, mutuo, affitto. Rimanere sempre attivi nel mercato del lavoro per dimostrare il proprio valore: oggi negli USA la loyalty conta meno. Studiare e investire: il solo lavoro non basta. E crearsi subito una comunità.

Quali sono gli errori finanziari più comuni degli italiani negli USA?

Non farsi la carta di credito. In Italia non siamo abituati, non ci piace ma qui il credito è tutto, serve anche a dimostrare che sei un cittadino responsabile. Poi l’auto: costa poco comprarla, ma la manutenzione ti uccide, soprattutto sull’usato. E infine lo stile di vita: se ti adegui a quello americano – mangiare sempre fuori, prendere l’auto a noleggio, consumare in continuo — ti indebolisci finanziariamente. L’America se vivi “all’italiana”, costa poco e può dare soddisfazioni importanti.

Gli italiani negli USA hanno una cultura finanziaria più alta rispetto all’Italia?

Sì. Qui parlare di soldi è normale. Gli strumenti per investire sono facili, accessibili, intuitivi. App, piattaforme, pubblicità: sei molto più esposto e stimolato a investire.

Guardando indietro: cosa rifaresti e cosa eviteresti?

Rifarei tutto, non ho rimorsi.

E guardando al futuro: quali progetti hai in vista per il 2026?

Tantissimi. Il primo è FinanzAmille: un sito che ho aperto sei mesi fa dove ripropongo informazioni finanziarie — che io pago migliaia di dollari al mese — e li ripropongo a 10 euro al mese. L’obiettivo è far prendere confidenza agli italiani con la finanza. Poi sto lavorando su assicurazioni sanitarie pensate per italiani negli USA, che costano mediamente il 30-50% in meno di una copertura normale. Poi, voglio espandere il business dei piazzamenti di italiani all’estero, il mio obiettivo è far girare dai 1000 ai 5000 italiani all’anno. Infine ci sono i corsi di finanza, low cost e gratuiti: voglio passare da 4 mila a 10 mila iscritti l’anno.

Le procedure di immigrazione USA sono complesse, come supporti i clienti?

Ho creato un prodotto che si chiama “Sogno Americano”: ti mostra tutti i visti disponibili. Molti scoprono di avere più opzioni di quelle che pensano. Io ti do una base solida: poi, se serve, ti mando dall’avvocato – che costa molto – ma già sapendo cosa chiedere. Inoltre metto in contatto con aziende che sponsorizzano.

Come aiuti chi vuole lavorare negli USA a prepararsi per il mercato locale?
Nella ristorazione affianco direttamente. Per gli altri settori, aiuto a costruire un CV adatto agli ATS – i software che filtrano le candidature. Ci sono siti che aiutano a impostarlo in modo corretto. La verità è che i contatti valgono più di tutto: presentarsi di persona fa la differenza.

Quali settori o strumenti finanziari offrono le migliori opportunità per un italiano che vuole investire negli USA?

Con azioni ETF si può investire dall’Italia, oppure tramite gruppi privati e poi startup. Ci sono delle aziende italiane che permettono di investire negli USA tramite gruppi d’acquisto: accessibili anche dall’Italia.

Quali aspetti della vita americana vengono più sottovalutati dagli italiani quando scelgono di trasferirsi?

La parte sociale che è fondamentale. A livello di burocrazia ci adattiamo perché in Italia, da questo punto di vista è più difficile, in America invece, tutto è molto più logico e veloce. L’italiano vive in Italia in modalità difficile, poi arriva in America dove c’è un sistema logico, intuitivo, meritocratico, semplice. Il “Sogno Americano” funziona per chi arriva con un obiettivo preciso, esiste ancora, c’è tanta voglia di venire qui.

Geopolitica e mercati: come li colleghi nel tuo lavoro?

Non posso influenzare la politica, ma posso usare le notizie per orientare gli investimenti. E così faccio. È un approccio cinico, ma efficace e unisce tutti, al di là delle idee politiche. Poi io amo la storia: da lì parte tutto.

Da piccolo, che lavoro volevi fare?

Il Presidente del Consiglio. È ancora nel cassetto. Non adesso… ma magari tra trent’anni.

L'articolo Amedeo Iasci e la sfida di rendere gli italiani investitori proviene da IlNewyorkese.

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