Le leggi scritte male soffocano la crescita più delle regole in eccesso

Dicembre 9, 2025 - 07:30
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Le leggi scritte male soffocano la crescita più delle regole in eccesso

Troppe regole strangolano la crescita. Ma non è solo questione di quantità: anche la farraginosità e la scarsa qualità delle norme riducono gli spazi per l’innovazione e distruggono ricchezza.

Un nuovo progetto di Epicenter studia la qualità del diritto dell’Unione europea e offre utili spunti per ridurne i costi impliciti. È importante comprendere il nesso tra il modo in cui sono scritte le leggi e gli incentivi o disincentivi che questo determina sull’attività economica.

Nel corso del tempo, la qualità delle norme europee sembra essersi deteriorata. Inoltre, queste vengono rese ancora più intricate dopo i passaggi al Parlamento europeo che, invece di correggere le storture della Commissione, finiscono per aggiungere disordine e burocrazia. Per esempio, «le direttive europee dal 2022 al 2024 presentano strutture sintattiche sempre più complesse, con una media di 38,6 parole e 250 caratteri per frase e 1,9 virgole per frase. Queste cifre sono in netto contrasto con la raccomandazione della Plain English Campaign del Regno Unito di non superare le 20 parole per frase».

Non solo: «Dato che molte direttive dell’Unione europea superano le 30.000 parole e presentano frasi lunghe e complesse con una media di quasi 39 parole, una qualsiasi direttiva potrebbe realisticamente richiedere da quattro a sei ore di lettura per un non esperto disposto a concentrarsi nell’impresa».

E ancora: «In media, gli atti giuridici coprono 24,4 pagine e contengono 11,7 articoli, anche se la loro lunghezza varia notevolmente di anno in anno. La lunghezza media più elevata è stata registrata nel 2023 (33,3 pagine), mentre quella più breve nel 2024 (19,2 pagine). Il settore dell’energia ha prodotto gli atti più lunghi (68,7 pagine; 17,3 articoli), seguito dal settore “ambiente, consumatori e protezione della salute” (40 pagine; 14,4 articoli). Al contrario, i settori “libertà, sicurezza e giustizia” (8,4 pagine, 7,9 articoli) e “questioni generali, finanziarie e istituzionali” (9 pagine, 4 articoli) hanno prodotto gli atti più concisi».

Queste complessità si estendono alle Valutazioni di impatto, non sempre realizzate e spesso insufficienti o a loro volta scritte in modo incomprensibile, e all’iter delle norme, raramente pianificato in anticipo.

Il modo in cui le leggi vengono scritte genera due tipologie di costi: da un lato, la necessità per le persone di avvalersi di consulenze di esperti la cui principale funzione è “tradurre” le leggi in lingua corrente; dall’altro, la complessità sintattica spesso si traduce in incertezza interpretativa, lasciando quindi ai tribunali l’ultima parola, con ovvie conseguenze in termini di tempi e costi per accertare il reale contenuto delle leggi. L’impatto di tutto questo è macroscopico. Un recente studio sull’Italia – che certo in materia di arzigogoli normativi può dare lezioni al mondo – ha stimato il costo della complessità normativa (intesa appunto come comprensibilità letterale delle norme) nell’enorme cifra di centodieci miliardi di euro, pari al cinque per cento del Pil.

Migliorare la qualità del diritto è fondamentale. Il processo deve partire necessariamente da Bruxelles, perché gran parte delle norme nazionali derivano direttamente o indirettamente da input europei: l’Italia è bravissima a complicare le cose semplici, ma se già il punto di partenza è zeppo di intoppi lessicali, la ricetta per il declino è servita.

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Redazione Redazione Eventi e News