La crescita economica non funziona come una torta da dividere

Patricia Andrews Fearon della Stanford University e Friedrich M. Götz dell’Università di Cambridge hanno pubblicato un importante articolo intitolato The Zero-Sum Mindset “La mentalità a somma zero” in cui presentano i risultati di nove studi condotti in sei Paesi con 10.000 partecipanti. Essi definiscono la mentalità a somma zero come una concezione secondo cui il successo di un’altra persona avviene automaticamente a tue spese e il tuo fallimento è il loro successo. Tali situazioni esistono nella vita: una partita di tennis ne è un esempio; se vuoi vincere, l’altra persona deve perdere.
Tuttavia, esistono numerose altre situazioni in cui entrambe le parti vincono, come nello scambio volontario di beni, ovvero il commercio. Fearon e Götz dimostrano che le persone con una «mentalità a somma zero» interpretano fondamentalmente le situazioni come giochi a somma zero, anche se in realtà non lo sono. Ciò ha gravi implicazioni, perché chi pensa in termini di somma zero basa il proprio comportamento su questo presupposto. Le politiche protezionistiche, come quelle perseguite da Donald Trump, ne sono un esempio.
Gli anticapitalisti credono che l’economia sia un gioco a somma zero. Bertolt Brecht ha formulato in modo classico questo pensiero nella sua poesia «Alfabet», in cui due uomini, uno ricco e uno povero, si trovano faccia a faccia: «Disse il povero con un sussulto: Se io non fossi povero, tu non saresti ricco». Questo è il modo in cui gli anticapitalisti immaginano la vita economica. Essi sostengono che i Paesi ricchi debbano condividere parte della loro ricchezza con i Paesi poveri e che i ricchi debbano condividerla con i poveri. Dal loro punto di vista, il fatto che ci siano ancora così tante persone povere è dovuto esclusivamente all’egoismo e alla mancanza di buona volontà dei ricchi.
Storicamente, nelle società precedenti, la ricchezza era spesso basata sul furto: alcune persone si arricchivano a spese di altre. Al contrario, il sistema di mercato funziona secondo un principio diverso: chi soddisfa efficacemente le esigenze di un gran numero di consumatori diventa ricco. Questa è la logica fondamentale del mercato.
L’idea (errata) di un’economia a somma zero viene smentita dall’analisi dell’andamento del numero di ricchi e poveri negli ultimi decenni. Prima dell’avvento del capitalismo, la maggior parte della popolazione mondiale viveva in condizioni di estrema povertà: nel 1820 la percentuale era del 90 per cento. Oggi è scesa a circa il 10 per cento (una cifra che sarebbe ancora più bassa, pari al 6,5 per cento, se la Banca Mondiale non avesse recentemente modificato il suo metodo di calcolo).
In particolare, dal declino delle economie pianificate socialiste in Cina e in altre nazioni, la povertà è diminuita a un ritmo senza precedenti nella storia dell’umanità. Nel 1981 il tasso di povertà globale era pari al 42,7 per cento, ma nel 2000 era sceso al 27,8 per cento e nel 2025 era pari al 10 per cento. Allo stesso tempo, il numero di miliardari ha continuato ad aumentare.
La Cina ne è un esempio: tra il 1958 e il 1962, 45 milioni di cinesi morirono di fame durante il Grande balzo in avanti di Mao, il più grande esperimento socialista della storia. Pochi anni dopo la morte di Mao, nel 1981, l’88 per cento della popolazione cinese viveva ancora in condizioni di estrema povertà. Grazie alle riforme dell’economia di mercato avviate da Deng Xiaoping all’inizio degli anni Ottanta, la percentuale di persone estremamente povere in Cina è ora scesa al di sotto dell’1 per cento. Allo stesso tempo, il numero di miliardari è passato da zero a oltre 500: solo gli Stati Uniti ne hanno di più. Chi ragiona in termini di gioco a somma zero non riesce a spiegare come il numero dei ricchi possa aumentare così rapidamente e, allo stesso tempo, il numero dei poveri possa diminuire così rapidamente.
Anche l’idea del commercio come gioco a somma zero è errata. Adam Smith ha riconosciuto che il commercio non è un gioco a somma zero, perché la specializzazione e la divisione del lavoro migliorano la produzione complessiva. David Ricardo ha ulteriormente sviluppato questa intuizione formulando il principio del vantaggio comparativo, dimostrando che anche un Paese meno efficiente può trarre vantaggio dal commercio se si specializza nella produzione di beni che può produrre in modo relativamente più economico.
È chiaro che la mentalità a somma zero alimenta l’invidia e il risentimento nei confronti dei ricchi. Dopo tutto, chiunque creda che un aumento della ricchezza dei ricchi comporti automaticamente un deterioramento delle condizioni dei non ricchi percepirà la lotta alla povertà come sinonimo di lotta contro i ricchi o a favore della redistribuzione.
Il legame tra invidia e mentalità a somma zero è stato confermato da un sondaggio condotto da Ipsos MORI per mio conto in 13 Paesi. Agli intervistati è stata posta una serie di domande per valutare il loro atteggiamento nei confronti della ricchezza e dei ricchi. Tra queste figuravano diverse domande che fungono da indicatori dell’invidia sociale. Secondo lo studio “La ricchezza e la sua distribuzione: percezioni e atteggiamenti”, l’invidia sociale era più diffusa in Francia, seguita dalla Germania. Al contrario, Paesi come la Polonia, il Giappone e il Vietnam hanno mostrato un livello di invidia significativamente inferiore.
Una delle domande del sondaggio presentava agli intervistati un’affermazione che riassumeva in una sola frase la mentalità del gioco a somma zero: «Più i ricchi hanno, meno ce n’è per i poveri». Sulla base di questa e di diverse altre domande, lo studio è stato in grado di distinguere tra invidiosi e non invidiosi. È interessante notare che in tutti i 13 Paesi gli invidiosi erano molto più propensi dei non invidiosi a concordare con l’affermazione di cui sopra. Questa correlazione è facile da spiegare: se qualcuno crede che i ricchi abbiano acquisito la loro ricchezza a spese degli altri, l’invidia è un risultato quasi inevitabile.
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