Il Pd di Schlein non è mai sul pezzo, è assente sull’Ucraina, e dibatte di quisquilie

Dicembre 4, 2025 - 11:00
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Il Pd di Schlein non è mai sul pezzo, è assente sull’Ucraina, e dibatte di quisquilie

Silente sulle tragedie mondiali e rumoroso invece sulla tattichette della lotta politica interna, il Nazareno, cioè il fortino di Elly Schlein, non riesce mai a stare sul pezzo. Si guarda l’ombelico. Pare incapace di fare due cose contemporaneamente – la politica internazionale e le vicende interne – come si diceva di un presidente americano non in grado di camminare mentre masticava una gomma. All’improvviso il Pd ha smesso di parlare di politica estera, terreno sul quale per la verità difficilmente riesce a tenere una posizione univoca, proprio nel momento davvero cruciale della Resistenza ucraina all’attacco di Mosca, con il progressivo deteriorarsi di una qualsivoglia ipotesi di pace (il «casino» secondo Donald Trump) e il contestuale infittirsi dell’offensiva russa.

Gli Stati Uniti non ne vengono a capo, vuoi per calcolo vuoi per incapacità, e Vladimir Putin sfida il mondo evocando la guerra: si rende conto la sinistra italiana della situazione? Dov’è il famoso socialismo europeo? Dove sono l’Arci e le Acli? Dov’è il sindacato di Maurizio Landini? E questo mentre il governo annaspa nelle contraddizioni: il decreto sul rifinanziamento degli aiuti a Kyjiv per ora è scomparso e si vede la Lega putinianissima (con il coro di Giuseppe Conte) praticare l’ostruzionismo politico, cioè l’abdicazione etica a una presenza a fianco dell’Ucraina. Il decreto comunque si farà entro l’anno – ha chiarito ieri Giorgia Meloni – ed è solo «un problema logistico» (sic) se non lo si è già varato: invece sarebbe stato un bel segnale politico che l’Italia c’è. Ma è evidente che Matteo Salvini gioca a buttarla in tribuna: il Cremlino prende nota.

Sarebbe dunque il caso che il Pd e le altre forze serie del Parlamento alzassero la voce perché qui sembra che solo i riformisti democratici e Azione abbiano a cuore la più grande tragedia europea dal dopoguerra a oggi.

Silenzio anche sull’incommentabile Francesca Albanese e la sua teoria sull’assalto squadristico alla Stampa come «monito ai giornalisti perché facciano bene il loro mestiere», una cosa su cui su Linkiesta ha scritto benissimo Guia Soncini e che ha suscitato il ripensamento sul conferimento della cittadinanza onoraria della sindaca di Firenze e di buona parte dei consiglieri comunali di Bologna dei quali, però, il sindaco Matteo Lepore sembra infischiarsi.

Dal Nazareno non pare siano venute critiche alla avvocatessa proPal e neppure uno straccio di analisi autocritica per aver vellicato il Movimento, senza distinzioni, come protagonista di una specie di rivoluzione democratica, mentre lì si annidavano teppisti e squadristi. In tutto questo Elly Schlein e il gruppo dirigente del Pd si avvitano attorno al tema più autoreferenziale possibile: lo Statuto, le regole delle primarie, il modo migliore per blindare la candidatura della segretaria. Un dibattito surreale, un problema inesistente in quanto non si capisce chi nel Pd potrebbe candidarsi alle primarie di coalizione oltre Schlein.

Fare dell’Assemblea nazionale del 14 dicembre un “Elly day” potrà anche essere gratificante ma non potrà impedire a una Silvia Salis o a un Gaetano Manfredi di dar battaglia ai gazebo, perché il vero problema della segretaria, oltre all’aggressiva concorrenza di Giuseppe Conte, è questo. Che miseria, però, mentre l’Ucraina è sempre più sola.

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