Se sono neri non contano: dei bimbi migranti morti di fame e di sete non importa a nessuno

Due bambini neri di due anni, del Ghana, morti di sete a un passo da Lampedusa non sono una notizia in Italia. Per la stragrande maggioranza dei giornali in edicola ieri quei due cadaveri minuscoli sono un fatto trascurabile, da cestinare. Sono persone che non contano. Le loro vite e le loro oscene morti, d’altronde, non importano a nessuno. A parte per Repubblica e La Stampa che ieri ne hanno raccontato la fine, non sono una notizia quei due bambini morti di stenti, sotto il sole, per l’assenza di navi di salvataggio: tutte tenute con meticolosa ferocia più tempo possibile lontane dalle zone di soccorso per volere del governo Meloni.
Dallo specchio di mare in cui il gommone stracarico è restato alla deriva, senz’acqua né cibo, erano state nei giorni precedenti allontanate due grandi navi con equipaggi di soccorritori di lunga esperienza che li avrebbero potuti salvare. La Ocean Viking, della ong francese Sos mediterranée, con una capienza di oltre 600 persone, è stata spedita il 6 maggio dal Centro di comando delle capitanerie di porto, il Mrcc di Roma sempre prono ai desideri di Piantedosi, a sbarcare altri naufraghi ad Ortona, a 1296 chilometri di distanza da dove aveva fatto un salvataggio. La Humanity 1, altra nave grande e capiente della ong tedesca Sos Humanity, il primo maggio è stata mandata a La Spezia. Cinque giorni di viaggio a salire e altri cinque a scendere. Quando, sabato pomeriggio, il veliero Nadir della ong tedesca Resqschip è riuscito ad arrivare a quel gommone stracolmo avvistato da un aereo di Frontex, agenzia di polizia europea che pattuglia il mare dal cielo, di cui il veliero aveva ascoltato un may day via radio, i due bambini erano già morti di sete. Un ragazzo trentenne è morto tra le braccia dell’equipaggio e un altro ustionato dalla miscela di carburante e acqua salata era già sparito in mare, s’era tuffato forse in preda a allucinazioni. Erano passati già tre giorni.
Sono 58 e vengono dal Gambia, Ghana, dalla Nigeria, dal Niger, dalla Sierra Leone e dal Togo. Tutti sotto choc, tutti straziati. Tutta gente nera, gente che viaggia senza carta di credito, che non importa a nessuno anche quando viene abbandonata a morire in mezzo al mare senz’acqua e con taniche di carburante che non bastano a fare la traversata. Il Corriere della sera ieri dava loro il posto che meritano: una scatoletta strizzata in cima a una pagina su una ennesima ipotesi per l’affondamento del Bayesan, il veliero colato a picco il 19 agosto con 7 persone nella rada di Porticello di cui vediamo per l’ennesima volta giustamente il modellino pubblicato, la foto dello scafo, il punto esatto della tragedia e di cui sappiamo tutto. Il nome dei morti, il nome dell’albergo dove hanno alloggiato i sopravvissuti, il nome di tutti i componenti dell’equipaggio – il marinaio Griffith, il comandante James Cutfield – ed anche il nome dell’avvocato dei familiari del cuoco di bordo, l’unico dell’equipaggio a esser morto nel naufragio.
Il Corriere anche ieri scriveva del “calibro delle vittime”- «Il magnate britannico Mike Lynch, uno dei più influenti imprenditori mondiali dell’high tech» – e di quell’albero maestro alto 72 metri di cui abbiamo letto negli ultimi 9 mesi in più versioni la minuziosa descrizione di ogni dettaglio tecnico ed estetico. Dei bambini neri morti di sete invece non sappiamo nulla, sono due unità in più nella lista dei cadaveri e il trentenne senza nome ingoiato dall’acqua è solo l’ultimo degli annegati mangiati dai pesci nel nostro bel mare. I corpi dei bambini sono stati imbarcati molte ore dopo insieme alle loro madri, che li hanno stretti in braccio fino all’ultimo per paura che i compagni di viaggio chiedessero di buttarli in mare, e ad altri due feriti, sulla navetta Guardia costiera italiana che è arrivata sabato sera dopo aver fatto altri salvataggi. Ma per tre giorni nessuno è intervenuto e quando il veliero Nadir è arrivato i bambini erano morti da 24 ore. La madre di uno dei due ha detto che suo figlio piangeva, piangeva, lei implorava sorsi d’acqua da dargli, lui piangeva piangeva e poi non s’è più mosso.
La dottoressa di bordo: «Molti avevano ustioni estese a causa della miscela tossica di acqua salata e carburante». I sopravvissuti hanno raccontato di esser partiti la notte tra martedì e mercoledì dalla costa libica di Zawia. Dopo un giorno il motore si è fermato. Alla deriva senz’acqua sotto il sole. «Avevamo pagato 1500 dollari a testa, ci avevano detto che saremmo arrivati dopo un giorno e mezzo». Le tredici donne sedute sul fondo al centro, dove si è più riparati dalle onde ma più ci si ustiona col carburante misto ad acqua. Quando sabato pomeriggio è arrivato il veliero tedesco di soccorso, i naufraghi hanno alzato le braccia passando per primi i due bambini all’equipaggio.
* * *
La fretta del governo Meloni per inserire con un decreto legge, il n.145/2024, norme stralciate dal codice di procedura penale in modo da trasferire la competenza a decidere sulla convalida dei trattenimenti dalla prima sezione della Cassazione civile alla Cassazione penale è forse spiegata da una decisione già presa dalla Prima Sezione della Cassazione penale. Dice il giurista Vassallo Paleologo: “In appena otto pagine la prima sezione penale della Corte ha annullato la precedente ordinanza della Corte di Appello di Roma che, con il provvedimento del 19 aprile scorso, non convalidava il trattenimento amministrativo di un cittadino straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione, che dopo essere stato trasferito l’11 aprile dal centro per i rimpatri (Cpr) di Potenza, Palazzo San Gervasio, al Cpr di Gjader, lo scorso 17 aprile aveva presentato una domanda di protezione internazionale. Il trattenimento ex art. 6 del Decreto Legislativo 142/15, di cui era stata chiesta la convalida, era dunque relativo a un “immigrato irregolare” originariamente espellibile, il quale, secondo la Corte di appello di Roma, nel corso della sua permanenza presso il Cpr di Gjader in Albania, aveva mutato la propria condizione giuridica, divenendo richiedente asilo dal momento in cui manifestava la volontà di chiedere protezione internazionale, domanda poi rigettata dalla Commissione territoriale di Roma nel giro di poche ore. Una ipotesi che non è espressamente prevista dal Protocollo Italia-Albania, e neppure dalla Legge di attuazione n.14 del 21 febbraio 2024, come modificata dal recente Decreto legge n. 37 del 28 marzo 2025, tuttora in corso di conversione. Secondo la Cassazione penale (n.17510/2025), invece, “È legittimo il trattenimento dello straniero in quella struttura anche dopo la presentazione della domanda di asilo, poiché il centro di Gjader deve essere equiparato, a tutti gli effetti, ai centri previsti dall’articolo 14 del decreto legislativo 286 del 1998”.
Con la parificazione del Cpr di Gjader ai Cpr in territorio italiano, la Corte ritiene irrilevante la disparità di trattamento (art.3 Cost.) subita dalle persone migranti in condizione irregolare trasferite in Albania, rispetto a tutti gli altri irregolari che rimangono trattenuti nei Cpr in territorio italiano. Tuttavia, non si può negare che il Cpr di Gjader si trovi in territorio albanese, all’esterno dei confini dell’Unione europea, al di là della finzione di presenza dei suoi “ospiti” in Italia, in quanto lo spazio del centro rimane sottoposto anche alla giurisdizione albanese. Nessuna equiparazione, che sarebbe “a tutti gli effetti”, è dunque possibile con i Cpr ubicati in Italia. Il decreto legge n.37/2025, e gli emendamenti che si annunciano, che confermano i trasferimenti dai Cpr italiani nel centro di detenzione di Gjader ed estendono il trattenimento amministrativo anche in seguito alla presentazione di una domanda di asilo, non possono stravolgere i criteri di riparto della giurisdizione ed i principi di sovranità territoriale affermati dalla Costituzione italiana e da quella albanese, fino ad intaccare quel nucleo di diritti fondamentali che vanno riconosciuti a qualunque persona immigrata, a prescindere dalla sua condizione giuridica (art.2 del Testo unico sull’immigrazione n.286/98).
Tra questi il diritto di chiedere protezione internazionale, anche dopo un provvedimento di espulsione, o in caso di precedenti penali, ed il diritto ad un ricorso effettivo. La Cassazione Penale accoglie quindi il ricorso del Ministero dell’Interno e della questura di Roma, con una motivazione assai stringata che poggia soprattutto sulla Relazione di accompagnamento al decreto legge n.37/2025, dunque su un atto di natura squisitamente politica, che non può certo valere come autonoma fonte del diritto, né contiene richiami a fonti normative o a precedenti giurisprudenziali che possano esaurire in modo tanto generico la motivazione di una sentenza di Cassazione. Il decreto sarà convertito in legge alla Camera martedì 13 maggio, con ulteriori emendamenti proposti dal governo, che come al solito potrebbe porre la questione di fiducia.
Vedremo se la Corte Costituzionale, che con sentenza n.39/2025 ha già rilevato un vizio di costituzionalità per violazione del principio del contraddittorio nei giudizi in Cassazione sulla convalida del trattenimento, riuscirà a ricondurre questa materia nell’alveo del giusto processo, nel rispetto del sistema gerarchico delle fonti normative interne e sovranazionali, imposto dall’ art. 117 Cost. I diritti di difesa (art.24 Cost.), ed il diritto di chiedere asilo (Art.10 Cost.), non possono essere svuotati per effetto dei trasferimenti improvvisi da un Cpr ad un altro, e poi in territorio straniero.
Qual è la tua reazione?






