Gaza. Netanyahu vuole “estirpare” i palestinesi dalla loro terra. Ma Hamas si rigenera

di Guido Keller –
Per ogni famiglia sterminata a Gaza dall’esercito di Benjamin Netanyahy, almeno uno dei sopravvissuti entra nelle fila di Hamas. Il partito e la sua ala armata si sarebbero così rigenerati e tornati ai livelli prebellici, come ha fatto notare il generale israeliano in pensione Yitzhak Brik su Maariv. Per Brik l’organizzazione palestinese è malleabile, in grado di adattarsi a nuove forme di lotta in base alle pressioni esterne, ma forse la verità è molto più semplice, ovvero che per i palestinesi si tratti ormai di una questione di mera sopravvivenza.
Fatto sta che la nuova guerra di Netanyahu, iniziata il 7 ottobre 2023, in quasi due anni di omicidi dei leader di Hamas, di stragi, di famiglie distrutte e costrette alla fame, di 60mila morti di cui un terzo bambini e di bombardamenti continui su più fronti, non ha raggiunto l’obiettivo ufficiale di eradicare Hamas, e neppure quello non ufficiale di buttare fuori i palestinesi per rubare loro la terra.
Mentre dei morti di Gaza si conosce il numero, specialmente delle molte vittime civili, di quanti militari israeliani sono deceduti nel conflitto non si sa nulla, nonostante i canali non ufficiali e le informazioni censurate in occidente mostrino di continuo carri armati distrutti, cecchini uccidere soldati, militari dilaniati dalle mine.
E’ notizia di queste ore di ben 5 militari israeliani uccisi e di 14 feriti in un attacco di Hamas contro le Idf a Beit Hanun, nel nord della Striscia di Gaza. La dinamica ha visto un mezzo di un battaglione saltare su una mina, quindi i militari accorsi sul posto divenire bersaglio dei militanti di hamas. Alcuni feriti versano in gravi condizioni.
Il ministro israeliano della Sicurezza, quello dell’”ogni palestinese merita solo una pallottola in testa”, ha chiesto il rientro della delegazione impegnata ai colloqui di Doha, che proprio per le posizioni del governo nazionalista di Tel Aviv sono in perenne fallimento.
L’uccisione dei 5 militari a Gaza, in territorio cioè non israeliano, è avvenuta nel momento in cui il premier Benjamin Netanyahu si trova in visita negli Usa.
Il presidente Donald Trump si è detto sempre più determinato a porre fine all’offensiva israeliana su Gaza, e sta cercando di ottenere su questo dossier quello che non è riuscito a portare a casa in Ucraina: un accordo di pace internazionale che possa rafforzare la sua immagine di leader capace di fare la pace.
La risposta di Netanyahu è stata quella di non cedere sul controllo della Striscia, e ha affermato che “stiamo lavorando con gli Usa per trovare Paesi disposti ad accogliere i palestinesi sfollati”, al fine evidentemente di impadronirsi della loro terra e del loro gas che si trova davanti alle coste.
Trump, che finora ha mostrato un sostegno militare incondizionato a Israele, comincia a dare segni di impazienza di fronte all’irremovibilità di Netanyahu. Mentre l’enclave palestinese subisce bombardamenti quotidiani, il presidente Usa considera l’idea di esercitare pressioni dirette sul leader israeliano. Fra le opzioni allo studio ci sono la minaccia di ridurre le forniture di armi e persino un disconoscimento pubblico, una tattica già collaudata con altri alleati ritenuti troppo rigidi.
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