Intervista con Valentina Romani, volto e voce narrante di “Dark Lines – Delitti a Matita”, in esclusiva su RaiPlay: “Le storie raccontate sono molto dolorose, ma c’è anche la consapevolezza di non poter più rimanere in silenzio”
“Sono storie drammatiche di donne, amiche, mamme che sono state strappate alla vita troppo giovani e ho voluto rapportarmi con grande rispetto per ridare loro quella voce che non hanno più”. Valentina Romani è il volto e la voce narrante di “Dark Lines – Delitti a Matita”, da giovedì 22 maggio in esclusiva su RaiPlay con i primi quattro episodi.
La serie true crime, una produzione Rai Contenuti Digitali e Transmediali, direttore Marcello Ciannamea, con la regia di Giacomo Talamini, presenta storie di delitti efferati mescolando voci, tecniche e stili narrativi: alla ricostruzione del crimine si unisce il linguaggio della graphic novel e dell’illustrazione in movimento. Ognuno degli otto episodi della serie, si sofferma sulle circostanze che hanno portato alla morte violenta di giovani donne: da Simonetta Cesaroni a Meredith Kercher, Chiara Poggi e Marta Russo, da Serena Mollicone a Elisa Claps, Nada Cella e Melania Rea.
Con un preciso rigore documentale, Valentina Romani ci guida attraverso la storia di puntata per ricostruire i vari passaggi del crimine: i fatti, le dinamiche familiari, le indagini, i sospetti, i possibili moventi e le testimonianze, per poi raccontare gli interrogatori, i processi e le eventuali condanne o assoluzioni.
L’attrice, tra le giovani stelle più luminose del panorama italiano, è attualmente anche tra i protagonisti della serie di grande successo “Gerri”, tratta dai romanzi di Giorgia Lepore e diretta da Giuseppe Bonito, in onda il lunedì sera su Rai 1, nella quale interpreta la vice ispettrice Lea Coen.
Valentina, è voce narrante e volto di “Dark Lines – Delitti a Matita”, serie true crime disponibile su RaiPlay che racconta otto femminicidi. Come si è approcciata a queste storie drammatiche?
“Mi sono messa al servizio di queste otto storie e ho voluto restituirne il racconto come se stessi portando con me lo spettatore all’interno di questi fatti di cronaca. È stato anche difficile perché il coinvolgimento emotivo in alcuni momenti è stato molto importante e più di una volta ho sentito il dovere di fermarmi un attimo per riprendere fiato, perché sono storie drammatiche di donne, amiche, mamme che sono state strappate alla vita troppo giovani e quindi ho voluto rapportarmi con grande rispetto per ridare loro quella voce che non hanno più”.
E’ una serie molto particolare perché c’è un’ibridazione di linguaggi, con l’utilizzo della graphic novel, del fumetto, che la rende fruibile ad un pubblico più vasto e anche ai giovani…
“Questa serie mescola il genere della graphic novel a quello del true crime, in modo da avere un linguaggio che sia universale e fruibile da tutti, perché il disegno tende ad alleggerire la brutalità di una foto. L’obiettivo è raggiungere i giovani per sensibilizzarli su certe tematiche ma anche le altre generazioni perché vogliamo provare ad accendere dei riflettori, invitare le persone a riflettere su queste tematiche”.
Diceva che ovviamente dal punto di vista emotivo ci sono stati dei momenti non facili, com’è riuscita da donna e da attrice a superare queste difficoltà per poter raccontare queste storie?
“Nel lavoro come nella vita non si può scegliere di non pensare alle cose ma bisogna lasciare che entrino dentro di noi e se è necessario che ci facciano anche del male. In questo caso le storie sono molto dolorose, però c’è una consapevolezza che io sento nel profondo che è quella di non poter più rimanere in silenzio, di non poterci voltare dall’altra parte. Questo è stato il motore che anche nei momenti emotivamente più difficili mi ha permesso di andare avanti”.
Nell’introduzione dei vari episodi ci sono dei concetti molto importanti, innanzitutto il ricordo di queste donne che “ci consente di ripensare la nostra società dall’interno fino a quando potremo sentirci realmente libere” e poi il fatto che “sono vittime della violenza di un sistema che produce dei maschi senza scrupoli”. Secondo lei da cosa si deve partire per far sì che questa società venga davvero ripensata dall’interno?
“Credo che innanzitutto parlare di certe tematiche per sensibilizzare le nuove generazioni sia un veicolo importante in questa fase e che sia fondamentale l’inserimento nelle scuole dell’educazione emotiva che secondo me è una sfera dell’educazione civica. Non voglio però dare la colpa alle scuole perché lì risiede la nostra speranza, così come nelle famiglie. Lentamente vedo che sta nascendo una consapevolezza anche nella sfera maschile e che stiamo facendo tutti insieme questa battaglia, non più solo noi donne, e questo è incoraggiante”.
In effetti diversi artisti, ad esempio Ermal Meta e Vinicio Marchioni, hanno lanciato dei messaggi importanti relativamente al contrasto della violenza sulle donne. Lei fa anche parte della Fondazione Una Nessuna Centomila che si occupa della prevenzione e del contrasto della violenza sulle donne …
“La Fondazione Una nessuna centomila è stata proprio una chiamata all’arte e vede impegnati artisti, attori e cantanti a sostegno dei centri antiviolenza, perché il tema della violenza di genere in Italia oggi è una ferita ancora aperta. L’arte è cultura e può fungere da veicolo per fare arrivare dei messaggi alla gente. La mia partecipazione al progetto “Dark Lines – Delitti a Matita” spero possa essere intesa come un ponte con le nuove generazioni e che questa serie possa essere un invito a riflettere su quello che è accaduto e su quello che continua ad accadere nel nostro paese”.
Un altro elemento che emerge guardando le puntate di “Dark Lines – Delitti a Matita” è il silenzio, l’omertà della gente quando accadono questi tragici fatti di cronaca..
“Come dicevo prima non credo sia più il tempo di prenderci il lusso di rimanere in silenzio, la violenza di genere è una ferita che ha un enorme bisogno di essere ricucita, è un’urgenza nel nostro paese. Sono storie difficili quelle che raccontiamo a “Dark Lines – Delitti a Matita” ma il silenzio è una forma insidiosa di complicità, quindi parlare è un nostro dovere”.
Attualmente è anche su Rai 1 tra i protagonisti della serie “Gerri”, che sta avendo un grandissimo successo, nel ruolo di Lea Coen, una vice ispettrice all’apparenza forte e determinata, che nasconde però delle fragilità che emergono poi grazie al rapporto che si crea con Gerri (Giulio Beranek). Com’è stato interpretare questo personaggio?
“Innanzitutto sono felicissima perché il pubblico sta accogliendo la serie in modo veramente speciale e quindi provo un senso di gratitudine profondissima perché è un progetto a cui tengo molto. Per quanto riguarda Lea per la prima volta ho interpretato un personaggio adulto ed è stata una sfida, dal punto di vista artistico, abbandonare tutte le corde adolescenziali, spensierate, per riuscire a scovare dentro di me quelle della maturità. Lea è una ragazza razionale, è dalla parte della giustizia, ricerca la verità, svolge un lavoro difficile in modo appassionato, ha un grande intuito e questo è uno degli aspetti su cui ho fatto leva durante l’interpretazione. E’ un personaggio autentico e nasconde una sensibilità profonda, è indipendente e non cerca nell’altro la risoluzione dei problemi ma li asseconda con razionalità, non si mette di traverso nei confronti delle cose che la vita le porta”.
Valentina Romani nella serie “Gerri” – credit foto Francesca Cassaro
E’ una serie che affronta tante tematiche diverse in cui tutti possiamo rispecchiarci, dalla ricerca delle radici all’accettazione di sé. Che rapporto ha con le sue radici?
“Sono molto legata alle mie radici, credo che siano fondamentali per non perderci mai e ricordarci sempre da dove siamo partiti. Non voglio sfociare nella retorica però ogni volta che ritorno da un viaggio, che può essere anche artistico, quindi un set, un personaggio, sento un bisogno quasi fisiologico di tornare alle mie radici cioè la mia casa, gli amici, gli affetti, la mia famiglia, quello spazio di comodità, quella comfort zone dove ci si sente al proprio posto. Non che questo non accada quando lavoro, sul set per esempio c’è una scomodità molto stimolante, a me piacciono i personaggi tridimensionali, multistrato, densi, però come quando si intraprende un viaggio molto lungo a un certo punto tornare a casa è piacevole. Quindi ho un rapporto sano con le mie radici, mi allontano ma torno sempre”.
Negli anni ha indossato i panni di tante donne con caratteristiche diverse in film e serie tv, c’è una sfumatura in particolare che ancora non ha avuto modo di interpretare e a cui le piacerebbe dare vita?
“Ce ne sono tante. Vestire i panni di Lea, per esempio, è stata un’opportunità anche per vedere in quale modo stanno cambiando i personaggi femminili dell’audiovisivo. Lei è una donna che sa bastarsi, non è al servizio di un uomo, ha la sua storia, una sua linea orizzontale e questo da attrice è molto incoraggiante perché si stanno mettendo in moto dei cambiamenti anche nel modo in cui vengono raccontate le donne. Mi piacerebbe misurarmi con i toni di una commedia che non ho ancora avuto modo di fare. Credo che ci siano mille modi per raccontare le donne e vorrei esplorarli tutti. Ho un animo troppo curioso per farmi bastare le storie che ho impersonato fino ad ora”.
di Francesca Monti
credit foto Eleonora Ferretti
Si ringraziano Francesca Procopio e Giada Giordano
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