Deportare e reprimere: c’è Trump nel futuro dell’Italia

Giugno 13, 2025 - 11:30
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Deportare e reprimere: c’è Trump nel futuro dell’Italia

Vi è un filo rosso che lega la guerra globale permanente, nella sua forma attuale caratterizzata da almeno 50 teatri di conflitto armato tra eserciti di diverse nature (nazionali, multinazionali, proxy agent, milizie) e ciò che gli Stati Uniti ci stanno mostrando, ancora una volta “valorizzando” quello che è già tendenza in Occidente.

La forma della guerra, che produce centinaia di migliaia di morti tra le popolazioni civili, e milioni di sfollati e profughi, ha esondato da qualsiasi “ius belli”, e naturalmente da qualsiasi convenzione internazionale derivante dall’ultima grande carneficina mondiale, nata e consumata in Europa. Le “regole” della guerra, ben sapendo che di cornice più formale che materiale si trattava, avevano una funzione precisa: il suo “governo” e la sua traduzione politica e valoriale. Il “governo della guerra” ad esempio, impediva di considerare il nemico “non umano”, pena l’impossibilità di ascriverla all’esercizio legittimo dell’attività dello Stato. Una guerra contro un nemico “non umano”, avrebbe significato una guerra di sterminio, di annientamento totale e definitivo di una o di tutte le parti in causa. Con il sopraggiungere della tecnologia nucleare, Hiroshima e Nagasaki, ma anche Dresda con le ogive incendiarie usate per bruciare la popolazione inerme, la necessità di mettere un freno alla disumanizzazione del nemico di guerra, ritorna con tutta la sua stringente attualità. Uno dei punti fondamentali per il “governo” della guerra, è invece saltato completamente: oggi nessuno dei promotori della guerra, considera l’altro “umano”: “bestie”, “nazisti” (sinonimo del “disumano” dei nostri tempi recenti).

Il processo di governo della guerra, o di governance, stabilito all’interno di Convenzioni internazionali, si è completamente autonomizzato: qui gioca forte il “mercato”: si decide di più se e come muovere guerra a un “nemico” nei board delle compagnie di produzione e vendita di armamenti, che nei parlamenti vari. Gli stessi governi “democraticamente eletti”, vedono al loro interno lobbisti che fanno i ministri della Difesa, e quello che già dall’operazione “desert storm” in Iraq si evidenziava (il ruolo di Cheney, della famiglia Bush, dei contractors della Blackwater, etc ) oggi accade anche da noi con Leonardo. Il mercato, e la necessità di coprire i buchi di indebitamento pubblico, sono due fattori determinanti nell’assegnare alla “produzione di guerre” ( chiamata “difesa”) un ruolo fondamentale per la tenuta di economie in balia della finanziarizzazione e del fallimento permanente. La guerra dunque si è autonomizzata e assume le regole che sono più funzionali alla sua riproducibilità, alla sua espansione. La guerra si “valorizza”.

In questo quadro di ridefinizione dello “ius belli”, che trova le sue ragioni nel superamento delle vecchie regole post seconda guerra e anche nel ribaltamento di principi ben più antecedenti, risalenti alla formazione dello stato moderno, la tendenza alla “guerra civile” diventa spauracchio per ogni governante dello Stato, un elemento necessario per governare lo Stato. Gli Usa come sempre non solo anticipano, ma radicalizzano: ci offrono la possibilità di vedere plasticamente il dispiegarsi di un processo in divenire, capace di proiettare delle immagini profetiche. Da Capitol Hill a Los Angeles, due traiettorie di guerra civile promossa dall’alto, sono davanti a noi. Il nemico è “Alien” (definizione delle persone migranti da catturare e deportare ) oppure “renegade” (definizione dei governatori, dei sindaci, dei cittadini, dei preti e suore che aiutano i migranti). Il movimento che si oppone alle deportazioni è definito “insurrezionale”, e una tale classificazione si rende necessaria per poter attivare le procedure “counter insurrectional act”, ovvero la presa militare delle città stesse, e la sospensione di ogni garanzia costituzionale. L’uso di Guantanamo rafforza l’idea della guerra civile.

Sono scenari inquietanti, ma vi è anche l’altra faccia della medaglia: la resistenza e il sabotaggio dei nuovi piani di dominio e oppressione che una minoranza di ricchi sfondati, appoggiata da maggioranze di impoveriti per ora spettatori e tifosi, vuole imporre. Chi sta resistendo sono innanzitutto le comunità bersaglio dell’azione poliziesca, ma anche giovani cittadini impoveriti ma non sottomessi, e le istituzioni locali, fino a giungere ai governatori. L’obiettivo della resistenza è sottrarre alla cattura le persone, sabotare il dispositivo di controllo militare delle città assediate dalle scorribande dei banditi dell’Ice, creare “underground railway” per la protezione dei ricercati. Un processo anche questo che deve darci speranza e ispirazione. Toccherà anche a noi, questo è certo.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia