Principi di condotta militare: proporzionalità

Giugno 13, 2025 - 03:00
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Principi di condotta militare: proporzionalità

di Maddalena Pezzotti –

Il principio di proporzionalità si riferisce al contrappeso tra il vantaggio militare e l’obbligo di rispettare gli aspetti umanitari nei conflitti armati. In questo senso, gli attacchi non devono causare vittime, o devastazione, eccessive rispetto al vantaggio che si intende perseguire.
La proporzionalità è, quindi, volta a mitigare i danni collaterali derivanti da operazioni contro obiettivi militari o soldati, limitandoli a quelli necessari e inevitabili. Secondo il commentario (1977) al I Protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra, il vantaggio militare deve ritenersi sostanziale e vicino nel tempo. Pertanto, non sono autorizzati vantaggi non evidenti o che si concretano nel lungo periodo.
La violazione di questo principio è inquadrata nello statuto della Corte penale internazionale. L’articolo 8, però, ritiene i danni sproporzionati rispetto al “vantaggio militare complessivo previsto”, anziché rispetto al “vantaggio diretto e concreto previsto”, del I Protocollo Aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra, rendendone ancora più difficile l’accertamento.
La possibilità che vengano colpiti i civili è ammessa. Nella dottrina, sono contemplati i casi di persone che vivono o lavorano all’interno del bersaglio, vi si trovino in circostanze fortuite o di passaggio nelle sue vicinanze, o che pur essendone distanti siano raggiunte per errore, o ancora che vengano costrette a fare da scudo umano o si siano prestate a ciò in forma volontaria.
Alcuni manuali militari, come quello canadese, prescrivono che l’equilibrio tra i due interessi debba collocarsi nell’aspettativa, in buona fede, che l’offensiva apporti un contributo rilevante. Il codice di comportamento delle forze armate italiane evidenzia come la valutazione debba essere affidata al buon senso del comandante dell’operazione.
Tuttavia, raggiungere tale bilanciamento è complesso. Chi pone in essere l’aggressione dà sempre maggior rilevanza al vantaggio militare, mentre da parte di chi la subisce il piatto della bilancia della dimensione umanitaria è più gravoso. Non esiste, inoltre, una scala metrica che indichi quando una manovra sia da reputarsi irragionevole e smodata.
Per esempio, la distruzione di un intero villaggio allo scopo di smantellare una piccola cellula di combattenti è inaccettabile. Risulta, infatti, palese l’entità spropositata di danno collaterale, in morti e feriti tra la popolazione civile e l’abbattimento di proprietà private, a fronte del vantaggio militare. All’opposto, può essere lecito un attacco condotto contro la stessa cellula che provoca la perdita accidentale di un individuo. Tra questi due scenari estremi, la legittimità deve essere vagliata di caso in caso, cercando di arrivare a ridurre le aree di disaccordo.
Un’altra zona grigia correlata è in merito al livello consentito di violenza da esercitare sul nemico. In contesti asimmetrici, molte vittorie derivano dalla disparità e difformità di armamenti ed eserciti contrapposti, oppure oltrepassare certi limiti è l’unico mezzo per prevalere. Resta da stabilire se l’uso sproporzionato di una forza, ove invece tattiche meno costose in numero di vittime civili o danni a beni di carattere civile potevano avere la medesima probabilità di successo, può essere considerato come violazione del diritto internazionale umanitario.
Il principio di proporzionalità è il vero tallone d’Achille del diritto internazionale umanitario. Sarebbe necessario renderlo più concreto, avvalendosi della prassi giurisprudenziale, e una formulazione meno generica e vincolante per le parti in conflitto. Evitare danni collaterali, e quando non viabile cercare di minimizzarli con responsabilità, evita i rischi di escalation dei confronti bellici.

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Redazione Redazione Eventi e News