Libia. Il nuovo fronte invisibile della sfida tra Washington e Mosca

Aprile 28, 2025 - 15:30
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Libia. Il nuovo fronte invisibile della sfida tra Washington e Mosca

di Giuseppe Gagliano

La Libia, tredici anni dopo la caduta di Muammar Gheddafi, non ha mai smesso di essere teatro di influenze esterne. Oggi tuttavia la posta in gioco si è fatta ancora più alta. Sullo sfondo della guerra in Ucraina e del progressivo arretramento occidentale in Africa, il paese nordafricano si è trasformato in uno snodo cruciale della rivalità globale tra Stati Uniti e Russia. Una rivalità che non si combatte con eserciti regolari ma si gioca attraverso alleanze fragili, operazioni ibride e manovre diplomatiche silenziose.
La divisione della Libia in due poli di potere contrapposti è rimasta inalterata. Da una parte Tripoli, governata da un esecutivo sostenuto dalle Nazioni Unite e fortemente appoggiato dalla Turchia. Dall’altra Bengasi, roccaforte del maresciallo Khalifa Haftar e della sua Armata Nazionale Libica, legata a Mosca e al Cairo. Con il tempo Haftar, inizialmente isolato dalle capitali occidentali per la brutalità delle sue campagne militari, è diventato un tassello chiave nella strategia russa per consolidare l’influenza nel Mediterraneo e nell’Africa settentrionale.
Il conflitto ucraino ha agito come acceleratore. A Washington è maturata la convinzione che la presenza russa in Libia, mediata dai contractor del cosiddetto “Corpo Africa” (erede della Wagner), non rappresentasse più solo un sostegno a Haftar, ma un meccanismo diretto di pressione sull’Occidente. La destabilizzazione del Sahel, il ritiro delle forze francesi e americane, i colpi di Stato in Mali, Niger e Burkina Faso hanno acuito la sensazione di assedio. In questo quadro, la Libia è diventata un avamposto vitale da difendere, una linea rossa che non si può più permettere di ignorare.
Il pragmatismo, più che i principi, guida ora la politica americana. Washington ha scelto di riavvicinarsi a Haftar, nonostante il passato segnato da accuse di crimini di guerra. Incontri ad alto livello, rapporti della NATO che raccomandano l’alleanza con “partner non ideali”, manovre dimostrative come il sorvolo dei B-52 su Sirte: tutto segnala la volontà di recuperare terreno. Meglio un Haftar ambiguo che un’espansione russa incontrollata.
Ma il terreno su cui si muovono gli Stati Uniti è scivoloso. Haftar, da abile stratega locale, coltiva relazioni parallele. La recente visita dei suoi emissari a Minsk, il cuore dell’asse russo-bielorusso, ha suscitato irritazione a Washington. Il maresciallo libico mantiene volutamente una postura ambivalente, offrendo aperture agli americani mentre rinnova i legami con Mosca. La sua priorità resta la sopravvivenza politica, non la fedeltà a una parte.
Questo doppio gioco rischia di precipitare nuovamente la Libia nel caos. Nonostante le rassicurazioni ufficiali, il rafforzamento militare nei pressi della frontiera algerina e il riposizionamento delle truppe fanno temere una possibile nuova offensiva. Se Haftar dovesse cedere alla tentazione di rilanciare l’attacco su Tripoli, ogni fragile tentativo di stabilizzazione verrebbe spazzato via, offrendo alla Russia nuove opportunità di penetrazione.
La crisi libica riflette più di ogni altra il cambiamento epocale nelle relazioni internazionali. I grandi principi invocati nel passato sono stati sostituiti da un realismo brutale. Gli Stati Uniti, un tempo promotori di un ordine liberale, oggi trattano apertamente con autocrati se ciò serve a contenere i rivali strategici. La Russia, dal canto suo, utilizza con cinismo strumenti asimmetrici, dai mercenari agli accordi opachi, per insediarsi nelle pieghe lasciate aperte dall’Occidente.
La Libia in questo nuovo disordine globale non è più solo il residuo di una guerra civile irrisolta. È diventata lo specchio di un mondo frammentato, dove le alleanze si fanno e si disfano in base alla logica della forza, dell’opportunità e della sopravvivenza.

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Redazione Redazione Eventi e News