La sveglia di Mattarella all’Italia degli svogliati

Mentre a Berlino si svolgeva l’ennesima partita dell’estenuante gioco dell’oca psico-politico incentrato attorno al fantomatico piano di pace di Donald Trump – partita che, nella migliore delle ipotesi, dopo un lungo giro, finirà come tutte le precedenti: cioè con i russi che diranno di no, una volta che ucraini ed europei saranno riusciti a rimuovere dall’accordo le clausole iugulatorie volute da Mosca – Sergio Mattarella ha tenuto un importante discorso alla Farnesina, in occasione della XVIII Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori d’Italia nel mondo. Avendo cominciato questo articolo con nove righe di incidentali a catena, per pietà del lettore, vado subito al punto: nei giorni decisivi in cui l’Europa dei Volenterosi tenta di salvare l’Ucraina dalla morsa trumputiniana, sul piano degli accordi diplomatici e sul piano finanziario, tentando di forzare sull’utilizzo dei famosi asset russi, il presidente della Repubblica ha dato la sveglia all’Italia degli svogliati. Lo ha fatto con parole dure sull’«aberrante intendimento» di «infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa». E anche sulla «pretesa di imporre punizioni contro giudici delle Corti internazionali per le loro funzioni di istruire denunce contro crimini di guerra, a difesa dei diritti umani, in definitiva a difesa dei popoli del mondo». Parole che nel secondo caso, e forse pure nel primo, non valgono solo per Vladimir Putin, ma anche per Benjamin Netanyahu. Infine, per essere proprio sicuro di farsi capire bene, Mattarella ha scandito: «È evidente che è in atto un’operazione, diretta contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni. Non è possibile distrarsi e non sono consentiti errori».
Com’era facilmente prevedibile ed era stato infatti facilmente previsto, nel momento in cui il gioco con l’Amministrazione Trump e il suo convinto antieuropeismo si è fatto più duro, per i giochetti di Meloni in equilibrio tra Washington e Bruxelles è rimasto ben poco spazio. Anche perché nel frattempo è cresciuta anche la tensione con la Russia, alimentata dalle sue continue provocazioni, volendo usare un eufemismo. Tra le meno importanti, ma più surreali, si segnalavano ieri le dichiarazioni dell’ambasciata russa in Italia sulla vendita di Stampa e Repubblica, con i rappresentanti di un paese dove la libertà di stampa non esiste e i giornalisti liberi vengono ammazzati che si auguravano che con la nuova proprietà «queste testate possano tornare alla tradizione del giornalismo serio». Nello stesso giorno, in compenso, siamo venuti a sapere delle dimissioni di diversi storici collaboratori di Limes (rivista peraltro appartenente allo stesso gruppo editoriale di Stampa e Repubblica) che hanno denunciato la faziosità filo-putiniana del mensile diretto da Lucio Caracciolo, uno dei principali propalatori dell’insopportabile maldicenza della «guerra per procura». Si tratta dello storico Federigo Argentieri, membro del comitato redazionale sin dalla fondazione della rivista, che ha dato la notizia con un’intervista all’Adnkronos, del giornalista e fotografo Franz Gustincich, anche lui nel comitato redazionale, e dell’economista Giorgio Arfaras, che era membro invece del consiglio scientifico. Poche ore dopo, con un tweet, anche il generale Vincenzo Camporini ha fatto sapere di essere uscito dal consiglio scientifico «per incompatibilità con la linea politica di mancato sostegno ai principi del Diritto Internazionale, stracciati dall’aggressione russa all’Ucraina». A questo punto potremmo domandarci come mai solo ora, visto che lo stesso Argentieri data la deriva filoputiniana della rivista a partire dal 2004, non proprio l’altro ieri. Ma non ha molta importanza, e possiamo prendere comunque anche questo piccolo episodio come incoraggiante segnale di una più diffusa consapevolezza della minaccia che abbiamo davanti, almeno da parte delle classi dirigenti. La domanda giusta, da questo punto di vista, è semmai cosa facciano ancora lì, nel consiglio scientifico di Limes, tutti gli altri, a cominciare da due ex presidenti del Consiglio, certo non sospettabili di filoputinismo, come Enrico Letta e Romano Prodi.
Leggi anche l’articolo di Mario Lavia su questo tema.
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