La guerra di Israele contro l’Iran mette in ombra la catastrofe di Gaza

Bruxelles – L’Unione europea continua a non toccare palla nella crisi mediorientale, che si sta avvitando sempre più pericolosamente dopo che Israele ha aperto l’ennesimo fronte di guerra attaccando direttamente l’Iran, accusando la Repubblica islamica, il suo acerrimo nemico, di essere ad un passo dalla bomba atomica.
Con gli occhi del mondo puntati su Teheran e Tel Aviv, l’ennesimo conflitto scatenato da Benjamin Netanyahu distoglie così l’attenzione dalla catastrofe umanitaria in corso a Gaza e dalla questione palestinese in generale. Saltata la conferenza Onu sulla Palestina voluta da Emmanuel Macron, rimandata sine die. Ma dalle piazze di Bruxelles e L’Aia arriva forte la richiesta di “linee rosse” contro le violazioni del diritto internazionale da parte dello Stato ebraico.
L’Europa senza voce
Comprensibilmente, l’improvvisa escalation tra Israele e Iran ha bruscamente attirato l’attenzione del mondo politico e dominerà l’agenda del G7 in corso a Kananaskis, in Canada. Al suo arrivo al vertice, Ursula von der Leyen ha ribadito stamattina (16 giugno) “l’impegno dell’Europa per la pace e la stabilità in Medio Oriente“, sottolineando che “Israele ha il diritto di difendersi“, anche preventivamente, dalle minacce esistenziali alla sua sicurezza.
Secondo la presidente dell’esecutivo a dodici stelle, “l’Iran è la principale fonte di instabilità nella regione” e Teheran “non potrà mai avere un’arma nucleare”, anche se per ora non ci sono prove che la Repubblica islamica sia costruendo ordigni atomici. Il denominatore comune dei commenti ripetuti negli scorsi giorni dai vertici comunitari e da vari leader europei è la richiesta di “moderazione” e “de-escalation”.
L’Alta rappresentante Kaja Kallas ha convocato per domani un Consiglio Affari esteri d’emergenza in formato virtuale. Le cancellerie sono preoccupate per l’eventuale esplosione di un più ampio conflitto regionale, e alcune di loro (soprattutto Berlino e Parigi, in coordinamento con Londra) starebbero cercando di portare avanti un’iniziativa diplomatica dietro le quinte, nella speranza che le trattative sul programma nucleare degli ayatollah possano riprendere già la prossima settimana.
Tuttavia, secondo esperti ed osservatori, le chances che l’Europa possa realmente toccare palla in questa partita sono prossime allo zero. I veri interlocutori non sono nel Vecchio continente, ma altrove. Uno è sicuramente il presidente Usa Donald Trump, il quale pure sta lasciando la porta aperta per il dialogo con la Repubblica islamica, anche se tra i quadri assassinati dall’esercito israeliano (Idf) c’era proprio il capo-negoziatore iraniano.
Un’idea avanzata dal tycoon sarebbe addirittura quella di investire delle credenziali di mediatore il suo omologo russo Vladimir Putin, il primo leader mondiale ad aver sentito contemporaneamente le dirigenze dei due Paesi belligeranti. Gli europei non ne vogliono sapere, temendo che una mossa del genere possa consentire una piena riabilitazione internazionale dello zar, mentre continua la sua guerra imperialista in Ucraina.
Si allontana il riconoscimento della Palestina
Tra le vittime della recente escalation militare c’è anche la Striscia di Gaza, che rischia ora di cadere nel dimenticatoio o quantomeno di scivolare in giù nella lista delle priorità dei governi europei. Per ragioni “logistiche, fisiche, di sicurezza e politiche” il presidente francese Emmanuel Macron ha annullato la conferenza Onu sulla Palestina che aveva annunciato il mese scorso, originariamente in calendario per questa settimana al Palazzo di Vetro di New York.
L’evento – co-presieduto da Francia e Arabia Saudita – doveva servire come catalizzatore politico per accelerare sulla soluzione a due Stati, passando per il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dei Paesi europei e la normalizzazione dei rapporti diplomatici delle nazioni arabe con Israele. L’inquilino dell’Eliseo si dice comunque intenzionato a ospitare la conferenza, che verrà riprogrammata per un futuro prossimo: “Questo ritardo non mette in discussione la nostra determinazione a portare avanti l’attuazione della soluzione dei due Stati“, ha dichiarato venerdì, reiterando “la mia determinazione a riconoscere uno Stato palestinese“. “Questa determinazione è totale ed è una decisione sovrana”, ha aggiunto.
Negli ultimi tempi, monsieur le Président si è mostrato sempre più critico nei confronti delle scelte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, spingendosi a sostenere che la violenza della campagna nella Striscia rappresenta “un tradimento della storia e dell’identità di Israele” che si rivelerà “pericoloso” per la sicurezza stessa di Tel Aviv. Per tutta risposta, è stato accusato di condurre “una crociata contro lo Stato ebraico“, mentre sia Israele che gli Usa ripetono che riconoscere la Palestina dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 sarebbe una “ricompensa per il terrorismo“.
Macron ha ribadito di non appoggiare l’operazione “Leone rampante” (il cui nome, riferendosi al leone presente nella bandiera dell’Iran pre-rivoluzionario, strizza l’occhio ad un eventuale cambio di regime a Teheran). Ma dato che ha aperto questo nuovo fronte contro la Repubblica islamica, ragiona monsieur le Président, Bibi dovrebbe almeno concedere un cessate il fuoco a Gaza, creando le premesse per l’avvio di “discussioni politiche” per una soluzione permanente alla questione israelo-palestinese.
Attualmente, 147 su 193 membri dell’Onu riconoscono ufficialmente lo Stato di Palestina. Tra questi ci sono 11 membri dell’Ue (Bulgaria, Cechia, Cipro, Croazia, Finlandia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria), ma mancano ancora all’appello (tra gli altri) tutti i Paesi del G7. Da mesi, Macron dice di voler procedere col riconoscimento da parte francese, a condizione che questo rappresenti la base di un processo di pace serio e duraturo.
Quali linee rosse?
Tuttavia, al netto delle mosse politiche di alcune cancellerie e di (poche) misure cosmetiche a livello dei Ventisette (ad esempio la revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele), non sembrano esserci delle reali “linee rosse” cui condizionare il sostegno occidentale al governo ultranazionalista di Netanyahu, alla luce della catastrofe umanitaria in corso nella Striscia. Von der Leyen dice di aver “insistito e sollecitato affinché gli aiuti umanitari, che attualmente non stanno raggiungendo Gaza, siano ammessi” durante una telefonata col premier israeliano, aggiungendo che esaminerà “attentamente i fatti” per valutare la situazione.
Fort. Nous étions plus de 100.000 personnes, aujourd’hui à Bruxelles.
En parallèle, 150.000 personnes ont manifesté à la Haye.
Les Européens refusent la complicité de leurs gouvernements.
Nous avons tracé une ligne rouge. Israël l’a franchie.
Embargo now. #FreePalestine pic.twitter.com/xolXeZ3tkM
— Marc Botenga MEP (@BotengaM) June 15, 2025
Al contrario di quanto falsamente affermato in alcuni video di propaganda diffusi sui social dal ministero degli Esteri di Tel Aviv, tuttavia, l’assistenza umanitaria per la popolazione della Striscia è ancora bloccata, mentre continuano a susseguirsi gli “incidenti” in cui vengono quotidianamente uccise decine di palestinesi ad opera dell’Idf.
Così, durante il weekend fiumi di cittadini si sono riuniti per protestare pacificamente contro la “complicità” dell’Europa, che continua a rifornire Tel Aviv di armi e a comprare tecnologie militari e sistemi di sorveglianza made in Israel, e chiedere esplicitamente che delle linee rosse vengano chiaramente tracciate.
Una doppia manifestazione svoltasi parallelamente tra Bruxelles e L’Aia ha portato in piazza oltre 200mila persone (110mila e 150mila rispettivamente, secondo gli organizzatori) per chiedere la cessazione delle ostilità a Gaza, la fine dell’impunità per la dirigenza israeliana – incluso l’arresto del premier, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità – e l’imposizione di sanzioni contro lo Stato ebraico, come già fatto da diversi Paesi extra-Ue.
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